Mandato d’arresto europeo: Sezioni Unite dettano i limiti all’impugnabilità
Le Sezioni Unite penali sono state chiamate a pronunziarsi circa l’impugnabilità del mandato di arresto europeo ed i rapporti tra giurisdizione interna ed estera. Un uomo, imputato per i reati di tentato omicidio e detenzione e porto d’arma, era destinatario di un mandato di arresto europeo indirizzato, ai sensi dell’art. 19 della legge n. 69 del 2005, ad una giurisdizione estera. Siffatto mandato decadde in quanto l’uomo viene assolto nel merito, per i fatti oggetto dell’imputazione. Successive indagini appurarono fatti ulteriori, qualificabili come reati di stampo mafioso, addebitabili al medesimo imputato, ed antecedenti a quelli sopra accennati. La Corte d’appello italiana, pertanto, presentava istanza suppletiva alla consegna, in virtù del disposto di cui all’art. 721 c.p.p. e, successivamente, emetteva ordine di esecuzione della custodia cautelare nel frattempo disposta.
L’imputato, per il tramite del proprio difensore, contestava la legittimità di tale istanza, inoltrata ex art. 721 c.p.p., nonché rilevava la nullità del provvedimento straniero di consegna suppletiva e del conseguente ordine di esecuzione interno.
Le Sezioni Unite, con la pronunzia n. 30769 del 27 luglio 2012, sono state chiamate a chiarire le questioni circa l’impugnabilità del mandato di arresto europeo, la richiesta ex art. 721 c.p.p. avanzata innanzi ad un giudice interno, i rapporti sussistenti tra detto mandato, relativo a fatti per i quali è, a seguito, intervenuto il provvedimento di assoluzione, nonché l’istanza di consegna suppletiva per nuovi fatti, la cui commissione è stata accertata come anteriore ai primi citati.
Il collegio puntualizza, in ordine al provvedimento dell’autorità estera, e nella fattispecie quella spagnola, che essendo manifestazione di esercizio della sovranità del Paese richiesto alla cooperazione, non può essere soggetto ad impugnazione diretta innanzi all’autorità giudiziaria italiana, confermando un precedente della Sezione VI della medesima Corte Suprema (n. 5447 del 12 dicembre 2001).
Gli ermellini, nel dichiarare inammissibile il ricorso, spiegano, peraltro, la connessione sussistente tra la consegna precedente dell’imputato e il differente procedimento nel quale deve applicarsi una misura restrittiva, e che va ad imbattersi col limite posto dal principio di specialità, per superare il quale è necessaria l’istanza, e di seguito l’assenso, dello Stato di esecuzione della prima consegna, e non richiede la pendenza in atto del procedimento cui quest’ultima afferiva, “ma si basa semplicemente sul presupposto che il soggetto sia stato consegnato allo Stato richiedente e non ricorra alcuna delle condizioni di deroga al principio di specialità previste dal comma 2 dell’art. 26 della legge n. 69 del 2005”. Tale normativa, argomenta le Sezioni Unite, è stata posta a garanzia del soggetto, il quale, diversamente, sarebbe direttamente processabile in vinculis, senza alcun onere a carico dell’autorità procedente. Gli ermellini, in particolare, rilevano che il ricorrente non ha contestato, bensì rivendicato, “l’assenza delle menzionate condizioni di deroga, confermando in tal modo l’operatività del principio di specialità, comportante per sé la necessità e legittimità della procedura della richiesta di assenso”.