Non soffrire è un diritto dei malati
Il 15 marzo 2010 il Parlamento italiano ha approvato all’unanimità la legge n. 38, quella sulle cure palliative e sulla terapia del dolore. “Una legge molto importante, che ha introdotto anche elementi di qualità, come quello della separazione tra la rete delle cure palliative e la rete dei centri antidolore. Ora abbiamo tutti la responsabilità di fare applicare questa legge nella pratica, sviluppando i centri antidolore, coinvolgendo i medici generici, le Regioni e le aziende sanitarie”. E’ quanto ha detto il Senatore Antonio Tomassini, Presidente della XII Commissione permanente Igiene e Sanità, nel suo intervento alla presentazione dell’indagine sul dolore cronico e sui percorsi assistenziali, realizzata da Cittadinanzattiva-Tribunale dei diritti del malato e presentata oggi a Roma.
“Non siamo nati per soffrire” è il titolo dell’indagine, titolo che fa riferimento ad uno dei 14 articoli della Carta europea dei diritti del malato: il diritto a non soffrire. L’indagine, realizzata in 7 Regioni (Campania, Calabria, Lazio, Liguria, Lombardia, Sicilia, Veneto) attraverso 418 questionari rivolti a pazienti in cura presso i Centri di terapia del dolore, pazienti affetti da patologia cronica e medici di famiglia, mostra chiaramente come sul dolore cronico ci siano ancora problemi di approccio culturale e di informazione.
La mancanza di informazione si riflette prima di tutto sul paziente, che spesso fa passare tanto tempo prima di riconoscere che il suo è un dolore cronico e che non è condannato a soffrire, ma ci sono cure adeguate al suo caso. Un cittadino su tre, infatti, attende mesi o anche anni prima di consultare un medico rispetto al suo dolore: nel 29% dei casi il dolore viene sopportato o sottovalutato dal paziente, nel 23% viene curato con antidolorifici. E la motivazione principale dell’attesa è la mancanza di informazione: il 27,6% non è stato indirizzato da nessuno presso un centro e il 17,3% ignorava la presenza di centri specializzati.
Per il paziente affetto da dolore cronico rimane prioritaria la figura del medico generico, che continua ad essere un soggetto centrale nel riconoscimento del problema. Oltre la metà dei pazienti, però, deve consultare da 2 a 5 medici prima di giungere ad un centro specializzato per la cura del dolore e nel frattempo passano mesi o anni. Un altro problema è il tempo, troppo breve, della durata delle visite. Il 55% dei pazienti non si sente sufficientemente ascoltato e il 63% dei medici segnala come problematica proprio la mancanza di tempo.
E veniamo allo scoglio principale che ruota attorno al dolore cronico: la mancanza di informazione. L’80% dei medici non segnala ai cittadini l’esistenza di specifici centri di terapia del dolore e nel 53% delle Asl non esiste un sistema informativo sull’esistenza di tali servizi.
Positivo, invece, il quadro di chi si rivolge a questi centri: l’86% dei pazienti che vi accedono valutano positivamente la gestione dei proprio dolore e il 94% ritiene che gli specialisti del Centro prestino ascolto e comprendano il problema. I tempi di attesa risultano sostanzialmente accettabili, anche se variano da Regione a Regione perché questi Centri non sono ancora diffusi uniformemente sul territorio, né in numero sufficiente rispetto alle esigenze dei cittadini. E’ importante specificare che l’indagine di Cittadinanzattiva non ha potuto prendere in considerazione gli effetti della legge approvata a marzo.
“Il nostro impegno – ha dichiarato il Vicepresidente di Cittadinanzattiva, Giuseppe Scaramuzza – sarà quello di valutare l’applicazione della legge ed informare i cittadini che non soffrire è un loro diritto. Quando la legge è stata approvata abbiamo pensato: finalmente l’Italia è un paese civile, visto che eravamo agli ultimi posti per le terapie del dolore, l’utilizzo degli oppiacei eccetera. Questo – ha concluso Scaramuzza – è un esempio dell’Italia che vogliamo, un paese unito sulle grandi questioni”.