Magistrato danzante? Ok, a patto che non diventi un’attività commerciale
Se il magistrato esercita una vera e propria attività commerciale può scattare la sanzione disciplinare. E’ quanto hanno stabilito le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza 20 settembre 2012, n. 15832, con la quale è stato respinto il ricorso presentato da un magistrato il quale aveva intrapreso l’attività di socio all’interno di una società commerciale irregolare nel settore della danza e dello sport.
La condotta di partecipazione a una società commerciale irregolare integra, infatti, l’illecito di svolgimento di attività incompatibili con la funzione giudiziaria. Ai sensi dell’art. 16 dell’ordinamento giudiziario, come ricordato dalle Sezioni Unite, al magistrato non è consentito lo svolgimento di un’attività commerciale. La norma dispone che “I magistrati non possono assumere pubblici o privati impieghi od uffici, ad eccezione di quelli di senatore, di consigliere nazionale o di amministratore gratuito di istituzioni pubbliche di beneficenza. Non possono nemmeno esercitare industrie o commerci, né qualsiasi libera professione”; svolgimento che viene ora individuato come ipotesi tipica di illecito disciplinare, ai sensi dell’art. 3, comma 1, lett. d), del d.lgs. n. 109 del 2006, secondo cui “Costituiscono illeciti disciplinari al di fuori dell’esercizio delle funzioni: (…) lo svolgimento di attività incompatibili con la funzione giudiziaria di cui all’articolo 16, comma 1, del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, e successive modificazioni, o di attività tali da recare concreto pregiudizio all’assolvimento dei doveri disciplinati dall’articolo 1”.
Il provvedimento impugnato, secondo il giudice nomofilattico, resiste altresì alle suggestive argomentazioni svolte in ricorso con riferimento alle deliberazioni adottate dal Consiglio Superiore della Magistratura in sede di risposta a quesiti. Invero, le deliberazioni invocate dalla ricorrente si riferiscono alla costituzione o alla partecipazione a società di capitali, senza svolgimento di attività di amministrazione, ovvero ad una partecipazione assolutamente non assimilabile alla assunzione della qualità di socio in una società commerciale irregolare.
Si ricordi, inoltre, che nelle società di persone irregolari, l’esteriorizzazione del vincolo sociale, ossia l’idoneità della condotta complessiva di taluno dei soci ad ingenerare all’esterno il ragionevole affidamento circa l’esistenza della società, è sufficiente a far sorgere la responsabilità solidale dei soci, ai sensi dell’art. 2297 c.c.
Inoltre, la partecipazione ad una società commerciale irregolare non può certamente essere assimilata “alle attività che costituiscono espressione di diritti fondamentali, quali la libertà di manifestazione scritta e verbale del pensiero, di associazione, di esplicazione della personalità” come pure alla “adesione ad organismi che danno luogo ad un rapporto associativo trasparente, non costituito dall’assunzione di giuramenti o di vincoli incompatibili con i principi di autonomia ed indipendenza, che connotano la figura del magistrato”. Tale argomentazione potrebbe svolgersi sul presupposto che la condotta della incolpata si risolva nella partecipazione ad un’associazione non riconosciuta, situazione ben differente dal caso di specie, nel quale è stato accertato che si trattasse di una società commerciale irregolare.