Ogm legittimi anche se le regioni non hanno adottato i piani di coesistenza
Se un’azienda agricola chiede al Ministero delle
politiche agricole, alimentari e forestali l’autorizzazione alla messa
in coltura di varietà di mais geneticamente modificate iscritte nel
catalogo comune europeo, il Ministero non può tergiversare anche se le
regioni non hanno adottato i piani di coesistenza perché il blocco
generalizzato dei procedimenti di autorizzazione in attesa
dell’intervento regionale esporrebbe lo Stato italiano a responsabilità
sul piano comunitario, rendendo di fatto inapplicabile nell’ordinamento
nazionale quello che è un principio imposto dal diritto comunitario.
Il diritto comunitario e gli OGM
La
direttiva 2001/18/CE costituisce il testo normativo fondamentale, in
punto sia di “immissione in commercio” di OGM «un organismo, diverso da
un essere umano, il cui materiale genetico è stato modificato in modo
diverso da quanto avviene in natura con l’accoppiamento e/o la
ricombinazione genetica naturale», sia di “emissione deliberata” di OGM
nell’ambiente. La direttiva è sufficientemente ampia per ricomprendervi
ogni fase dell’impiego di OGM in agricoltura, una volta superate le
complesse fasi di autorizzazione che la medesima direttiva prevede.
La procedura, infatti, comporta una penetrante
valutazione, caso per caso, degli eventuali rischi per l’ambiente e la
salute umana, connessi all’immissione in commercio, ovvero anche
all’emissione di ciascun OGM ai fini dell’uso agricolo. In tal senso,
in tema di coltivazione degli OGM, rilevante è la decisione della
Commissione n. 2002/623/CE del 24 luglio 2002 (recante note orientative
ad integrazione dell’Allegato II della direttiva 2001/18/CE) che ha
ulteriormente arricchito i criteri cui attenersi per la valutazione del
rischio ambientale, anche con particolare ed espresso riferimento alle
“pratiche agricole”. Sulla base di tali presupposti, è stato
successivamente emanato il regolamento n. 1829/2003 del 22 settembre
2003 (Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo agli
alimenti ed ai mangimi geneticamente modificati). Con tale regolamento
è stata prevista una forma di tutela per il regime degli alimenti
geneticamente modificati, chiarendo (art. 7, comma 5) che
«l’autorizzazione concessa secondo la procedura […] è valida in tutta
la Comunità».
Tutela economica e tutela della salute
Su
un piano connesso, ma distinto, è stata emanata la raccomandazione
2003/556/CE del 23 luglio 2003 (Raccomandazione della Commissione
recante orientamenti per lo sviluppo di strategie nazionali e migliori
pratiche per garantire la coesistenza tra culture transgeniche,
convenzionali e biologiche). Questa raccomandazione disciplina in modo
espresso ed analitico la coesistenza tra culture nell’ambito della
produzione agricola, ponendo come esplicita premessa il principio che
«nell’Unione europea non deve essere esclusa alcuna forma di
agricoltura, convenzionale, biologica e che si avvale di OGM». Questa
raccomandazione, muovendo dalla premessa secondo cui “gli aspetti
ambientali e sanitari” connessi alla coltivazione di OGM sono
affrontati e risolti esaustivamente alla luce del regime autorizzatorio
disciplinato dalla direttiva 2001/18/CE, circoscrive espressamente il
proprio campo applicativo ai soli “aspetti economici connessi alla
commistione tra culture transgeniche e non transgeniche”, in relazione
alle “implicazioni” che l’impiego di OGM può comportare sulla
“organizzazione della produzione agricola”. In sostanza, il fatto che
l’impiego di OGM autorizzati in agricoltura sia garantito dalla
normativa comunitaria ha trovato ulteriore conferma nella decisione
2003/653/CE della Commissione europea del 2 settembre 2003 (relativa
alle disposizioni nazionali sul divieto di impiego di organismi
geneticamente modificati nell’Austria superiore, notificate dalla
Repubblica d’Austria a norma dell’art. 95, par. 5, del Trattato CE),
con cui, ai sensi dell’art. 95 del Trattato, è stato respinto un
progetto di legge del Land dell’Austria superiore, che avrebbe voluto
vietare in via generale sul proprio territorio l’utilizzo di OGM, al
fine di proteggere i sistemi di produzione agricola tradizionali. In
questa decisione si è affermato che, in presenza delle disposizioni
comunitarie in materia miranti a “ravvicinare la legislazione degli
Stati membri”, questi ultimi non possono impedire la coltivazione delle
sementi OGM autorizzate, ma semmai eventualmente utilizzare la apposita
“clausola di salvaguardia” di cui all’art. 23 della medesima direttiva,
peraltro sempre in riferimento all’impiego di singoli OGM.
La disciplina statale
Con decreto
legislativo 8 luglio 2003 n. 224, di recepimento della direttiva
2001/18/CE, è stata posta un’analitica e complessa disciplina di tutela
allo specifico fine di «proteggere la salute umana, animale e
l’ambiente relativamente alle attività di rilascio di organismi
geneticamente modificati». Successivamente, con d.l. n. 279/2004, conv.
in l. n. 5/2005, è stata dettata una disciplina volta ad assicurare la
«coesistenza» tra colture transgeniche, biologiche e convenzionali che
devono essere «praticate senza che l’esercizio di una di esse possa
compromettere lo svolgimento delle altre», ciò al fine di tutelare le
peculiarità e le specificità produttive ed evitare ogni forma di
commistione tra le sementi transgeniche e quelle convenzionali e
biologiche. L’intervento del legislatore italiano ha fatto seguito alla
raccomandazione della Commissione europea del 23 luglio 2003 2003/556,
nella quale sono stati formulati gli orientamenti (non vincolanti)
concernenti gli aspetti più strettamente economici della coesistenza.
Secondo la Commissione, «gli agricoltori dovrebbero
poter scegliere liberamente quale tipo di coltura praticare,
convenzionale, transgenica o biologica e nessuna di queste forme di
agricoltura dovrebbe essere esclusa nell’Unione europea. […] La
coesistenza, quindi, si riferisce alla possibilità per i conduttori
agricoli di praticare una scelta tra colture geneticamente modificate,
produzione convenzionale e biologica, nel rispetto degli obblighi
regolamentari in materia di etichettatura o di standard di purezza»
(all. raccomandazione 2003/556 Ce, par. 1.1). Il d.l. n. 279/2004 è
stato espressamente adottato «in attuazione della raccomandazione della
Commissione 2003/556/CE del 23 luglio 2003» (art. 1), atto comunitario
che disciplina l’organizzazione della produzione agricola per gli
aspetti “economici conseguenti all’utilizzo in agricoltura di OGM ed,
invece, estraneo a profili “ambientali e sanitari”. Per la parte che si
riferisce al principio di coesistenza e che implicitamente ribadisce la
liceità dell’utilizzazione in agricoltura degli OGM autorizzati a
livello comunitario, il legislatore statale con l’adozione del citato
d.l. ha esercitato la competenza legislativa esclusiva dello Stato in
tema di tutela dell’ambiente (art. 117, secondo comma, lettera s, della
Costituzione), nonché quella concorrente in tema di tutela della salute
(art. 117, terzo comma, della Costituzione), con ciò anche determinando
l’abrogazione per incompatibilità dei divieti e delle limitazioni in
tema di coltivazione di OGM che erano contenuti in alcune legislazioni
regionali. Infatti, la formulazione e specificazione del principio di
coesistenza tra colture transgeniche, biologiche e convenzionali,
rappresenta il punto di sintesi fra i divergenti interessi, di rilievo
costituzionale, costituiti da un lato dalla libertà di iniziativa
economica dell’imprenditore agricolo e dall’altro lato dall’esigenza
che tale libertà non sia esercitata in contrasto con l’utilità sociale,
ed in particolare recando danni sproporzionati all’ambiente e alla
salute.
L’intervento della Corte costituzionale
Con
la sentenza della Corte costituzionale n. 116/2006 è stata dichiarata
l’incostituzionalità degli artt. 3, 4, 5, commi 3 e 4, 6, commi 1 e 2,
7 e 8, del citato d.l. 279/2004, in quanto ritenuti irrispettosi della
competenza legislativa regionale in materia di agricoltura, atteso che
disciplinavano l’adozione da parte delle Regioni di piani di
coesistenza, anziché lasciare alle Regioni la competenza a disciplinare
con proprie leggi tali piani. Più in particolare, ad avviso della
Consulta, spetta alle Regioni disciplinare la produzione agricola in
presenza anche di colture transgeniche, e segnatamente “le modalità di
applicazione del principio di coesistenza nei diversi territori
regionali, notoriamente molto differenziati dal punto di vista
morfologico e produttivo” (C. cost. n. 116/2006). Tra l’altro, la
declaratoria di incostituzionalità ha riguardato anche l’art. 8 del
citato d.l., che in via transitoria vietava le coltivazioni
transgeniche a fini commerciali nelle more dell’adozione dei piani di
coesistenza.
Gli OGM sotto la lente del Consiglio di Stato
Secondo
il Collegio, tenuto conto dei profili prettamente economici che devono
essere regolamentati dai piani di coesistenza, e considerato che a tali
piani sono estranei i profili ambientali e sanitari, e il principio
comunitario della coltivabilità degli OGM se autorizzati, il rilascio
dell’autorizzazione alla coltivazione non può essere condizionato alla
previa adozione dei piani di coesistenza. Di conseguenza, secondo il
Consiglio di Stato, non si può ritenere che in attesa dei c.d. piani di
coesistenza regionali, venga meno l’obbligo di istruzione e conclusione
dei procedimenti autorizzatori disciplinati, con disposizioni
specifiche non toccate, neppure indirettamente, dalla declaratoria di
incostituzionalità, da fonti legislative (e regolamentari) diverse dal
d.l. n. 279/2004. Tanto più che, per stessa affermazione della
Consulta, non è più discutibile il principio comunitario, ormai
recepito nell’ordinamento nazionale, “costituito dalla facoltà di
impiego di OGM in agricoltura, purché autorizzati”. Ne discende, con
tutta evidenza, che il blocco generalizzato dei procedimenti di
autorizzazione in attesa dei c.d. piani di coesistenza regionali,
esporrebbe lo Stato italiano a responsabilità sul piano comunitario,
rendendo di fatto inapplicabile nell’ordinamento nazionale quello che è
un principio imposto dal diritto comunitario, anche per il fatto che
l’Amministrazione statale è legittimato ad avviare i procedimenti
sostitutivi che l’ordinamento appresta per il caso di inerzia delle
Regioni nel dare attuazione a obblighi comunitari.