NAPOLI (4 marzo) – Sette atenei, centri d’eccellenza nel mondo della ricerca, importanti investimenti in formazione e un punto di non ritorno che vanifica tutto il sistema: i giovani formati, soprattutto ad alti livelli, non trovano sbocchi occupazionali sul territorio. Il corto circuito del sistema della formazione accademica e professionale di alto profilo sta in questa contraddizione. La ricchezza prodotta dalle università è vanificata dall’assenza di una rete produttiva in grado di assorbire il sapere e le potenzialità. «Fuga di cervelli» è un refrain che, ripetuto troppe volte, rischia di banalizzare un problema molto ampio. Dalla Campania non vanno via solo le menti ma, con loro, anche le prospettive di crescita.
I numeri, in tal senso, sono chiari. Il più grande ateneo campano (la Federico II) raccoglie oltre centomila persone tra studenti, docenti e personale. Da solo è la «terza città» della Campania. In totale i sette atenei hanno numeri che rendono la «metropoli università» seconda per numero di persone coinvolte solo a Napoli. Ma rispetto a questa conurbazione del sapere i numeri relativi alle prospettive sono impietosi. In primo luogo per quanto riguarda i tempi di inserimento nel mercato del lavoro. A un anno dalla laurea in Campania lavora il 38,2% dei laureati (media nazionale al 51,3%) mentre il 47,4% sceglie di partecipare a un’attività di formazione post laurea (37,8% la media nazionale). Per chi, dopo la laurea, cerca immediatamente lavoro i dati sono ancora più scoraggianti. Più di un neo dottore su quattro (per la precisione il 28,3%) non ha lavoro a un anno dalla laurea mentre la media nazionale è praticamente la metà (14,9%) a riprova che altrove la possibilità di placement (il termine che indica il livello di occupazione) è maggiore per chi ha un titolo accademico. Lavorare e studiare resta poi quasi una condizione sconosciuta per i ragazzi della Campania. Ci riesce solo il 27,2% dei laureati che prosegue un lavoro precedente al conseguimento del titolo (la media nazionale è del 37,2%). Uno dei pochi dati in cui la nostra regione è omogenea al livello italiano riguarda la retribuzione media: un dottore dopo un anno dalla laurea guadagna in media 1023 euro perdendo «solo» 27 euro rispetto al livello nazionale. Solo dati negativi? No. Ma l’unico saldo attivo per la Campania è assolutamente virtuale: è, in pratica, il tasso di fiducia di chi si laurea. La speranza in Campania è maggiore tanto che ben il 62,4% dei laureati/occupati ritiene che la propria laurea sia efficace per il proprio lavoro. A livello nazionale questo indice di soddisfazione scende al 50,5% con i neodottori della Lombardia al 35,5%.
Ma chi sono i laureati campani? In larga maggioranza sono donne (oltre il 60%) non tanto giovani (26 anni l’età media con una durata degli studi di quasi 5 anni) e con un voto medio di 102/110. Il lavoro definitivo arriva dopo circa 4 anni dal conseguimento del titolo accademico; prima, come si è visto, o si prolungano gli studi o, giocoforza, ci si arrangia con poco più di mille euro di stipendio al mese. Restano sul campo i problemi per raggiungere la laurea (pochi servizi e pochi alloggi per i fuorisede e in generale per gli studenti), i costi per conseguire il titolo, un’offerta formativa spesso dispersiva. Rispetto a questo punto basta una riflessione: in tutti i sette atenei attivi in Campania ci sono corsi afferenti al campo del diritto o della gestione (facoltà di Giurisprudenza ed Economia in cinque atenei, Scienze Politiche in tre) con l’inevitabile sovrapposizione. Sullo sfondo il dibattito aperto sul politecnico che ancora una volta si scontra con la duplicazione dei corsi (nella regione convivono cinque facoltà di Ingegneria e due di Architettura). Sullo sfondo la formazione professionale, di alto e medio livello. Centri d’eccellenza (su tutti Città della Scienza e Stoà) hanno numeri importanti per il placement ma preoccupanti per la quantità di persone formate che restano a lavorare sul territorio.
La conferma che l’alta specializzazione in Campania non paga. Bassi, invece, i dati sull’occupazione di chi frequenta corsi professionali di medio profilo. Polemiche su corsi fantasma, pochi controlli e scarsa programmazione, l’ingerenza di numerosi interessi (economici e politici) esterni penalizzano questo settore.
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