Non è reato dare dei razzisti ai poliziotti che trattengono illecitamente gli stranieri
Non risponde di ingiuria chi dà del “razzista” ai poliziotti che trattengono gli immigrati solo perché stranieri. L’espressione offensiva deve infatti considerarsi una reazione legittima e comprensibile di fronte all’atteggiamento discriminatorio messo in atto dalle forze dell’ordine. E’ quanto ha stabilito la Suprema Corte nella sentenza 29338 di oggi, accogliendo il ricorso di un giovane di Firenze contro la sentenza con cui il giudice di pace del capoluogo toscano lo condannava a mille euro di multa, ritenendolo colpevole del reato di ingiuria ai danni di alcuni agenti di polizia. Il giovane, dottorando in storia e attivamente impegnato nel dibattito sull’integrazione, aveva accusato apertamente di razzismo alcuni poliziotti, che, dopo aver identificato due cittadini nigeriani, li avevano trattenuti senza alcun motivo, e quindi in modo illecito. Il ragazzo si giustificava sottolineando che l’uso del termine “razzisti”, sottintendeva una critica al modo di fare degli agenti, ed era frutto di un clima intimidatorio. I giudici di piazza Cavour hanno dato ragione all’imputato, affermando che “non risulta smentito da risultanze processuali che la sua espressione di critica all’operato degli agenti di polizia, consistente nella non corretta limitazione della libertà di stranieri , già sottoposti con esito positivo agli accertamenti di rito, possa rientrare nel diritto dei cittadini di sottoporre a controllo e a valutazioni negative l’azione dei pubblici funzionari, che appaiano difformi rispetto a norme di legge e ai supremi principi della nostra Costituzione”. Non solo. Gli Ermellini hanno tenuto a precisare che “queste valutazioni sono di immediata rilevanza sociale, perché dalla loro formulazione, indenne da reazioni positive da parte dello Stato, dipende la sussistenza e il consolidarsi della democrazia nel nostro paese”.