Migliaia di nuove società per il Fisco dei Comuni
Una proliferazione di società, con i loro presidenti e i loro consigli di amministrazione, per gestire la riscossione dei tributi locali che sarà abbandonata da Equitalia a partire dal 1° gennaio prossimo.
Potrebbe essere questo l’effetto più evidente della mini-riforma del Fisco locale scritta nel decreto legge sviluppo. L’addio all’agente nazionale della riscossione, che oggi fra riscossione spontanea e coattiva lavora con 6.100 Comuni (il 75% del totale) metterebbe i sindaci di fronte a tre possibili opzioni, ognuna con fortissimi problemi operativi: riportare tutta la riscossione all’interno del Comune, operazione complicata senza sfondare i tetti rigidi al turn over e alla spesa di personale (che potrebbero essere irrigiditi ulteriormente dalla manovra); affidare il servizio alle società private, che però secondo la nuova norma dovranno affidarsi all’ingiunzione classica, molto più farraginosa rispetto alla procedura esattoriale utilizzata oggi, e si vedranno chiudere l’accesso ad alcune banche dati fiscali. Oppure, appunto, costituire una società a cui affidare in modo diretto il servizio.
Nemmeno questa strada è semplice, perché creare ex novo una società e renderla operativa in sei mesi (con tanto di pausa estiva) è complicato, tanto più nei Comuni medio-piccoli. Rispetto all’affidamento del servizio a una delle circa 80 società private iscritte all’albo, però, l’alternativa della società interamente pubblica offrirebbe nel nuovo quadro più di un vantaggio: prima di tutto l’utilizzo dell’ingiunzione con procedura esattoriale, quella oggi seguita da tutti, che è meno efficace rispetto all’iscrizione a ruolo impiegata da Equitalia ma quantomeno non impone il ricorso all’ufficiale giudiziario come accade per l’ingiunzione classica, disciplinata dal Regio decreto 639 del 1910. Una procedura, quest’ultima, che oggi nessuno utilizza più, ma che tornerebbe a rappresentare la strada obbligata per le società private o miste secondo quanto previsto dal decreto sviluppo corretto dal Governo.
Visti i limiti rigidi a turn over e uscite di personale, che tra l’altro rendono di fatto impossibile reclutare ufficiali della riscossione nei tanti Comuni che ne sono sprovvisti, quella della società in house rischia di tradursi per molti in una strada obbligata. L’effetto moltiplicazione, in questo caso, è inevitabile, anche perché la disciplina della riscossione è ancora più rigida rispetto a quella generale nel definire i limiti organizzativi e il campo d’azione delle in house. Il decreto legislativo 446/1997 (all’articolo 52) impone alle società in house, attive nel campo dei tributi locali, due condizioni: il Comune deve garantire sulla società un «controllo analogo» a quello che esercita sui propri uffici, e la società non può operare al di fuori dei confini dell’ente che la controlla. In un passato anche recente i giudici amministrativi hanno annullato affidamenti diretti a società su cui l’ente esercitava controlli solo formali (si veda per esempio la sentenza 377/2011 del Tar Toscana), e di conseguenza non è possibile ipotizzare una società capofila, magari costituita da un grande Comune, in grado di espandere la propria attività e di mettere i propri servizi a disposizione dei territori vicini. Le uniche alternative, che l’esperienza mostra essere abbastanza complicate da concretizzare, consistono nel creare prima convenzioni o Unioni di Comuni per costituire poi assieme una società.