Non sempre le agenzie interinali possono tenere le copie dei documenti d’identità
All’origine della pronuncia del Garante, la segnalazione di un soggetto sulla possibile violazione della disciplina di protezione dei dati personali sorta in relazione all’acquisizione, da parte di un’agenzia interinale, di copia del proprio documento di identità nell’ambito dello svolgimento di un “colloquio conoscitivo”.
La società, in base alla disciplina di settore che ha istituito uno specifico regime in ordine allo svolgimento delle attività delle c.d. agenzie per il lavoro (D.Lgs. n. 276/2003, art. 4), risulta autorizzata a svolgere, tra le altre, l’attività di intermediazione in materia di lavoro. Perciò sono lecite le operazioni poste in essere dagli incaricati della società necessarie alla corretta identificazione, a seconda dei casi, dei candidati, essendo ciò prodromico e funzionale all’esecuzione delle prestazioni. L’identità dell’interessato, ove non già nota, può quindi essere verificata chiedendo l’esibizione di un documento di identità ed eventualmente annotandone gli estremi.
Deve ritenersi invece eccedente (ai sensi dell’art. 11, comma 1, lett. d), del Codice della Privacy, D.lgs. n. 196/2003), riguardo all’attività di raccolta dei curricula di candidati allo scopo di effettuare una preselezione e costituire un’apposita banca dati, l’acquisizione e la successiva conservazione di copia del documento di identità dell’interessato.
In considerazione, poi, del preoccupante fenomeno del c.d. furto di identità ‒ nell’ordinamento nazionale contrastato con il D.Lgs. n. 64/2011 ‒, la massima cautela “deve imporsi nell’acquisizione di copie di documenti di identità, limitandola ai casi in cui puntuali previsioni normative ne richiedano l’acquisizione – ipotesi la cui ricorrenza, nel caso di specie, non è stata rappresentata dal titolare del trattamento – ovvero ne risulti provata l’indispensabilità”.
Il Garante ritiene che il trattamento dei dati personali consistente nella conservazione di copia del documento identificativo nello svolgimento delle prestazioni rese dalla società nell’ambito dell’attività di intermediazione in materia di, si ponga in violazione del principio di pertinenza e non eccedenza rispetto agli scopi legittimamente perseguiti. Quindi, ai sensi degli artt. 154, comma 1, lett. d), 144 e 143, comma 1, lett. c), del Codice, l’Autorità ritiene di doverne vietare l’ulteriore trattamento per analoghe finalità.
Fonte: www.fiscopiu.it
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