Non basta solo la cartella clinica ma serve la visita specialistica per negare gli arresti domiciliari
Necessario l’accertamento peritale per escludere la sostituzione della misura custodiale, anche in caso di esigenze cautelari molto stringenti
Per respingere l’istanza di sostituzione della misura della custodia cautelare in carcere con i domiciliari non basta solo la cartella clinica dell’indagato: il magistrato deve sempre accertare lo stato di salute nominando un perito che attesti o meno l’incompatibilità con lo stato di detenzione in carcere. Lo ha sancito la Cassazione che, con la sentenza 44807 del 15 novembre 2012, ha ritenuto fondato il ricorso di un condannato contro la decisione del tribunale di Torino che ha respinto l’istanza di sostituzione della misura della custodia cautelare in carcere con quella degli arresti domiciliari. La seconda sezione penale ha ritenuto erronea la valutazione della Corte territoriale perché non basata sulle “reali” condizioni di salute, visto che non c’è stato alcun accertamento specialistico da parte di un perito che valutasse le condizioni di salute e la loro compatibilità con lo stato di detenzione in carcere. Al riguardo Piazza Cavour ha ricordato che «in tema di revoca o sostituzione della misura della custodia cautelare in carcere, secondo l’articolo 299 ter Cpp, se la richiesta è basata sulle condizioni di salute di cui all’articolo 275 Cpp, ovvero se tali condizioni sono segnalate dal servizio sanitario penitenziario, il giudice, ove non ritenga di accoglierla, dispone gli accertamenti medici del caso, nominando un perito – non impone automaticamente al giudice la nomina del perito se non sussista un apprezzabile “fumus”, e cioè se non risulti formulata una diagnosi di incompatibilità dello stato di salute con quello detentivo o comunque non si prospetti una situazione patologica tale da non consentire adeguate cure in carcere». E ancora, che «nel caso in cui il giudice non ritenga di accogliere, sulla base degli atti, la richiesta di revoca o di sostituzione della custodia cautelare in carcere basata sulla prospettazione di condizioni di salute incompatibili con lo stato di detenzione o comunque tali da non consentire adeguate cure inframurarie, è tenuto a disporre gli accertamenti medici, nominando un perito, secondo quanto disposto dall’articolo 299 ter Cpp. Mentre gli è inibito respingere la domanda solo perché, in via preliminare, si prefiguri la sussistenza di esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, non potendo tale apprezzamento che essere successivo all’accertamento peritale che offre il parametro di comparazione». Insomma, per gli Ermellini la mera relazione sanitaria, non poteva attestare con certezza una delibazione in senso favorevole alla compatibilità dello stato di salute con il segnalato rischio di aggravamento concreto: ossia, la condizione patologica instabile del reo, «pur provvisoriamente compatibile ma potenzialmente proiettata» verso un concreto peggioramento, doveva legittimare l’accertamento peritale.