Malasanità, una notte in ospedale: la testimonianza
Quello che vi riportiamo oggi è un caso di malasanità e vuole essere un grido di denuncia sociale affinché si ripristini il diritto alla salute negli ospedali Campani. Si tratta di un’esperienza ai limiti della decenza, per quanto ne sappia e per quanto io stessa ho provato. Ebbene vi riporto la mia esperienza.
Siamo in un ospedale Campano, a Napoli per essere precisi. Mi reco con mia madre per un intervento in day surgery, ovvero un intervento che dovrebbe durare un solo giorno con rientro nel pomeriggio o alla sera. Ci dicono di aspettare, ma nel frattempo alcune donne si recano in una stanzetta dove prendono possesso dei letti (in una stanza di sei letti, dove per lo meno le pazienti erano il doppio). Così ci aggiungiamo alle donne ‘più furbe’ ed otteniamo un posto anche noi, mentre altre restano fuori dalla stanza. Le pazienti si mettono i pigiami ed aspettano di essere chiamate per l’intervento. Arriva il turno di mia madre, entra in sala operatoria.
Fuori dalla sala operatoria, c’è un via vai di medici ed infermieri: c’è chi saluta un amico con tanto di mano nuda e rientra nel reparto dove stanno operando; ci sono infermiere con i capelli legati con simpatiche bandane che sembrerebbero più da spiaggia che da ospedale! Insomma, sembra che non vi sia alcuna cultura dell’igiene intesa come ‘incontaminazione’. Decido di non farmi paranoie, vorrei dire qualcosa, ma penso che la mia parola non servirebbe a un granché e poi sapranno quel che fanno, no?
Dal reparto della sala operatoria esce una signora, ha una piccolo ago nella mano, con una specie di cannuccia, è l’imbocco nel quale sarà poi inserita la flebo. Mentre sta parlando le esce del sangue, tanto sangue dalla mano. Il pavimento diventa a macchie rosse, rientra. Io nel frattempo entro nel reparto della sala operatoria, dove sta per uscire mia madre. La donna è lì con me, poi viene un medico e la porta all’interno del reparto. Esce mia madre, la barella passa sulle gocce di sangue ed altri infermieri circolano sulla zona ‘rossa’. Sono io ad avvertirli che il pavimento è ‘sporco’ e deve essere ripulito. sce mia madre, ha lo stesso ago nella mano, dopo un po’ le esce del sangue! Arriva un dottore ed esordisce dicendo: “Ah, è lei la donna che sta perdendo sangue!” Io lo guardo el gli dico che non si tratta di mia madre, ma di un’altra signora che stava perdendo sangue dalla mano e che comunque ora stava succedendo anche a mia madre. “Dunque – gli dico – la persona che mette questi aghi deve essere incompetente, probabilmente non ha capito come deve lavorare!”. Risolvono la questione.
Mia madre, la quale aveva subìto solo l’anestesia parziale, mi racconta che un’infermiera è stata tutto il tempo al telefonino (in una sala operatoria incontaminata!!!) e che il dottore la richiamava di continuo!
Due simpatici infermieri trasportano la barella e mia madre verso un ascensore un po’ più distante dal reparto in cui vi era la sala operatoria, poiché l’ascensore più vicino era momentaneamente bloccato con una donna all’interno che sentivo gridare dalla paura. Intanto addetti della sorveglianza stavano lavorando per sbloccarlo.
Arrivati verso l’ascensore, quest’ultimo non si ferma al piano dove stiamo noi: c’è un pulsante all’interno dell’ascensore – mi spiega l’infermiere – che fa sì che non si fermi a nessun piano tranne che a quello prescelto. Nel frattempo, vedo delle macchie rosse sul viso di mia madre, forse una reazione allergica. Gli infermieri mi dicono che saranno i segni del cuscino (!!!) e che passeranno. Io non mi tranquillizzo e mi dico che appena vedrò il dottore che l’ha operata glielo farò presente.
Due signore intanto attendono nella stanza del day surgery, quella dove le più furbe avevano preso i posti (comprese noi, per fortuna!). La stanza si sfolla, poiché c’erano stati interventi leggeri. Le due donne dicono che sarebbero dovute andare via da un pezzo, ma il dottore né è passato per vedere la reazione della sua paziente né ha detto alla donna quale sarebbero stati i prossimi sviluppi. Le due avevano aspettato per correttezza, ma poi, perplesse, decidono di avvertire un infermiere sulla situazione. L’infermiere, dopo una serie di telefonate, comunica loro che il dottore è andato via e che se volevano che la donna fosse dimessa dovevano aspettare il medico di turno che, però, in quel momento era impegnato. Sono le 16 30 del pomeriggio, la donna appena operata alla gamba, va alla ricerca del dottore e cammina per vari reparti. Alla fine arriva un dottore, verso le 17 30 che le dice che sarebbe potuta essere dimessa già dalle 12 visto che era stata la prima ad essere operata. Il nuovo dottore le prescrive una terapia e la dimette. Ci salutiamo.
Un infermiere ci avverte che dobbiamo lasciare la stanza, devono pulire. Cambiano persino le lenzuola del letto di mia madre, non capendo che mia madre non era ancora pronta per lasciare l’ospedale. Il dottore ci avverte che qualora decidessimo di restare per la notte, il solo posto dove dormire è su una barella in un corridoio. L’idea non ci piace per niente, poi, però, cominciano a comparire strane macchie rosse sul collo di mia madre e le sue guance diventano rosse fuoco. Si arriva alla conclusione che si tratti di una reazione allergica (nonostante mia madre avesse effettuato una terapia allergica da tre giorni prima dell’intervento). Le fanno una siringa, le mettono flebo. Decidiamo di restare in ospedale per la notte, non si sa mai!
La notte: il letto di una madre è una barella, tra l’altro, molto alta, per cui mia madre, con una gamba operata non può assolutamente fare chissà quale acrobazia. Un infermiere molto simpatico, le da una scaletta, su cui mia madre salirà per arrivare alla barella! Io sono su una sedia nel bel mezzo di un corridoio d’ospedale. Ci danno due separè per avere un po’ di privacy; ne chiediamo un altro, ma non ci sono. Poi mi guardo intorno, c’è chi sta peggio di noi. Infatti, se alle donne è concesso il separè, agli uomini no: sono in mezzo al corridoio sulle barelle. Sembrava di essere in qualche luogo di guerra o dove c’è appena stato un terremoto. Feriti dappertutto, sulle barelle, in mezzo ai corridoi tra il via vai degli addetti ai lavori. Dimenticavo, se avevamo bisogno del bagno, dovevamo recarci in una stanza dove c’erano altre pazienti che gentilmente ci facevano usufruire dei loro servizi.
Nel frattempo, sono le 23 e in un ufficio degli infermieri c’è una simpatica festa di compleanno, le luci sono accese e si sentono schiamazzi. Poi offrono un pezzo di torta a chi ne ha voglia. Le luci si spengono verso l’una di notte. Un infermiere mi da, su mia gentile richiesta, una poltroncina, che, però, avrei dovuto restituire all’indomani, al massimo verso le 7,30. Chiedo se hanno un cuscino in più (ho preteso troppo, vero?) ma non ce l’hanno, poi mi colpisce l’umanità di un infermiere più anziano che mi da un lenzuolo piegato per farmi da cuscino. Mi colpisce questo gesto, perché l’infermiere non era tenuto a farlo, ma ha avuto ‘compassione’ di me!
Passa la notte, tra la festicciola e i lamenti di una donna che invoca tutti i santi! Al mattino, verso le 6 30, un simpatico barista girando per i reparti, distribuisce caffè e cornetti freschi a pagamento. Decidiamo di accettarli. Poi l’ospedale si sveglia e c’è un via vai di addetti alla pulizie, infermieri, medici. Così arriva anche il nostro medico e dimette la sua paziente. Torniamo a casa, con la speranza di un giorno migliore.