Malasanità, la cartella clinica mezza vuota del paziente operato fa presumere la responsabilità del chirurgo
Le omissioni del medico nel tenere la cartella
clinica non si possono risolvere ai danni del paziente che chiede il
risarcimento dopo l’intervento chirurgico fallito. Anzi, le carenze del
documento sono indice di scarsa diligenza e costituiscono un nesso
eziologico presunto fra la condotta del professionista e la lesione
lamentata. Lo precisa la sentenza 1538/10 della Cassazione.
Il caso
Mostra ormai la corda la
distinzione fra obbligazione di mezzi e di risultato. L’inadempimento
che il paziente-creditore della prestazione medica è tenuto ad allegare
sul conto del chirurgo debitore deve essere astrattamente idoneo alla
produzione del danno. Per il resto al danneggiato basta provare il
contratto (o il contatto sociale), cioè la fonte dell’obbligazione:
starà al medico dimostrare che nulla è imputabile alla sua condotta.
Dopo due verdetti contrari è accolto il ricorso del tutore e di altri
congiunti del paziente, entrato con le sue gambe in ospedale e
danneggiato dall’intervento al punto da essere dichiarato invalido e
interdetto. Le censure si appuntano sulla tecnica utilizzata, sul
mancato controllo interoperatorio e, soprattutto, sulla cartella
clinica: le omissioni nella compilazione autorizzano il ricorso alle
presunzioni contro il medico, come avviene quando l’onere della prova
non si può assolvere per una condotta ascrivibile alla parte contro cui
il fatto da dimostrare avrebbe potuto essere invocato. La cartella
“mezza vuota” denota mancanza di diligenza. In base al principio della
vicinanza della prova spetta al chirurgo di dimostrare che il suo
inadempimento non è stato causa del danno.