Narcotrafficante malato va trasferito in clinica se regime carcerario è incompatibile con malattia
Cassazione, sentenza n.8493 – 3 marzo 2010
Nel caso in cui il carcere non sia attrezzato per prestare assistenza sanitaria, anche il narcotrafficante gravemente malato deve essere ricoverato agli arresti in clinica: non può infatti disporsi il solo “ricovero temporaneo”. Il giudice ha infatti l’obbligo e non la mera facoltà di disporre il trasferimento del detenuto in regime di arresti domiciliari presso idoneo «luogo di cura, di assistenza o di accoglienza. È questo il principio di diritto emerso dalla sentenza n. 8493, depositata il 3 marzo 2010, con cui la sesta sezione penale della Corte di Cassazione ha accolto il ricorso di un narcotrafficante, avverso cui era stata emessa un ordinanza di custodia cautelare in carcere, motivando la decisione sulla base dell’interpretazione del dettato costituzionale (art. 32 Cost.) e di diritti fondamentali della Convenzione Europea di Strasburgo (art. 3 Cedu). La Corte di Cassazione, su ricorso proposto dal un narcotrafficante affetto da gravissima patologia, ha stabilito che “nella ritenuta persistenza di esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, pur a fronte di un quadro di patologie sanitarie particolarmente gravi non trattabili adeguatamente in ordinario regime carcerario, il giudice – in applicazione dell’art. 275 co. 4 ter c.p.p. – deve, anche di ufficio, disporre il trasferimento del detenuto, e non un eventuale ricovero temporaneo, in regime di arresti domiciliari presso idoneo «luogo di cura, di assistenza o di accoglienza». La norma in esame impone la giudice l’obbligo di provvedere in tal senso e non una mera facoltà, il cui esercizio vulnererebbe il diritto alla salute cui ogni cittadino, ancorché detenuto, ha diritto per dettato costituzionale (art. 32 Cost) ed europeo (art. 3 CEDU). In alternativa alla collocazione dell’imputato in idoneo luogo di cura carcerario, in ipotesi non praticabile, il giudice procedente o, per esso, il giudice dell’appello cautelare deve comunque sostituire la cautela carceraria con una delle previste meno afflittive misure. L’unica condizione subordinata che consente la permanenza del regime carcerario è costituita dalla possibilità del ricovero del soggetto «presso idonea struttura sanitaria penitenziaria», la cui attitudine ad un efficace trattamento terapeutico del detenuto non è rimessa all’esclusiva determinazione della direzione del sanitaria e amministrativa del carcere, ma è pur sempre ancorata alla decisione del giudice, che ne verifica l’attuabilità anche con il supporto di utili contributi tecnici”.