No al licenziamento per giusta causa del lavoratore che si azzuffa con un collega
L’elencazione delle ipotesi di giusta causa di licenziamento contenuta nei contratti collettivi ha valenza meramente esemplificativa e non esclude, perciò, la sussistenza di una giusta causa per un grave inadempimento o per un grave comportamento del lavoratore contrario alle norme della comune etica o del comune vivere civile, alla sola condizione che tale grave inadempimento o tale grave comportamento, con apprezzamento di fatto del giudice di merito non sindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, abbia fatto venir meno il rapporto fiduciario tra datore di lavoro e lavoratore.” Ribadendo tale principio la Corte di Cassazione, con sentenza n. 6500/2011, ha respinto il ricorso di una azienda che aveva licenziato due dipendenti che, in sala mensa, in presenza di altro personale, si erano impegnati in un diverbio litigioso, seguito da vie di fatto, reiterato successivamente in prossimità dello spogliatoio. Sia il Giudice di primo grado che la Corte di Appello avevano dichiarato l’illegittimità dei licenziamenti ed il datore di lavoro aveva allora proposto ricorso in Cassazione deducendo in particolare violazione dell’art 55 del ccnl applicabile in relazione all’art 2119 cc. A tal proposito, la Suprema Corte precisa che “la nozione di giusta causa è nozione legale e il giudice non è vincolato alle previsioni di condotte integranti giusta causa contenute nei contratti collettivi; tuttavia ciò non esclude che ben possa il giudice far riferimento ai contratti collettivi e alle valutazioni che le parti sociali compiono in ordine alla valutazione della gravità di determinati comportamenti rispondenti, in linea di principio, a canoni di normalità; il relativo accertamento va, però, operato caso per caso valutando la gravità in considerazione delle circostanze di fatto e prescindendo dalla tipologia determinata dai contratti collettivi, sicchè il gudice può escludere che il comportamento costituisca di fatto una giusta causa, pur essendo qualificato come tale nei contratti collettivi solo in considerazione delle circostanze concrete che lo hanno caratterizzato.” Gli Ermellini confermano quindi la sentenza dei giudici d’Appello, supportata da una motivazione congrua e priva di salti logici con corretta applicazione della normativa, sostenendo che il diverbio era avvenuto per questioni non connesse alle disposizioni impartite dal datore di lavoro, durante una pausa lavorativa e lontano dai reparti produttivi, per cui non si era avuta alcuna interruzione dell’attività lavorativa nè azioni delittuose connesse con lo svolgimento del rapporto di lavoro.