No al giudice di pace che compensa le spese quando il contribuente ha scelto di non stare da solo in giudizio
Presidente Settimj – Relatore Correnti
Pm Uccella – difforme – Ricorrente Martin
Fatto e diritto
Martin Caterina impugna per cassazione la sentenza n. 112/05 con la quale il G.d.P. di Albenga, pur avendone accolto l’opposizione proposta avverso la cartella esattoriale n. 10320031002562970/001 notìficata il 23.12.03, ha, tuttavia, compensato le spese del giudizio ritenendo che la possibilità di stare in giudizio personalmente comporta che resta a carico del soggetto che vuole avvalersi di un difensore la relativa spesa.Non svolge difese la Sestri spa.Con unico motivo denunzia violazione degli artt. 90 ss., 82, 83, 112, 132 c.p.c. per l’avvenuta compensazione delle spese.Le censure meritano accoglimento.Ciò, nonostante il prevalente indirizzo giurisprudenziale espresso, in materia, da questa Corte (cfr. da ultimo Cass. 17.4.04 n. 5405, 28.11.03 n. 17962) che, anche recentemente (Cass. 26.4.05 n. 8623), ha ribadito come, in materia di spese processuali, il giudice possa disporre la compensazione anche senza fornire, al riguardo, alcuna motivazione, e senza che – per questo – la statuizione diventi sindacabile in sede di impugnazione e di legittimità, atteso che la valutazione dell’opportunità della compensazione, totale o parziale, delle spese rientra nei poteri discrezionali del giudice di merito, sia nell’ipotesi di soccombenza reciproca, sia in quella della ricorrenza di giusti motivi; come, in particolare, il sindacato del giudice di legittimità sia limitato ad accertare che non risulti violato il principio secondo il quale le spese non possono essere poste a carico della parte totalmente vittoriosa o che siano addotte ragioni palesemente o macroscopicamente illogiche e tali da inficiare, per la loro inconsistenza od evidente erroneità, lo stesso processo formativo della volontà decisionale.
Non si può, infatti, omettere di considerare come, se pure in ipotesi particolari qual è il caso di specie – laddove il cittadino è stato assoggettato ad esazione fiscale senza che ne ricorressero i presupposti in fatto, come pur riconosciuto dal giudice a quo, ed ha dovuto far valere in giudizio il proprio diritto soggettivo accollandosene le relative spese e, tuttavia, lo stesso giudice ha compensato le spese in dispositivo senza neanche accennare, in motivazione, alla ricorrenza di quei “giusti motivi” la cui valutazione lo stesso art. 92 c.p.c. espressamente pone quale presupposto della pronunzia di compensazione, giusti motivi obiettivamente non ipotizzabili per alcun verso nel caso concreto e non sostituibili dalla possibilità di difendersi personalmente – la compensazione delle spese venga a rappresentare una determinazione del tutto arbitraria e si traduca in una lesione dell’effettività della tutela giurisdizionale.Ed è anche il caso di evidenziare come con altre pronunzie recenti – e pluribus, Cass. 15.3.06 n. 5783, 25.1.06 n. 1422 – questa Corte abbia ritenuto illegittima la compensazione delle spese anche ove, in casi analoghi a quello in esame, siano stati genericamente allegati “giusti motivi” laddove dalla motivazione della sentenza nessun giusto motivo potevasi desumere.Nella specie, il giudice ha compensato le spese solo in relazione alla possibilità di difendersi personalmente, senza considerare che il cittadino, con l’adire il giudice e con il farsi assistere innanzi .ad esso da un professionista, ha esercitato dei diritti espressamente attribuitigli dall’ordinamento e garantiti dalla Carta fondamentale; onde risulta in contrasto con gli uni e con l’altra – oltre che con la razionale obiettiva considerazione delle difficoltà cui va incontro il cittadino stesso, inesperto non solo delle norme sostanziali e processuali, ma anche degli uffici e delle loro prassi, imputare a colpa il mancato esercizio della facoltà di difendersi personalmente innanzi al giudice, facoltà che, proprio in quanto tale, implica l’esclusione dell’obbligatorietà della condotta alternativa per espressa previsione del legislatore, e pertanto non è consentito al giudice sanzionare indirettamente e di fatto il detto suo mancato esercizio attraverso l’accollo delle spese.
Per il che sembra, piuttosto, preferibile, nei casi quali quello di specie, aderire a quella giurisprudenza, se pure minoritaria ma recentemente ribadita da Cass. 1422/06 e 5783/06, per la quale il potere di compensazione delle spese processuali può ritenersi legittimamente esercitato da parte del giudice in quanto risulti affermata e giustificata, in sentenza, la sussistenza dei presupposti cui esso è subordinato, sicché, come il mancato esercizio di tale potere non richiede alcuna motivazione, così il suo esercizio, per non risolversi in mero arbitrio, deve essere necessariamente motivato, nel senso che le ragioni in base alle quali il giudice abbia accertato e valutato la sussistenza dei presupposti di legge devono emergere, se non da una motivazione esplicitamente “specifica”, quanto meno da quella complessivamente adottata a fondamento dell’intera pronuncia, cui la decisione di compensazione delle spese accede, onde la mancanza assoluta di motivazione, implicita od esplicita, della decisione di compensazione delle spese nei sensi sopra descritti integra gli estremi della violazione di legge (art. 92, secondo comma c.p.c.), denunciabile e sindacabile anche in sede di legittimità.Si possono anche richiamare, a proposito dell’effettività della tutela giurisdizionale, le pronunzie del giudice delle leggi nn. 419/95 e 26/99, mentre è da sottolineare come la tesi sopra accennata trovi riscontro anche nella motivazione della pronunzia 395/04 che non ha potuto estendersi al merito della questione in ragione dell’evidente inammissibilità della sua prospettazione nel caso concreto.
L’impugnata sentenza va, dunque, annullata, e la causa, di conseguenza, rimessa per nuovo esame ad altro giudice del merito, che s’indica in diverso magistrato del medesimo ufficio del G.d.P. di Albenga, cui è anche demandato, ex art. 385 c.p.c., di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.
PQM