No all’omologazione del concordato preventivo senza transazione con il fisco su IVA
Con la sentenza n. 22931, depositata il 4 novembre 2011, la Corte di Cassazione ha stabilito che in tema di falcidia dell’Iva, non può essere omologato il concordato preventivo se l’azienda in crisi non ha posto in essere la transazione con il fisco. Il si dell’amministrazione non è necessario, invece, per gli altri crediti di imposta diversi dall’Iva. Questo è il principio di diritto espresso dalla prima sezione civile del Palazzaccio in quasi dieci pagine di motivazione. Secondo quanto si apprende dalla lettura della sentenza, l’Agenzia delle Entrate ricorreva per cassazione avverso la decisione della Corte di Appello che aveva rigettato il suo reclamo nei confronti del decreto con il quale il Tribunale aveva omologato la proposta di concordato preventivo presentata da una s.a.s. L’Agenzia deduceva la violazione degli art. 160 e 182 ter della legge fallimentare per aver la Corte d’appello ritenuto ammissibile la proposta contenente, tra l’altro, la falcidia dei crediti tributari benché non fosse stato effettuato lo specifico interpello dell’ufficio fiscale previsto nell’art. 182 ter l.fall. L’Agenzia deduceva inoltre, con il secondo motivo, la violazione dell’art. 182 ter l. fall. per avere la Corte territoriale ritenuto ammissibile la falcidia anche del credito per IVA, costituente risorsa propria della Comunità europea e possibile oggetto di transazione unicamente quanto ai tempi di pagamento. La Corte di Cassazione, accogliendo il secondo motivo di ricorso, ha spiegato che, “con l’art. 32 del d.l. 29 novembre 2008 n. 185 è stato modificato il primo comma dell’art. 182. ter l. fall. e tra l’altro è stata introdotta la precisazione secondo la quale ‘con riguardo all’imposta sul valore aggiunto, la proposta può prevedere esclusivamente la dilazione del pagamento’, disposizione in seguito estesa anche alla ritenute previdenziali effettuate e non versate. La disposizione ha troncato la discussione in corso circa la ricomprensione o no dell’IVA tra ‘i tributi costituenti risorse proprie dell’Unione europea’ esclusi dalla possibilità di falcidia fin dall’originaria formulazione della norma e ritiene il Collegio che la stessa, in realtà, si ponga su di un piano di continuità con il primitivo dettato legislativo (per l’analogo rapporto tra riforma e decreto correttivo: Cass. civ. sent. n. 22150/10) chiarendone e confermandone l’interpretazione e che quindi pure questo si riferisse anche all’IVA, dovendosi intendere il richiamo al tributo come risorsa riferito non già al gettito effettivo (venendo in realtà il contributo per IVA calcolato prescindendo da questo) bensì alla specie di tributo individuata quale parametro per il trasferimento di risorse all’Unione e la cui gestione, sia normativa che esecutiva, è di interesse comunitario e come tale sottoposta a vincoli. Da ciò consegue la non predicabilità della esclusione della falcidia dell’IVA anche per i concordati cui non sia applicabile ratione tempotis la recente modifica legislativa sul punto”. Quanto, infine, al primo motivo di ricorso, ritenuto infondato, la Corte ha precisato che “la ritenuta obbligatorietà della transazione fiscale/ intesa come necessario interpello dell’erario, pur in presenza della volontà del debitore di non voler accettare di pagare un debito superiore a quello già considerato nella proposta, presuppone la dimostrazione dell’esistenza di un interesse concreto e degno di tutela dell’Amministrazione ad essere comunque sollecitata a svolgere le attività previste dall’art. 182-ter; interesse che non è dato ravvisare, posto che l’Ufficio, pur in assenza dell’interpello, non viene minimamente pregiudicato nel suo diritto di evidenziare compiutamente le sue pretese (anche in sede di adunanza e ai fini del voto) e di perseguire l’accertamento prima e il soddisfacimento poi”.