Niente abuso d’ufficio per il sindaco che delinea su misura del candidato il profilo per accedere al concorso
Non si configura l’abuso d’ufficio nei confronti del sindaco che, prima
di pubblicare il bando di concorso per l’attribuzione di una carica
pubblico ufficiale, costruisce un profilo ad hoc che rende noto il
candidato prescelto, se dimostra che tale azione è stata diretta, in
buona fede, al perseguimento dell’interesse pubblico. Tecnicamente,
infatti, in questo caso manca l’elemento soggettivo del reato, cioè che
l’evento di danno o il vantaggio patrimoniale sia conseguenza diretta e
immediata dell’azione posta in essere dall’agente. In pratica, il
cosiddetto dolo intenzionale. Lo ha chiarito la Cassazione nella
sentenza 4979/10 con cui ha annullato (perchè il fatto non costituisce
reato) la condanna per abuso d’ufficio inflitta ad un sindaco che per
il posto di comandante della polizia municipale aveva modificato il
regolamento comunale prefigurando così un profilo ad hoc del candidato
che andava a valorizzare le esperienze professionali di una persona in
particolare. Per la Suprema corte, infatti, la condotta del sindaco –
che non aveva nessun rapporto personale con il candidato prescelto –
era stata ispirata al perseguimento dell’interesse pubblico. «La
valorizzazione del servizio svolto rispetto al titolo di studio – si
legge nella sentenza in esame – è stata una scelta funzionale non a
favorire il candidato ma ad individuare, attraverso il concorso, una
persona in grado di risolvere la situazione contingente di contrasti
interni e di mancanza di disciplina creatasi all’interno del Corpo
della polizia municipale, situazione che necessitava di una conduzione
sicura e di “polso” che poteva essere garantita dall’esperienza più che
dal titolo di studio». In punto di diritto, poi, bisogna tener presente
che il reato di abuso d’ufficio richiede il dolo intenzionale «cioè che
l’agente deve aver agito proprio per perseguire uno degli eventi tipici
della fattispecie incriminatrice, ossia l’ingiusto vantaggio
patrimoniale, per sé o per altri, ovvero l’altrui danno ingiusto».
Elemento assente nel caso in esame.