Non può più fare sesso dopo un incidente? Per la Cassazione merita un risarcimento
ROMA – Chi causa l’impotenza altrui deve risarcire la vittima.
Perché si tratta di un “danno esistenziale”. Lo sancisce la Corte di
Cassazione nell’accogliere il ricorso di Luca C., un romano single da
come si evince in sentenza, era rimasto impotente in seguito ad un
incidente stradale.
Secondo la Cassazione il “diritto alla sessualità “rientra tra “i
diritti umani inviolabili”, pertanto “la perdita o la compromissione
anche soltanto psichica della sessualità (come avviene nei casi di
stupro e di pedofilia) costituisce di per sè un danno esistenziale”
meritevole di essere risarcito. Il principio è contenuto nella sentenza
2311 della III sezione civile redatta dal consigliere Giovanni Battista
Petti.
Luca C. era diventato impotente nell’estate del ’94 in seguito ad un
incidente automobilistico a responsabilità esclusiva dell’altro
conducente, che tra le altre conseguenze gli provocò una “impotentia
coeundi per la invalidità dell’asta virile e la insufficienza del tono
virile”, con” conseguente sindrome soggettiva ansioso depressiva”, si
legge in motivazione.
Ora, dopo cinque anni il Tribunale di Roma, giugno ’99, decretò che
l’assicurazione dell’automobilista colpevole rifondesse Luca con 810
milioni di vecchie lire come risarcimento danni generico. Nemmeno la
Corte d’appello della capitale nel 2002 riconobbe i danni patiti da
Luca “per la grave compromissione dell’attività sessuale”. Da qui la
battaglia dell’uomo fino in Cassazione per una migliore liquidazione
del danno biologico.
In particolare, gli ‘ermellini’ nell’accogliere il ricorso di Luca,
bacchettano i colleghi del merito sottolineando che “sul punto la
sentenza impugnata sorvola, con una enunciazione illogica e contraria
al principio fondamentale della inviolabilità dei diritti umani” che
costituiscono “il patrimonio irretrattabile della persona umana”. In
pratica, la Corte d’appello aveva riconosciuto al giovane postumi
dall’incidente pari al 20%. Ma secondo la Cassazione il ragionamento è
“errato nei principi fondamentali, posto che i diritti umani
inviolabili nè si confondono con i danni esistenziali, nè restano
assorbiti nella globalità e complessità del danno biologico, ove
abbiano una lesione propria, giuridicamente configurata come lesione
del diritto”.
Se poi si considera nell’ottica della “procreazione” o della “vita
sessuale familiare”, la Suprema Corte rileva che “certamente questi
ulteriori aspetti sarebbero rilevanti ai fini della equilibrata
valutazione del danno anche ai fini di un congruo ristoro”. Sarà ora la
Corte d’appello di Roma a quantificare i danni subiti da Luca C. anche
in relazione alla perdita della capacità sessuale, oltre a quella
lavorativa.