Obama dichiara guerra alla camorra «I clan inquinano l’economia»
Nel segno della discontinuità, per cancellare accordi e complicità vecchi quasi settant’anni e il cinico pragmatismo che consentì, a quel tempo e poi per decenni ancora, di chiedere aiuto alla mafia per costruire la resistenza anti-tedesca. Sul filo di quella che fu la linea tracciata da Joe Petrosino, un secolo fa, spazzando via ogni sospetto di copertura e di tolleranza verso network criminali globalizzati che, a dirla con il presidente degli Stati Uniti, minacciano gli interessi del paese «creando alleanza con elementi corrotti dei governi e usando il potere e l’influenza di questi elementi per portare ulteriormente avanti le loro attività criminali».
Non ha ragioni filosofiche o etiche, lo stop nasce da esigenze squisitamente economiche. Ma è uno stop autentico, articolato in cinquantasei punti e in una rigida applicazione della legge americana sui sequestri dei beni nei confronti di chiunque aderisca a camorra, Cosa nostra, yakuza giapponesi, il cartello dei narcos messicani Las Zetas, mafia russa (che opera negli States con la sigla «Circolo dei fratelli») o, cittadino statunitense, faccia affari con le stesse associazioni.
Per la prima volta alla camorra viene data dignità di mafia internazionale. Il dipartimento del Tesoro, nella relazione di 38 pagine con la quale indica nel crimine organizzato «una minaccia per la sicurezza e l’economia americana» individua il pericolo nella sua capacità di gestire il mercato della contraffazione – paragonato, per pericolosità, al traffico di droga – con particolare riferimento a cd, dvd e software ma senza dimenticare le false griffe dei marchi di lusso, andando a intaccare una fetta significativa dell’economia nazionale.
Alla base del rapporto, licenziato ieri da Barak Obama, c’è infatti la convinzione che per combattere il crimine organizzato sia necessario attaccare il suo potere economico e proteggere i mercati finanziari da ogni abuso o corruzione. Anche perché, ha sottolineato Obama, il potere pervasivo delle holding mafiose sta provocando una «convergenza di minacce transnazionali che si stanno sviluppando per diventare sempre più complesse, pericolose e destabilizzanti». Una convinzione che gli Stati Uniti vogliono esportare nei Paesi alleati, cercando di ottenere quel consenso internazionale necessario a rafforzare la cooperazione multilaterale e la partnership pubblico-privato.
La camorra come le yakuza o i narcos sudamericani, una valutazione che è il frutto anche delle relazioni fatte dagli osservatori Usa in Italia e partite dal consolato americano a Napoli, che allo studio delle dinamiche criminali in Campania ha destinato una parte considerevole della sua attività. E se quello che era stato il territorio prescelto da Lucky Luciano – l’artefice dell’accordo tra il governo americano e la mafia per la preparazione dello sbarco alleato in Sicilia – nell’immediato dopoguerra, è stato individuato come il brodo di coltura di una organizzazione criminale capace di influenzare l’economia anche di altri continenti è in virtù dei risultati delle indagini svolte dalle Procure italiane, soprattutto quella napoletana, già riconosciuti in ambito europeo dalla commissione antifrode e da Eurojust.
La conseguenza è stata la stesura del rapporto, con le conseguenti pesantissime sanzioni. Così, se i cartelli camorristici campani, soprattutto i clan Mazzarella e Di Lauro, riescono ad acquisire le piazze di vendita attraverso le rete dei magliari (significativamente presente anche a Sten Island, roccaforte italo-americana a New York), ecco che dalla Casa Bianca arriva l’altolà, sotto forma di ordine esecutivo già firmato da Obama, alle transazione internazionali all’interno della rete criminale. Con quest’ordine, don Vito Corleone, quello del «Padrino» di Mario Puzo, non avrebbe mai potuto commercializzare l’olio d’oliva. E «Pizza connection» sarebbe stato solo il titolo di un film.