Non impugnare l’atto amministrativo non sempre costituisce negligenza
La tenuta da parte del soggetto danneggiato di una condotta, attiva od omissiva, contraria al principio di buona fede ed al parametro della diligenza, che consenta la produzione di danni che altrimenti sarebbero stati evitati, recide, in tutto o in parte, il nesso causale che ai sensi dell’art. 1223 del cod. civ. deve legare la condotta antigiuridica alle conseguenze dannose risarcibili.
E’ il principio, già stabilito dal Consiglio di Stato (Ad. Plen. 23 marzo 2011, n. 3), riaffermato con la sentenza 3 maggio 2011, n. 3766 dal TAR Lazio.
Si tratta dell’applicazione dei principi contenuti nelle norme processuali di cui agli artt. 30 e 34 del Codice processuale amministrativo (cpa) e che dispongono a carico del giudice amministrativo l’obbligo di valutare tutte le circostanze di fatto e il comportamento complessivo delle parti, escludendo il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l’ordinaria diligenza, anche attraverso l’esperimento degli strumenti di tutela previsti (art. 30, comma 3 cpa). L’obbligo di cooperazione di cui al comma 2 dell’art. 1227 del cod. civ. ha fondamento nel canone di buona fede ex art. 1175 cod. civ. e, quindi, nel principio costituzionale di solidarietà. Anche le scelte processuali di tipo omissivo possono costituire in astratto comportamenti apprezzabili ai fini della esclusione o della mitigazione del danno in quei casi in cui si appuri, alla stregua del giudizio di causalità ipotetica, che le condotte attive trascurate non avrebbero implicato un sacrificio significativo ed avrebbero verosimilmente inciso, in senso preclusivo o limitativo, sul perimetro del danno.
In particolare, nella valutazione del giudice assumono rilevanza sostanziale le eventuali condotte negligenti, eziologicamente pregnanti, tenute dalle parte anche con riferimento alle scelte processuali percorse. Al riguardo, riferendosi espressamente al caso deciso dal TAR Lazio con la sentenza n. 3766/2011, vengono in rilievo sia l’art. 124 del codice del processo amministrativo sia l’art. 243 bis del Codice dei contratti pubblici di cui al decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163. Infatti, nel caso di specie, la ricorrente, collocata al secondo posto in una procedura di evidenza pubblica per la realizzazione di soggiorni estivi per anziani autosufficienti e parzialmente autosufficienti, diffidava la stazione appaltante dal procedere all’affidamento del servizio all’aggiudicataria, in quanto priva di un requisito previsto a pena di esclusione dal bando.
La diffida rimaneva peraltro priva di riscontro, così come l’informativa data dal ricorrente alla stazione appaltante in ordine all’intento di proporre ricorso giurisdizionale, in conformità a quanto previsto dal Codice degli appalti (art. 243 bis).
A seguito dell’inerzia della stazione appaltante, la ricorrente proponeva ricorso volto all’accertamento del diritto al risarcimento del danno. Il TAR Lazio giudicava fondate le ragioni della ricorrente in quanto la condotta della parte, con specifico riferimento alla omessa tempestiva impugnazione degli atti di gara, non può essere valutata ai fini della esclusione o della mitigazione del danno evitabile con l’ordinaria diligenza. Come si è visto, la ricorrente aveva sia diffidato la stazione appaltante dal procedere all’affidamento del servizio all’aggiudicataria sia notificato alla stazione appaltante l’informativa di cui all’art. 243 bis del Codice degli appalti.
La proposizione di tempestiva impugnazione intesa all’annullamento degli atti di gara rischiava di non essere di alcuna utilità sul piano del conseguimento di un risarcimento in forma specifica. Pertanto, secondo Il TAR Lazio, l’omessa impugnativa degli atti di gara non rileva nel caso de quo ai fini dell’esclusione o della mitigazione del danno che deve essere risarcito. Conclusivamente, il TAR ha condannato la stazione appaltante al pagamento in favore della ricorrente, a titolo di risarcimento del danno, dell’importo di € 20.000,00, secondo una determinazione equitativa della somma dovuta.