Mancanza di adeguata informazione sanitaria: la madre deve essere risarcita
L’università è responsabile del danno arrecato ai genitori di un
neonato portatore di handicap, se la madre non è stata adeguatamente
informata sulla reale condizione del feto e non è stata messa in
condizione di procedere con l’aborto terapeutico.
E’ quanto ha stabilito la Terza Sezione Civile della Corte di
Cassazione con la sentenza 30 novembre 2011, n. 25559 in quanto trattasi
di fatto dannoso lesivo di diritti inviolabili di autodeterminazione e
di solidarietà familiare a protezione di minori portatori di handicap.
Il caso vedeva un uomo ed una donna diventare inaspettatamente genitori
di un bambino affetto da sindrome di Down, nonostante che dagli esami
eseguiti presso la clinica universitaria non fosse emerso nessun
elemento rilevatore di una simile condizione del feto. Secondo la
coppia, l’Università non aveva adeguatamente informato la gestante della
tendenziale inaffidabilità dell’esame al quale era stata sottoposta e
della conseguente necessità di procedere ad un ulteriore accertamento,
da eseguirsi entro la ventiquattresima settimana, in modo da permetterle
di esercitare la libertà di scelta dell’aborto terapeutico.
Secondo i giudici di legittimità è evidente la lesione del diritto
della madre di poter decidere liberamente, anche attraverso una adeguata
informazione sanitaria, la scelta dello aborto terapeutico o di
rischiare una nascita a rischio genetico; scelta che, nella specie,
le è stata preclusa dall’esito incerto dell’esame praticato, del quale
non è stata data adeguata informazione.
La responsabilità dell’Università è di natura contrattuale e per
“contatto sociale”. Nel contatto di protezione tra la donna e
l’Università, che effettua le analisi per escludere il rischio genetico,
gli interessi da tutelare attengono alla sfera della salute in senso
ampio (art. 32, Cost.), con la conseguenza che l’inadempimento
dell’Università debitrice della prestazione, è suscettibile di ledere i
diritti inviolabili della persona e quindi della gestante, nel caso di
nascita di persona handicappata, ma anche del padre, che pure è
giuridicamente solidale al mantenimento, alla crescita ed alla
protezione del nato non sano.
In conclusione, deve essere accertata la responsabilità contrattuale
dell’Università, inadempiente all’obbligo di protezione nel compiere
l’ulteriore esame, e deve essere risarcito integralmente il danno non
patrimoniale sofferto dai genitori della piccola handicappata, da
parametrarsi alla gravità del sacrificio personale ed alla permanenza
dell’assistenza di una persona che abbisogna di continue cure,
sorveglianza ed affetto.