Minore aggredisce compagno durante una partita? I genitori pagano i danni se non lo hanno educato bene
Quando un minorenne commette un illecito ne rispondono mamma e papà se
il fatto è riconducibile a carenze nell’attività educativa.
Lo ha ricordato la Corte di Cassazione (sentenza n. 26200 depositata il 6
dicembre 2011) che ha richiamato il contenuto dell’art. 2048 c.c..
La responsabilità del genitore in base alla norma sussiste per quegli
atti posti in essere dai figli che si manifestino nel mancato rispetto
delle regole della civile coesistenza, vigenti nei diversi ambiti del
contesto sociale in cui il soggetto si trovi a operare. Nella specie la
Corte di cassazione ha ritenuto responsabili i genitori di un ragazzo
che durante una partita di pallone, senza nessun motivo, ha assunto un
comportamento aggressivo e violento verso un compagno, provocandogli
lesioni personali.
In primo grado il tribunale aveva dichiarato che l’infortunio si era
verificato per colpa esclusiva del minore ed aveva rigettato le domande
risarcitorie nei confronti dei genitori esercenti la potestà.
Il Tribunale aveva escluso in sostanza l’applicabilità dell’art. 2048
c.c. Anche la Corte d’appello perveniva alla stessa conclusione e il
caso finiva in Cassazione.
Investita della questione, la terza sezione civile ha ribaltato il
verdetto spiegando che “i criteri in base ai quali va imputata ai
genitori la responsabilità per gli atti illeciti compiuti dai figli
minori consistono, sia nel potere-dovere di esercitare la vigilanza sul
comportamento dei figli stessi, sia anche, e soprattutto, nell’obbligo
di svolgere adeguata attività formativa, impartendo ai figli
l’educazione al rispetto delle regole della civile coesistenza, nei
rapporti con il prossimo e nello svolgimento delle attività
extrafamiliari (Cass. 13.3.2008 n. 7050; Cass. 20.10.2005 n. 20322;
cass. 11.8.1997 n. 7459). La norma dell’art. 2048 c.c. è costruita in
termini di presunzione di colpa dei genitori (o dei soggetti ivi
indicati). In relazione al’interpretazione di tale disciplina, quindi, è
necessario che i genitori, al fine di fornire una sufficiente prova
liberatoria per superare la presunzione di colpa desumibile dalla norma,
offrano, non la prova legislativamente predeterminata di non aver
potuto impedire il fatto (e ciò perché si tratta di prova negativa), ma
quella positiva di aver impartito al figlio una buona educazione e di
aver esercitato su di lui una vigilanza adeguata, il tutto in conformità
alle condizioni sociali, familiari, all’età, al carattere ed all’indole
del minore (c. anche Cass. 14.3.2008, n. 7050)”.