Nessuna violazione della privacy se i dati personali sono usati nel processo
Non costituisce violazione della privacy l’utilizzazione, nell’attività processuale, di documenti contenenti dati sensibili, qualora sia necessaria per esercitare il diritto di difesa, anche senza il consenso del titolare degli stessi.
E’ quanto disposto dalla Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione, nella sentenza 20 aprile – 29 settembre 2011, n. 35296.
Il caso riguardava una dottoressa che, per difendersi in un giudizio civile volto alla sua condanna al risarcimento dei danni in favore dell’odierna ricorrente, aveva proceduto al trattamento dei dati personali relativi allo stato di salute di quest’ultima, senza il consenso della stessa.
In particolare, la ricorrente sosteneva che il bilanciamento tra il diritto alla tutela dei propri dati personali sensibili ed il diritto di difesa dell’imputata sarebbe stato effettuato in violazione del principio di concretezza della ponderazione dei valori e di prevalenza del bene della dignità personale rispetto al diritto di credito sottostante alla sua tutela giurisdizionale.
A tal riguardo, la Suprema Corte, condividendo la pronuncia espressa recentemente dalle Sezioni Unite Civili in una controversia relativa al trattamento dei dati sensibili, ha richiamato il principio di diritto secondo cui: “in tema di protezione dei dati personali, non costituisce violazione della relativa disciplina il loro utilizzo mediante lo svolgimento di attività processuale giacchè detta disciplina non trova applicazione in via generale, ai sensi del D.Lgs. n. 193 del 2003, artt. 7, 24, 46 e 47 (c.d. codice della privacy), quando i dati stessi vengano raccolti e gestiti nell’ambito di un processo; in esso, infatti,, la titolarità del trattamento spetta all’autorità giudiziaria e in tal sede vanno composte le diverse esigenze, rispettiva mente, di tutela della riservatezza e di corretta esecuzione del processo, per cui, se non coincidenti, è il codice di rito a regolare le modalità di svolgimento in giudizio del diritto di difesa e dunque, con le sue forme, a prevalere in quanto contenente disposizioni speciali e, benchè anteriori, non suscettibili di alcuna integrazione su quelle del predetto codice della privacy” (Sez. Unite, sentenza 8 febbraio 2011, n. 3034).
La facoltà di difendersi in giudizio utilizzando gli altrui dati personali deve essere esercitata nel rispetto dei doveri di correttezza, pertinenza e non eccedenza previsti dalla L. n. 675 del 1996, art. 9, lett. a) e d), per cui la legittimità della produzione deve essere considerata in base al bilanciamento tra il contenuto del dato sensibile utilizzato, ed il diritto di difesa.
Nel caso de quo, la Cassazione ha rigettato il ricorso, in quanto il trattamento dei dati sensibili è stato fatto dall’imputata al fine di difendersi in giudizio, essendo il diritto di difesa prevalente rispetto alle esigenze di segretezza della ricorrente.