Muore per infarto durante il servizio: l’evento non è di per sé infortunio sul lavoro
Giro di vite sull’indennizzabilità degli infortuni sul lavoro: per la
corresponsione della rendita Inail agli eredi del lavoratore defunto non basta che la morte, per infarto, del dipendente sia avvenuta durante il servizio.
È necessaria, infatti, la prova di un nesso causale o concausale tra
l’evento e l’attività lavorativa svolta, non essendo sufficiente un
semplice collegamento marginale o un rapporto di coincidenza
cronologica o topografica.
È quanto emerge dalla sentenza 26231/09
con cui la Cassazione ha respinto il ricorso degli eredi di un
lavoratore, che prestava servizio di vigilanza, deceduto
improvvisamente per arresto cardiaco durante l’orario di lavoro. Senza
successo, infatti, la moglie e le figlie del dipendente hanno cercato
di sostenere davanti ai giudici del Palazzaccio la tesi dell’infortunio
sul lavoro evidenziando il continuo stress psicologico del lavoratore,
i ripetuti atti di intimidazione che lo stesso aveva subito in passato,
l’afa eccessiva nel giorno in cui era deceduto e l’assenza di sistemi
di areazione sul luogo di lavoro. Per la sezione lavoro del
Palazzaccio, invece, è mancata la prova dell’evento anormale che
rappresentava l’unica possibilità di ricondurre l’infarto nella
categoria dell’infortunio sul lavoro. Ma non è tutto. La Cassazione ha
anche precisato che «non è revocabile in dubbio che un infarto, anche
in soggetto già sofferente di cuore ed iperteso, possa costituire
infortunio sul lavoro, ma occorre in ogni caso la prova che tale
evento, normalmente ascrivibile a causa naturale, sia stato causato o
concausato da uno sforzo ovvero dalla necessità di vincere una
resistenza inconsueta o un accadimento verificatosi nell’ambito del
lavoro, il quale abbia richiesto un impegno eccedente la normale
adattabilità e tollerabilità».