NUMERO CHIUSO II UNIVERSITA’ E RICORSO ALLA GIUSTIZIA
La vicenda che vede protagonista la seconda Università degli studi di Napoli, e che ha vissuto nell’ordinanza del 16.10.2003 del TAR Campania una prima tappa verso il chiarimento definitivo della questione, ha riportato all’attenzione dell’opinione pubblica il famigerato “numero chiuso all’Università”.
L’istituto era stato in passato sottoposto al vaglio della Corte Costituzionale che, investita della questione da numerosi Tribunali Amministrativi, aveva però deciso per la costituzionalità della limitazione all’accesso alle Università.
Tra gli argomenti a sostegno della decisione della Consulta, intervenuta nel 1998, la circostanza che lo stesso ordinamento comunitario imponesse agli stati membri di predisporre, per alcuni corsi universitari con particolari caratteristiche, misure adeguate a garantire le previste qualità, teoriche e pratiche, dell’apprendimento.
Venne esclusa la illegittimità costituzionale delle norme introduttive del numero chiuso, in aderenza al principio per cui il potere organizzativo attribuito in materia universitaria al legislatore comporta, quale logica implicazione, il potere di disciplinare, anche limitandolo, il diritto allo studio costituzionalmente garantito.
Quale unica concessione ai sostenitori della tesi della violazione degli artt. 33 e 34 della Costituzione, la Consulta precisò che l’Amministrazione non è titolare, nel regolamentare l’accesso ai corsi universitari, di un potere svincolato dal rispetto dei limiti sostanziali imposti dall’ordinamento.
Come noto, le censure che sono state mosse contro le selezioni per l’accesso ai corsi di laurea in medicina svoltesi presso la II Università degli studi di Napoli, non contestano, quanto alla sua legittimità costituzionale, la scelta di fondo di limitare l’accesso per tale specifico corso di studi.
Tuttavia, i principi enucleati dalla stessa Corte Costituzionale impongono una lettura della vicenda, innescata dal mancato rispetto di norme relative alla regolarità delle prove, alla luce del valore eccezionale di un istituto quale quello del numero chiuso.
La dissonanza (a tale è stato degradato, da parte della corte costituzionale, il contrasto denunziato dai TAR nel 1998) di una limitazione all’accesso ai corsi di laurea con i primi commi degli artt. 33 e 34 della Costituzione, non sfugge all’interprete più distratto.
La libertà della scienza (art. 33) e la apertura a tutti della scuola (art. 34), rimangono invero fortemente compresse da limitazioni all’accesso ai corsi universitari, anche quando, come riconosciuto dalla Consulta, queste limitazioni trovano la propria giustificazione nella necessità di garantire agli iscritti a determinati corsi di laurea un adeguato livello della qualità – teorica e pratica – dell’apprendimento.
La delicatezza del tema rimane aggravata dalla circostanza che la limitazione all’accesso all’università incide sui destini dei giovani, contribuendo in maniera preponderante ad orientarne scelte di vita spesso definitive.
Le istituzioni dovrebbero sentire maggiormente l’altissima responsabilità del ruolo di arbitri di scelte ed avvenimenti strategicamente influenti sulla sfera esistenziale dell’individuo.
Da un lato, andrebbe garantita la completezza della valutazione, attraverso strumenti che consentano di giudicare gli studenti non solo in considerazione degli esiti di prove destinate a svolgersi in un brevissimo arco di tempo, ma anche dei risultati conseguiti e delle attitudini dimostrate nel corso del pregresso corso di studi.
Sotto questo aspetto, l’attuale formulazione delle prove, articolate sulla risoluzione di tests a risposta multipla, risulta del tutto inadeguata, presentandosi come una specie di roulette russa, incapace di garantire la valutazione delle reali attitudini e capacità dei candidati.
Dall’altro, le Università dovrebbero garantire con maggiore rigore la correttezza e la regolarità delle operazioni concorsuali, in modo che agli esiti del procedimento selettivo, agli stessi esclusi rimanga la serena convinzione di essere stati pretermessi in favore di candidati effettivamente più meritevoli.
Sotto questo aspetto, la vicenda della II Università degli Studi di Napoli, prescindendo dalle censure che hanno consentito l’accoglimento della istanza cautelare, apre squarci inquietanti.
Sarebbe addirittura emerso che alla prova avrebbero partecipato parenti di giovani concorrenti, in qualche caso già iscritti ai corsi di laurea, in altri addirittura già laureati.
Si tratta, insieme con le altre irregolarità più o meno gravi denunciate, di episodi che squalificano non solo chi li consente, ma anche chi se ne rende protagonista, gettando un’ombra sul senso civico e della legalità dell’intera città.
La coraggiosa ordinanza del TAR Campania del 16 ottobre (che ha ritenuto decisivo il rilievo del ritardo nell’inizio delle prove concorsuali) prende implicitamente posizione su alcuni di tali temi, stabilendo il principio, di cui sono sicuro beneficeranno in seguito anche altre istituzioni, del diritto del cittadino quantomeno al rispetto delle regole formali che dovrebbero garantire la regolarità sostanziale dell’azione amministrativa.
All’Università, ma anche al Parlamento ed al Governo, il compito di sciogliere, per il futuro, i delicati nodi che tuttora caratterizzano il tema della limitazione agli accessi all’università, in modo da rendere il meno doloroso possibile l’innegabile sacrificio imposto ai diritti del cittadino a scegliere liberamente il proprio corso di studi e conseguentemente a realizzarsi pienamente nella società attraverso il libero perseguimento dei propri obiettivi professionali.
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