Made in”: un nuovo regolamento europeo sempre più vicino ai consumatori
Con un’ampia maggioranza (528 voti a favore, di cui 18 voti contrari e 108 astensioni), i deputati del Parlamento europeo hanno approvato, martedì 18 maggio scorso, la revisione del sistema di etichettatura europea, che prevede etichette ‘Made in’ obbligatorie per tutti i capi d’abbigliamento e altri prodotti tessili commercializzati in Europa. Oltre ad aver dato il via libera al nuovo regolamento europeo sull’etichettatura dei prodotti tessili – che comprende non solo capi d’abbigliamento, ma anche tende, tovaglie e affini e persino giocattoli, se composti per almeno l’80% da tessuto – gli europarlamentari hanno chiesto inoltre alla Commissione di proporre un nuovo schema armonizzato e obbligatorio in tutti i Paesi Ue, nell’obiettivo di rendere obbligatoria l’indicazione d’origine per i prodotti tessili importati da Paesi terzi, come Cina e Stati Uniti.
Inoltre, l’assemblea di Strasburgo mira a istituire un’indicazione d’origine volontaria per i prodotti realizzati all’interno dell’Ue.
“Una griffe non potrà più utilizzare il marchio ‘Made in Italy’, se farà solo il confezionamento in Italia – ha spiegato a Help Consumatori Lara Comi, eurodeputata del Partito delle libertà (Pdl) e membro del gruppo PPE, a margine del ‘Caffé Europa’ organizzato oggi alle ‘Stelline’ dalla rappresentanza del Parlamento europeo a Milano – .Si considera infatti ‘Stato membro di origine’ quello in cui si siano svolte almeno due fasi su quattro di lavorazione del prodotto: filatura, tessitura, nobilitazione e confezionamento”.
L’obiettivo del doppio sistema di indicazione d’origine è salvaguardare sia i cittadini/consumatori sia le aziende europee.
“Il nuovo regolamento tutela sia i consumatori europei che desiderano conoscere con precisione l’origine dei prodotti tessili prima di deciderne l’acquisto, nell’obiettivo di evitare che siano tratti in inganno da diciture che suggeriscono che la manifattura sia stata eseguita in uno Stato Ue invece che in un Paese terzo, come la Cina o gli States, ma anche per salvaguardare, in un momento di crisi del settore, le piccole e medie imprese che li realizzano all’interno degli Stati membri”, ha aggiunto l’europarlamentare Comi, che ha seguito passo dopo passo il dossier.
Attualmente, le etichette ‘Made in’ sono volontarie e il loro uso dipende dalle legislazioni nazionali: in confronto a quella europea, la normativa vigente negli Usa, Canada o Giappone, per esempio, è molto più severa e regola in modo dettagliato l’indicazione obbligatoria del Paese d’origine.
“L’obiettivo del nuovo sistema di etichettatura europeo vuole rendere inoltre anche più immediata e comprensiva la lettura delle etichette, utilizzando un linguaggio più comune e comprensibile, per avvicinarsi sempre di più al consumatore”, ha precisato Comi, ricordando inoltre che verrà rivisto anche l’attuale sistema europeo delle taglie, che potrebbe veder sparire la mitica ’42 italiana, nonostante l’opposizione degli inglesi, ostinatamente contrari alla modifica dei loro parametri.
“Un’altra semplificazione riguarderà i simboli relativi all’uso e manutenzione dei capi di abbigliamento, che verranno armonizzati a livello europeo. Il riconoscimento della tracciabilità verrà semplificato invece con un ‘barcode’, vera e propria carta d’identità del prodotto, che spiegherà con parole semplici dove è stato realizzato il capo, la taglia di riferimento, l’etichettatura ecologica e socialmente sostenibile per escludere lo sfruttamento dei lavoratori e dei minori”, ha concluso l’europarlamentare Comi.
Ricordiamo infine che la richiesta del marchio d’origine obbligatorio non è nuova da parte dell’Assemblea di Strasburgo: gli eurodeputati avevano presentato infatti una proposta sul ‘Made in’ già nel 2005, ma senza ottenere il sostegno unanime da parte dei Paesi membri. La bozza di legge europea sull’etichettatura dei prodotti tessili è stata così presentata l’anno scorso dalla Commissione Ue, con l’obiettivo di ridurre i tempi per l’introduzione di nuove fibre nel mercato unico. Oggi infatti, il contesto è cambiato, non solo perché l’entrata in vigore del trattato di Lisbona ha conferito più poteri all’Assemblea di Strasburgo nelle trattative con i governi europei, ma anche perché con il successo riportato martedì scorso, gli eurodeputati hanno voluto lanciare un segnale forte ai Paesi membri. Nel frattempo inoltre, è al vaglio dell’antitrust europeo la recente legge italiana nominata ‘Reguzzoni-Versace’ (55/2010), che ha disciplinato l’attribuzione del marchio ‘Made in Italy’ a scarpe, abiti e pelletteria. La direttiva europea 98/34/CE, infatti, obbliga gli Stati membri a notificare i progetti delle regolamentazioni tecniche come quelle relative all’etichettatura dei prodotti tessili, poiché queste ultime potrebbero dare origine a barriere ingiustificate tra i diversi Paesi Ue.