Non è diffamazione dare del «compagno di merende» al politico avversario
Non è diffamazione definire «compagno di merende» l’avversario politico
che tramando provoca al rivale un’ingiusta detenzione. La Corte di
Cassazione con la sentenza n. 41551, depositata oggi, (il testo
integrale sul sito www.guidaaldiritto.ilsole24ore.com)
ha così confermato l’assoluzione nei confronti di un ex presidente
della Provincia di Reggio Calabria condannato in primo grado per
diffamazione e assolto in Corte d’Appello.
La condanna in primo grado era arrivata in seguito alle
affermazioni fatte dall’ex amministratore nel corso di una conferenza
stampa, durante la quale aveva attribuito l’appellativo di «compagno di
merende» all’esponente di un diverso schieramento politico che lo aveva
spedito in carcere dopo aver raccolto e diffuso le dichiarazioni di un
pentito che lo indicava come un esponente di un’associazione mafiosa.
Accusa che era costata all’ex capo dell’Ente locale un periodo di
custodia cautelare in carcere per corruzioni e associazione criminale.
A queste pendenze si era aggiunta la condanna in primo grado anche
per diffamazione. Una decisione rivista dalla Corte d’Appello solo
quando all’ex presidente è stato riconosciuto il danno da ingiusta
detenzione per essere stato assolto da tutte le accuse mosse contro di
lui. Contro questo verdetto si è appellato alla Suprema corte il suo
accanito “oppositore”, sostenendo che mancava un nesso tra le due
assoluzioni essendo i reati contestati del tutto differenti. Non la
pensano così i giudici di piazza Cavour che confermano l’assoluzione
anche in merito al reato di diffamazione, riconoscendo all’ex capo
dell’amministrazione provinciale di aver detto la verità quando parlava
di un complotto. E la verità – afferma il collegio – è insieme alla
pertinenza e alla continenza, uno dei limiti posti per il legittimo
esercizio del diritto di critica e di cronaca. Paletti che, ad avviso
del collegio non sono stati superati.