Mediazione e tutela dei diritti: un nuovo tentativo di commercializzazione della giustizia civile?
Il d.gs. n.28/2010 sulla mediazione ha introdotto la figura professionale del mediatore-conciliatore a pagamento (anticipato) a carico delle parti che obbligatoriamente dovranno avvalersene prima di intraprendere la strada giudiziaria per dirimere tutta una serie di controversie civili e commerciali. La normativa introdotta nel 2010 ideata e fortemente voluta dall’esecutivo della competitività, è stata accolta come la magistrale soluzione ai problemi che primariamente assillano ormai da vari decenni il processo civile italiano, e con esso, l’intero sistema della giustizia civile. In particolare, come più volte sostenuto in occasione di vari e ripetuti spots pubblicitari offerti sulle primarie reti nazionali in cui si tendeva ad enfatizzare l’entrata in vigore del nuovo istituto (giuridico?), la media conciliazione si presenta come una sorta di “filtraggio” obbligato delle controversie civili e commerciali, od anche come nuova ipotesi di accesso “condizionato” alla giurisdizione. In sintesi, qualunque oggetto intenda accedere alla Giustizia civile per dirimere una controversia rientrante nell’elenco del d.lgs. n.28/2010 dovrà preliminarmente rivolgersi ad un organismo di mediaconciliazione sostenendone invia anticipata i relativi costi. La finalità dell’istituto di nuova concezione è chiaramente deflattiva: chiunque pur avendo tentato prima autonomamente e successivamente, attraverso l’avvocato una conciliazione della lite, dovrà obbligatoriamente sottoporsi ad un ulteriore tentativo presentandosi davanti ad un altro professionista, a sua volta inserito in una struttura facente capo ad un organismo privato. Domanda: perché la parte che in precedenza non è riuscita a conciliare la lite – prima da sola ed in seconda istanza aiutata dal proprio avvocato – dovrebbe farlo in un terzo momento davanti al mediatore? Analogo interrogativo dovrebbe porsi con riferimento alla posizione assunta dalla controparte: che interesse ha quest’ultima a conciliare la lite “se” compare davanti al mediatore? Forse il pericolo a cui potrebbe andare incontro una delle parti se instaurato successivamente il giudizio civile l’esito di quest’ultimo possa sortire un qualche effetto pregiudizievole aggiunto alla semplice soccombenza nello stesso giudizio, magari ex art. 96 c.p.c.? A ben vedere, l’ipotesi non regge, perché era stata già prevista espressamente in sede di riforma del processo civile ex legge 18 giugno 2009, n.69. con disposizioni ad hoc riguardanti l’applicabilità d’ufficio dell’art. 96 c.p.c. e finanche lo stesso art. 92 c.p.c. in tema di condanna al pagamento delle spese di lite, anch’esso rivisto dalla legge di riforma n.69/2009. In estrema sintesi, la “punizione” a cui andrebbe incontro il soggetto che rifiuta la conciliazione era già stata contemplata dalla sostanziale “riscritturazione” degli artt. 92.