Opposizione a sanzioni amministrative: le novità normative e giurisprudenziali
Allorchè i Comuni procedono alla riscossione delle sanzioni conseguenti a violazioni al Codice della Strada,
devono avvalersi delle norme di cui al D.P.R. 602/1973 e successive
modificazioni, con la formazione del ruolo esattoriale. Infatti il
combinato disposto dell’art. 27 della legge 689/81 e dell’art. 206 Codice della Strada
impone all’amministrazione di riscuotere la sanzione “in base alle
norme previste per la esazione delle imposte dirette”, di cui al D.P.R.
602/73. In altre parole l’amministrazione deve provvedere alla
formazione dei ruoli esattoriali e consegnare detti ruoli all’esattore
per la riscossione.
Va tuttavia precisato che tale procedura non è l’unica ammissibile in materia.
A tal proposito va menzionato un contrasto giurisprudenziale, poi risolto da una specifica norma di legge.
Cass. civile , sez. I, 06 novembre 2006, n. 23631, infatti così si esprimeva: ”In
tema di sanzioni amministrative per violazioni del codice della strada,
la disciplina dettata dagli art. 203 e 204 c. strad., che conferiscono
efficacia di titolo esecutivo, rispettivamente, al verbale di
accertamento non opposto ovvero alla successiva ordinanza ingiunzione
irrogativa della sanzione, e dal successivo art. 206, che, ai fini
della riscossione della stessa, dichiara applicabili, mediante il
rinvio all’art. 27, l. n. 689 del 1981,
le norme previste per l’esazione delle imposte dirette, costituisce,
tanto con riferimento alla fase della formazione del titolo esecutivo,
quanto in relazione a quella della esecuzione coattiva, un sistema
tassativo e derogatorio rispetto a quello previsto dalla normativa
generale; l’amministrazione, pertanto, è priva della facoltà di
ricorrere, in alternativa al predetto sistema, ai normali mezzi
previsti dalla legge per la formazione del titolo esecutivo o per
procedere ad esecuzione forzata”.
Nell’anno precedente le sezioni unite (Cass. civile , sez. un., 21 gennaio 2005, n. 1240) avevano chiarito che: “L’art.
52, comma 6, d.lg. 15 dicembre 1997 n. 446 ha lasciato province e
comuni liberi di procedere alla riscossione dei tributi e delle altre
entrate di loro spettanza sia a mezzo di concessionari sia in proprio,
in tale ultima evenienza richiamando la procedura indicata dal r.d. 14
aprile 1910 n. 639; onde l’ordinanza-ingiunzione emessa dal Comune per
il pagamento di una somma di danaro a titolo di tributo evaso in
relazione all’abusiva occupazione di un tratto di suolo pubblico si
atteggia univocamente come atto impositivo, e la giurisdizione sulla
relativa controversia spetta alle commissioni tributarie, non già al
giudice dell’opposizione all’ordinanza-ingiunzione ai sensi della l. 24 novembre 1981, n. 689,
non assumendo rilievo, in contrario, nè l’errata indicazione, nel
provvedimento impugnato, dell’organo giurisdizionale (giudice
ordinario) davanti al quale proporre impugnativa (potendo tale errore
tutt’al più incidere sulla decorrenza del termine per impugnare), nè la
mancata inclusione, tra gli atti impugnabili ex art. 19 d.lg. 31
dicembre 1992 n. 546, della ingiunzione (menzionata, invece, nell’art.
16, comma 1, d.P.R. 26 ottobre 1972 n. 636 sul previgente contenzioso
tributario), essendo ciò dovuto alla ormai generalizzata riscossione
dei tributi mediante iscrizione a ruolo (1).
Successivamente
è intervenuto il DECRETO-LEGGE 31 dicembre 2007, n. 248 convertito, con
modificazioni, in legge 28 febbraio 2008 n. 31 che, all’art. 36 contenente “Disposizioni in materia di riscossione”, al n.2 dispone:
“2. La riscossione coattiva dei tributi e di tutte le altre entrate degli enti locali continua a potere essere effettuata con:
a)
la procedura dell’ingiunzione di cui al regio decreto 14 aprile 1910,
n. 639, seguendo anche le disposizioni contenute nel titolo II del
decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, in
quanto compatibili, nel caso in cui la riscossione coattiva e’ svolta
in proprio dall’ente locale o e’ affidata ai soggetti di cui
all’articolo 52, comma 5, lettera b), del decreto legislativo 15
dicembre 1997, n. 446;b) la procedura del ruolo di cui
al decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602,
se la riscossione coattiva e’ affidata agli agenti della riscossione di
cui all’articolo 3 del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203,
convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248.”
La competenza a giudicare delle rispettive opposizioni appartiene sempre al Giudice ordinario.
Poiché
il ricorso alla procedura di cui al R.D. 14.04.1910, n. 639 è piuttosto
raro, tratteremo della sola ipotesi di riscossione mediante ruolo
esattoriale comune.
Da quanto sopra esposto consegue che, una
volta formato il titolo esecutivo con la corretta e tempestiva notifica
del verbale di contestazione, l’inutile decorso del termine utile al
pagamento o la definizione del procedimento di opposizione, al
trasgressore verrà notificata la cartella esattoriale, quale atto
prodromico alla riscossione coattiva.
Appare opportuno, prima di
affrontare il tema della opposizione alla cartella, ripercorrere
sinteticamente la strada normativa che conduce alla formazione del
titolo.
L’accertamento
Di regola la contestazione
dell’illecito deve essere immediata, con l’intervento del pubblico
ufficiale e l’identificazione del conducente. Peraltro lo stesso Codice della Strada
prevede talune situazioni tipiche nelle quali la detta contestazione
immediata non appare concretamente possibile o, addirittura, è
inopportuna a causa delle condizioni di fatto in cui l’operante si
troverebbe ad agire (art. 384 regolamento CdS) (2).
In
sintesi la Cassazione ha precisato che è legittima la contestazione
differita in tutte quelle condizioni in cui la certezza dell’illecito
si concretizza in un momento successivo al fatto, o in conseguenza di
accertamenti complessi e quindi non possibili nell’immediatezza.
“In
tema di violazioni al codice della strada, la individuazione, contenuta
nell’art. 384 del relativo regolamento di esecuzione, delle ipotesi in
cui è consentita la mancata contestazione immediata della infrazione –
che costituisce requisito di legittimità dei successivi atti del
procedimento sanzionatorio – non ha carattere tassativo ma
esemplificativo, sicché ben possono ricorrere casi ulteriori in cui una
tale impossibilità sia ugualmente ravvisabile purchè la circostanza
impeditiva addotta risulti dal verbale di accertamento ed abbia una sua
intrinseca logica. (Nella specie la S.C. ha ritenuto legittimo il
verbale di contestazione nel quale era stato precisato che la
contestazione immediata non era risultata possibile perchè l’infrazione
era emersa “a seguito di definizione di incidente stradale con
feriti”). Cass.civ. Sentenza n. 14040 del 28/05/2008.
Si precisa inoltre nella stessa decisione: “…come
segnalato da questa Corte in tema di sanzioni amministrative, nel caso
di mancata contestazione immediata della violazione, l’attività di
accertamento dell’illecito non coincide con il momento in cui viene
acquisito il “fatto” nella sua materialità, ma deve essere intesa come
comprensiva del tempo necessario alla valutazione dei dati acquisiti e
afferenti agli elementi (oggettivi e soggettivi) dell’infrazione e,
quindi, della fase finale di deliberazione, correlata alla complessità
delle indagini tese a riscontrare la sussistenza dell’infrazione
medesima e ad acquisire piena conoscenza della condotta illecita sì da
valutarne la consistenza agli effetti della corretta formulazione della
contestazione (sentenza 18/4/2007 n. 9311).
Infine: “…giusta
la prevalente giurisprudenza di questa Corte, la indicazione, nel
verbale di contestazione notificato, d’una delle ragioni tra quelle
indicate dall’art. 384 reg. esec. C.d.S., che rendono ammissibile la
contestazione differita dell’infrazione, non è una mera motivazione di
stile ma il richiamo d’una specifica disposizione normativa che rende
ipso facto legittimo il verbale e la conseguente irrogazione della
sanzione, senza che, in proposito, sussista alcun margine
d’apprezzamento, in sede giudiziaria, circa la possibilità concreta di
contestazione immediata della violazione, dovendo escludersi che il
sindacato del giudice dell’opposizione possa riguardare le scelte
organizzative dell’amministrazione; pertanto, in riferimento al caso
d’infrazione del limite di velocità accertato a mezzo d’apparecchiature
elettroniche, qualora nel verbale sia dato atto dell’impossibilità di
fermare l’autoveicolo in tempo utile nei modi regolamentari ex art.
384, lett. e), di detto regolamento, il Giudice dell’opposizione non
può escludere detta impossibilità con il rilievo dell’astratta
possibilità d’una predisposizione del servizio con modalità in grado di
permettere in qualche modo la contestazione immediata (Cass. 17.3.05 n.
5861, 8.8.03 n. 11971, 15.11.01 n. 14313); del pari, il richiamo, nel
verbale, del decreto prefettizio D.L. n. 121 del 2001, ex art. 4, e
succ. mod. è sufficiente a legittimare l’omissione della contestazione
immediata e su tale circostanza non è data al giudice dell’opposizione
facoltà alcuna di difforme valutazione”. (Cass.civ. sent 376/2008).
E’
inoltre possibile (ed anche assai frequente) che in relazione al
medesimo fatto si verifichino sia la contestazione immediata al
conducente che la contestazione differita al proprietario del veicolo
(se persona diversa dal conducente) in qualità di coobbligato in solido
per il pagamento della sanzione pecuniaria.
Legittimazione al ricorso da parte del trasgressore effettivo, cioè del conducente, soggetto diverso dal proprietario
La
giurisprudenza della Suprema Corte ha sempre negato la legittimazione
attiva a proporre ricorso avverso la contestazione di violazione al
codice della strada a persona diversa da quella alla quale è stato
notificato il verbale. Nell’adottare tale linea costante di
orientamento la Cassazione ha affermato che, essendo la notifica del
verbale l’atto preordinato alla formazione del titolo esecutivo, il
soggetto al quale non sia stato notificato tale verbale non avrebbe
alcun interesse processuale alla proposizione del ricorso, in quanto
nei suoi confronti non potrebbe mai prodursi un titolo idoneo alla
riscossione coattiva della sanzione pecuniaria (3).
Tale
giurisprudenza, tuttavia, giudicava di casi concreti avvenuti in
un’epoca anteriore alla introduzione della patente a punti. La
decurtazione può colpire persona diversa dal proprietario del veicolo,
al quale viene notificato il verbale, nei casi di contestazione non
immediata. Inoltre mentre nella pena pecuniaria vi può essere
solidarietà fra conducente e proprietario, per la decurtazione dei
punti sussiste una responsabilità esclusiva del solo conducente, in
quanto identificato.
Il mutamento del regime sanzionatorio ha
quindi condotto sia la Corte costituzionale che la Cassazione ad una
preziosa precisazione.
Cassazione civ. sent. 18.02.2008, n. 3948 afferma: “L’estinzione di una pecuniaria, prevista dal codice della strada, derivante dal pagamento in misura ridotta da parte del coobbligato solidale, proprietario dell’autoveicolo, non preclude al conducente, in
qualità di autore materiale dell’infrazione, di proporre ricorso
giurisdizionale al fine di evitare l’applicazione della sanzione
personale relativa alla decurtazione di punti della patente di guida,
conseguente alla violazione accertata (v. Corte Cost. n.471 del 2005)”.
Nella detta sentenza la Corte Costituzionale così si esprimeva: “E’ evidente, quindi, che – una volta definita la vicenda relativa alla sanzione pecuniaria, in virtù’ del pagamento in misura ridotta effettuato da taluno dei soggetti coobbligati solidalmente per la stessa, ex art. 196 del Codice della strada (soggetti, tra l’altro, a carico dei quali non si potrebbe írrogare la sanzione accessoria della decurtazione dei punteggio dalla patente di guida, secondo quanto affermato da questa Corte con la sentenza n. 27 del 2005) – nessuna norma preclude al conducente del veicolo, autore materiale dell’infrazione stradale, di adire le vie giudiziali per escludere l’applicazione, a suo carico, della sanzione “personale” suddetta, Essa, oltretutto, non riveste più carattere accessorio, ma assume valore di sanzione principale per il contravventore, tale motivo presentandosi come l’unica suscettibile di contestazione in sede giudiziaria; contestazione, invece, preclusa per la sanzione pecuniaria, proprio per l’avvenuto pagamento della stessa in misura ridotta, da parte di uno dei coobbligati in solido.
E’ chiaro, infine, come l’iniziativa intrapresa dal contravventore non possa essere considerata propriamente diretta all’annullamento del verbale di contestazione dell’infrazione stradale ex art 204-bis del codice della strada, bensì al mero accertamento della sua illegittimità, al solo e specifico scopo di escludere che lo stesso possa fungere da titolo per irrogare a tale soggetto la sanzione della decurtazione del punteggio dalla patente di guida e da titolo per una eventuale azione di regresso”.
Anche
alla luce del principio dell’interesse ad agire (art. 100 c.p.c.),
pertanto, al soggetto che, con dichiarazione confessoria, si qualifichi
conducente del veicolo al momento dell’infrazione contestata con
notifica al solo proprietario, potrà essere riconosciuta legittimazione
attiva a proporre ricorso, anche nell’ipotesi di acquiescenza e
pagamento della sanzione pecuniaria da parte di quest’ultimo.
Va osservato, infine, che con sentenza 29.07.2008 n. 20564 (4)
la Cassazione ha esplicitamente legittimato il conducente a proporre
opposizione avverso il verbale di accertamento anche nell’ipotesi in
cui non gli sia stato notificato il relativo verbale. In attuazione del
diritto costituzionale alla difesa, la Cassazione ha ritenuto che,
ancorchè non destinatario del verbale (e quindi soggetto non debitore
in via esecutiva) il conducente abbia interesse soggettivo esclusivo a
difendere se stesso dal rischio della sanzione della decurtazione dei
punti dalla propria patente: ciò legittima la sua partecipazione al
giudizio di opposizione anche in veste di unico ricorrente.
In sintesi si può osservare quanto segue:
-
il
pagamento della sanzione pecuniaria in misura ridotta, entro il termine
dei sessanta giorni dalla notifica del verbale e in data anteriore alla
proposizione del ricorso, rende inammissibile quest’ultimo.
-
Il
pagamento della sanzione pecuniaria, entro il termine dei sessanta
giorni ma in data posteriore alla presentazione del ricorso, non rende
inammissibile quest’ultimo. Né il detto pagamento deve essere valutato
quale rinuncia implicita al ricorso: detta rinuncia deve risultare in
modo palese ed esplicito.
-
È ammissibile il ricorso, nelle forme previste dall’art. 22 della legge 689/81,
anche solo avverso la sanzione accessoria della decurtazione dei punti
ed è competente il Giudice di Pace. Ciò realizza un sistema omogeneo di
rimedi giurisdizionali avverso tutte le sanzioni comunque riconducibili
a violazioni al Codice della Strada.
-
Il pagamento della sanzione pecuniaria in misura ridotta rende inammissibile qualunque contestazione relativa a:
-
fondatezza della violazione contestata;
-
sanzione pecuniaria irrogata.
-
-
anche
in presenza di avvenuto pagamento della sanzione pecuniaria in misura
ridotta, resta ammissibile il ricorso avverso le altre sanzioni
accessorie, sospensione della patente e decurtazione dei punti.
Rimane
aperto il problema relativo ai motivi di opposizione avverso il
provvedimento della decurtazione dei punti, stante la definitività
dell’accertamento in fatto della violazione.
Deve essere posta
in rilievo la differenza delle situazioni soggettive fra proprietario
del veicolo, che ha ricevuto la contestazione ed ha pagato la sanzione
pecuniaria, e conducente (persona diversa dal proprietario)
destinatario esclusivo della decurtazione, che voglia contestare in
fatto la violazione.
Non è ragionevole, e non appare
costituzionalmente corretto, non ammettere il conducente (reale
responsabile della infrazione) alla contestazione giurisdizionale della
fondatezza in fatto della violazione. In tal senso la Corte
costituzionale sembra avere ammesso una sorta di pronuncia di
illegittimità incidenter tantum del verbale, ai soli fini della possibilità di accoglimento del ricorso del conducente.
Diversamente
argomentando, si dovrebbe ritenere ammissibile il ricorso avverso la
decurtazione dei punti soltanto per motivi attinenti vizi formali del
provvedimento o lacune della identificazione del conducente.
Gli
effetti dell’esito del ricorso proposto dal solo conducente andranno a
favore o sfavore soltanto di quest’ultimo; resta da escludere che il
proprietario che ha pagato possa beneficiare dell’eventuale
accoglimento del ricorso proposto dal solo conducente.
I destinatari della notifica
In
caso di contestazione immediata il destinatario della notifica è la
persona che viene rinvenuta alla guida del veicolo; ad esso, come già
detto, si aggiungerà il proprietario del veicolo, se soggetto diverso.
In
caso di contestazione differita, il destinatario della notifica del
verbale sarà il soggetto che risulta intestatario dalle pubbliche
scritture (5).
La
conclusione appare ovvia e sicura; le automobili sono beni mobili
iscritti in pubblici registri, soggetti quindi ad un regime speciale e
distinto dal regime ordinario dei beni mobili. Alla P.A. non è
richiesto un onere ulteriore di ricerca del soggetto, allorchè la
risultanza del registro è sufficiente ad individuare il soggetto e il
suo indirizzo.
Attualmente, a seguito della prevalente
meccanizzazione dei servizi di accertamento e notifica dei verbali, la
notifica sarà effettuata tramite servizio postale.
Si impongono
alcune osservazioni in merito, che torneranno utili nel momento in cui
si esaminerà l’opposizione a cartella esattoriale, fondata sull’unico
motivo ammissibile, che è la mancata notifica del verbale di
accertamento.
La modalità di notifica tramite posta è stata
sostanzialmente uniformata a quella eseguita a mani dell’ufficiale
giudiziario; l’ufficiale postale, pertanto, deve recarsi presso il
domicilio indicato dal mittente e fare ricerca della persona del
destinatario. In caso di suo mancato reperimento, deve cercare persone
idonee e legittimate a ricevere e deve dare atto di tali operazioni.
Deve quindi certificare a quale persona legittimata ha fatto consegna
del plico, indicarne la qualità e condizione, provvedere ad inviare un
avviso al destinatario, menzionando il numero della raccomandata
relativa.
La mancanza dei detti requisiti è causa di nullità della notifica (6) e la notifica nulla non può produrre alcun effetto giuridico.
Va
anche precisato che la dizione “trasferito”, apposta dall’ufficiale
postale, non può dare origine ad una notifica valida. Ad analoga
conclusione si perviene in presenza della dicitura “sconosciuto”.
La
legge sulle notifiche postali precisa altresì la particolare notifica
“per compiuta giacenza”; la premessa indispensabile per il
perfezionamento degli effetti previsti da detta situazione è che il
domicilio del destinatario risulti da iscrizione nei pubblici registri
alla data della richiesta di notifica dell’accertamento. Infatti non
può essere imposto alla P.A. l’onere di ulteriori ricerche nel momento
in cui dal registri risulti un domicilio esatto e siano state eseguite
le formalità previste dalla legge per la notifica tramite posta.
Per le notifiche per posta anteriori alla novella del 14.03.2005, n. 35
(e in caso di cartelle esattoriali potrà accadere che le notifiche dei
verbali siano anteriori alla detta legge) si dovrà tenere conto che
l’ufficiale postale non aveva gli obblighi sopradescritti. La validità
della notifica, pertanto, andrà valutata in forza della normativa
vigente alla data di richiesta della notifica da parte della P.A..
Mutamenti di indirizzo
E’
onere di diligenza del cittadino provvedere alle rituali comunicazioni
di cambio di residenza e seguirne la tempestiva annotazione. Così
dispone l’art. 94 del Codice della Strada.
Con
i moderni sistemi informatici molti Comuni provvedono, oltre che al
cambio di residenza, anche alla comunicazione del mutamento alla
Motorizzazione (la quale provvede ad inviare al cittadino quanto
necessario per completare la procedura).
Va osservato che il
Comune esegue quanto detto soltanto in presenza della segnalazione da
parte del cittadino della proprietà di un veicolo; in mancanza della
detta segnalazione, in occasione del cambio di residenza, al Comune o
alla Motorizzazione non potranno essere addebitate omissioni di sorta.
La norma, infatti, dispone detto onere a carico del cittadino e ne
sanziona esplicitamente l’omissione.
Analogamente è onere di
diligenza del cittadino che si trasferisce porre in essere ogni
accortezza utile in concreto a prendere notizia della corrispondenza
che dovesse giungere al vecchio indirizzo; per tale comportamento non
vi sono né termini di tempo né modalità prescritte dalla legge. Si
tratta di un comune obbligo di diligenza, che deve essere prudentemente
valutato nel caso concreto.
Non si può negare validità giuridica
ad una notifica effettuata per “compiuta giacenza” nel domicilio
risultante dai pubblici registri ove le formalità di legge siano state
rispettate e nessun altro e diverso elemento di giudizio venga fornito
al Giudice.
Va osservato, peraltro, quanto espresso da Cassaz. Civ. nella sentenza 3256 del 2008, che così si esprime:
“In
tema di notifica a mezzo posta, l’art. 8 della legge n. 890 del 1982,
letto alla luce della sentenza n. 346 del 1998 della Corte
costituzionale, impone che la “vacatio” tra il deposito del plico
presso l’ufficio postale per impossibilità di consegnarlo al
destinatario e la restituzione del plico stesso al mittente abbia una
durata ragionevole e tale da non frustrare le possibilità difensive del
destinatario. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito
secondo cui il deposito di un plico contenente decreto ingiuntivo
doveva durare per tutto il periodo di tempo previsto per proporre
opposizione, ed ha affermato che tale lettura della norma non è
suffragata da alcun elemento ricavabile dalla legge)”. Conforme Cass. Civ. Sentenza n. 3256 del 10/02/2009
Termine per la notifica
In
caso di contestazione differita il verbale deve essere notificato entro
il termine perentorio di 150 giorni dal fatto (art. 201 Codice della
Strada); come già visto la notifica va effettuata all’intestatario
della proprietà che risulti dai pubblici registri; il termine dei 150
giorni ricomincia a decorrere dal momento in cui la P. A. sia posta
nelle concrete condizioni per conoscere l’esatto nominativo
dell’obbligato (Corte cost. sent. 198 del 1966 e Cassaz. Civ. sent
27936 del 2008 (7).
Degna di nota è altresì la più recente Cass. civile , sez. II, 06 febbraio 2009, n. 3043: “In
tema di sanzioni amministrative, nel caso di mancata contestazione
immediata della violazione, il momento dell’accertamento, in relazione
al quale collocare il “dies a quo” del termine prescritto dall’art. 14,
2 comma, l. n. 689/81 per la notifica degli estremi di essa, non
coincide con la conoscenza dei fatti nella loro materialità da parte
dell’autorità alla quale è stato trasmesso il rapporto, ma va
individuato in quello in cui l’autorità alla quale è stato trasmesso il
rapporto abbia acquisito e valutato tutti i dati indispensabili ai fini
della verifica dell’esistenza della violazione segnalata ovvero in
quello in cui il tempo decorso, pur tenendo conto della complessità
della fattispecie, non risulti ulteriormente giustificato dalla
necessità di detta acquisizione e valutazione”.
Va peraltro
precisato, alla luce delle suddette pronunce, che anche la P.A. è
onerata della comune diligenza e che, pertanto, un vizio di notifica
dovuto ad imprecisioni del richiedente la notifica non può legittimare
il rinnovo del termine di decadenza.
Prescrizione
Come già chiarito da Cass. 23.11.1999, n. 12999, “alla
formazione e trasmissione dei ruoli da parte del Prefetto per la
riscossione delle somme dovute a titolo di sanzione amministrativa per
violazioni al Codice della Strada non si applica l’art. 17 del dpr
602/73, in base al quale l’iscrizione nei ruoli delle somme accertate
dagli uffici deve avvenire a pena di decadenza entro il 31 dicembre
dell’anno successivo a quello in cui l’accertamento è divenuto
definitivo, ma solo la prescrizione quinquennale prevista dall’art. 209
del nuovo codice della strada e dall’art. 28, legge 689/81”.
Chiarito,
quindi, che l’azione di riscossione è soggetta esclusivamente al
termine quinquennale di prescrizione, e non alla ben diversa sanzione
della decadenza, va considerato il termine a quo per il decorso della
detta prescrizione e i fatti interruttivi di essa.
Il dies a quo è certamente il giorno della commessa infrazione, come chiaramente indicato anche dall’art. 28 delle legge 689/81:
il dies ad quem deve essere individuato nel giorno della consegna dei
ruoli all’esattore, poiché con tale atto l’amministrazione compie
l’atto di impulso alla procedura di riscossione (come disposto dalle
norme già menzionate) e, allo stesso tempo, si priva del potere di
compiere qualsiasi ulteriore atto diretto alla materiale riscossione
della sanzione.
Il termine della prescrizione è interrotto dalla
notifica del verbale, in quanto atto idoneo a costituire in mora il
debitore ex art. 2943, 4° comma Cod. civile. Ciò è disposto dall’ultimo
comma dell’art. 28 della legge 689/81
ed è stato altresì chiaramente recepito anche da Cass. 13.7.2001, n.
9520, Cass. 19.7.2000, n. 9492 e Cass. 4.4.2000, n. 4094. Infatti con
la notifica del verbale il trasgressore è invitato al pagamento, con il
beneficio del pagamento in misura ridotta, e con avviso che il mancato
pagamento condurrà alla definitività dell’accertamento ed alla
formazione del titolo. Sussistono quindi tutti gli elementi per la
costituzione in mora del debitore.
Per gli atti esecutivi
dell’esattore non risultava sancito un termine di prescrizione speciale
e si riteneva che l’azione esecutiva fosse soggetta al termine
ordinario dei dieci anni. Successivamente è intervenuta la Corte
Costituzionale con la sentenza 15.07.2005, n° 280 che ha dichiarato la
incostituzionalità dell’art. 25 del D.P.R. 602/1973 (“Disposizioni
sulla riscossione delle imposte sul reddito”), nella parte in cui non
prevede un termine, fissato a pena di decadenza, entro il quale il
concessionario deve notificare al contribuente la cartella di pagamento
delle imposte liquidate ai sensi dell’art. 36-bis del D.P.R. 600/1973
(“Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui
redditi”). E’ quindi intervenuto il legislatore disponendo che la
notifica della cartella sia effettuata entro il termine di due anni
dalla consegna del ruolo. (vedi LEGGE 24 dicembre 2007, n. 244 – legge
finanziaria 2008 – all’art. 1 comma 153 che ha inserito l’art. 35 bis
nel D.L. 30 settembre 2005, n. 203).
E’
pur vero che dalla data di consegna dei ruoli alla data di notifica
della cartella trascorrono anni e che ciò comporta la decorrenza di
interessi di mora, ma va altresì considerato che, una volta formato il
titolo esecutivo, il debitore è moroso e gli interessi sono dovuti per
il solo fatto non controverso della definitività del titolo e della
circostanza certa del mancato pagamento
L’epoca della consegna dei ruoli deve sempre essere riportata nella cartella esattoriale.
Nell’esaminare
la tempestività della notifica, e quindi la correttezza della
formazione del titolo esecutivo, in presenza della relativa eccezione
del ricorrente sarà onere della P.A. fornire la prova del fatto che
rinnova il decorso del termine di 150 giorni, di cui si è già detto, e
che concerne la decadenza e non la prescrizione.
Illegittime le notifiche affidate ad agenzia privata
La Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con la sentenza n. 20440 del 21 settembre 2006, ha statuito che sono da considerare “giuridicamente inesistenti” le
notifiche delle multe fatte da società private di recapito – alle quali
il Comune ha affidato il servizio di consegna di atti giudiziari. In
tal guisa, le notifiche eseguite dai soggetti anzidetti sono equiparate
all’omessa notificazione, pertanto, l’effetto giuridico è “l’estinzione
dell’obbligazione di pagare la somma dovuta per violazione al Codice
della Strada”.
In effetti, la legge 890/82 riserva
all’amministrazione postale tutti gli adempimenti del procedimento di
notificazione. In modo particolare l’art. 3 recita “l’ufficiale
giudiziario scrive la relazione di notificazione sull’originale e sulla
copia dell’atto, facendo menzione dell’ufficio postale per mezzo del
quale spedisce la copia al destinatario in piego raccomandato con
avviso di ricevimento. Presenta all’ufficio postale la copia dell’atto
da notificare in busta chiusa, apponendo su quest’ultima le indicazioni
del nome, cognome, residenza o dimora o domicilio del destinatario, con
l’aggiunta di ogni particolarità idonea ad agevolarne la ricerca; vi
appone, altresì, il numero del registro cronologico, la propria
sottoscrizione ed il sigillo dell’ufficio…”. La stessa legge agli
artt. 7 e 8 disciplina la parte relativa al recapito della notifica.
Appare chiaro che le complesse formalità del combinato degli articoli ex ante
richiamati “sono finalizzate a garantire il risultato del ricevimento
dell’atto da parte del destinatario e attribuire certezza all’esito in
ogni caso del procedimento di notificazione, costituendo
un’attribuzione esclusiva degli uffici postali e degli agenti e
impiegati addetti, con connotati di specialità essenzialmente estranei
a quei servizi postali di accettazione e di recapito per espresso di
corrispondenza che il direttore provinciale delle poste ha facoltà di
dare in concessione secondo la previsione dell’art. 29 del D.P.R.
156/73 ad agenzie private alle quali gli artt. 129 e 138 del relativo
regolamento attribuiscono le denominazioni rispettivamente di -Agenzia
privata autorizzata alla accettazione e al recapito degli espressi in
loco- e -Agenzia per il recapito degli espressi postali-”.
I giudici di legittimità hanno evidenziato che “la
notificazione degli estremi della violazione affidata all’agenzia
concessionaria a norma dell’art 29 del codice postale ed eseguita dai
dipendenti della stessa agenzia si deve considerare giuridicamente
inesistente e, come un omessa notificazione”. Per il
Supremo Collegio le norme sulla notifica degli atti giudiziari
impongono “con certezza” di “desumere che i relativi adempimenti non
possono formare oggetto della concessione ai privati”.
Competenza per territorio
L’art. 22 – 1° comma della legge 689/81
attribuisce la competenza per territorio al Giudice del luogo ove è
stata commessa la violazione. Con sentenza 20.04.2005, n. 8294(8) (conforme
Cassaz. 23.11.2006, n. 24876) la Cassazione ha precisato che si tratta
di competenza funzionale e inderogabile, rilevabile anche d’ufficio ma
solo entro la prima udienza di trattazione.
Pertanto il Giudice
di Pace, investito di ricorso avverso violazione al Codice della Strada
commessa in territorio appartenente alla competenza di altro Giudice,
deve rilevare tale incompetenza alla prima udienza e pronunciare
sentenza con la quale dichiara la propria incompetenza funzionale ex
art. 22, comma 1° della legge 689/81.
Ci
si è posti il quesito se il Giudice di Pace che dichiara la propria
incompetenza per territorio sia tenuto ad indicare il Giudice
competente e se debba rimettere le parti dinanzi a quest’ultimo.
Premesso
che per i giudizi dinanzi al Giudice di Pace non è esperibile il
regolamento di competenza, né obbligatorio né facoltativo (art. 46
c.p.c. – Cass. 8294/2005 (9)), la Cassazione con sentenza 18 aprile 2008 n. 10236 (conforme Cass. 2703/1966) ha affermato che “rientra
nel potere-dovere del Giudice adito l’identificazione del Giudice
competente, anche se diverso da quello indicato dalla parte. Tale
potere-dovere compete anche alla Corte di Cassazione in sede di
regolamento, rientrando fra i compiti di detta Corte quello di riparare
alla mancata indicazione del Giudice competente a parte del Giudice a
quo che ha dichiarato la propria incompetenza territoriale”.
Nella
motivazione la detta sentenza afferma esplicitamente che l’art. 44
c.p.c. impone al Giudice che dichiara la propria incompetenza per
territorio di indicare il Giudice competente (e ciò coerentemente con i
motivi che affermano la propria incompetenza).
Resta da
considerare, tenuto conto della non esperibilità del regolamento di
competenza, l’ipotesi che il Giudice ad quem si ritenga a sua volta non
competente per territorio.
In merito Cassazione 04 agosto 2006, n. 17695 (10)
ha affermato che, ove la parte non proponga appello avverso la sentenza
che ha dichiarato l’incompetenza territoriale inderogabile, resta
accertata incontestabilmente la competenza stabilita. Sembra di poter
affermare, tuttavia, che ciò abbia valore obbligatorio nei soli
confronti delle parti acquiescenti.
Avverso la sentenza del
Giudice ad quem che si dichiari a sua volta non competente per
territorio non resta che l’impugnazione o il ricorso per Cassazione.
Il
Giudice di Pace che ritenga di non essere competente per territorio
deve, quindi, indicare il Giudice competente; non è specificato se egli
debba espressamente rimettere le parti dinanzi al Giudice competente,
fissando il termine per la riassunzione.
Ove tale provvedimento
fosse pronunciato, non si ravvisa alcuna nullità e le parti sono tenute
all’osservanza del termine, o alla proposizione dell’impugnazione.
Ove
il Giudice non dica nulla in ordine al termine di riassunzione, vale la
norma di cui all’art. 50 cpc, dettata peraltro in relazione al
regolamento di competenza, che impone alle parti l’obbligo di
riassumere il giudizio entro tre mesi.
Alla conclusione predetta
si perviene a seguito delle pronunce a sezioni unite della Cassazione
in data 22 febbraio 2007, n. 4109 e 20 maggio 2008, n. 14831.
“Considerato
che il giusto processo non è diretto allo scopo di sfociare in una
decisione di mero rito, ma di rendere una pronuncia di merito
stabilendo chi ha torto e chi ha ragione, in base a una lettura
costituzionalmente orientata della disciplina della materia, che tenga
conto delle argomentazioni emergenti dalle intervenute modifiche
legislative e delle prospettazioni svolte di recente dalla dottrina,
deve ritenersi che nell’ordinamento processuale è stato dato ingresso
al principio della “translatio iudicii” dal giudice ordinario a quello
speciale, e viceversa, in caso di pronuncia sulla giurisdizione (sia ad
opera della Cassazione, sia ad opera di qualsiasi altro giudice)”
(Cass. SS.UU. 4109/2007 ( 11)).
In applicazione al detto principio Cass. SS.UU. 14831/2008 (12)
ha affermato il dovere per il Giudice adito che si ritenga in parte o
in tutto incompetente per materia o per territorio inderogabilmente, di
separare (se del caso) i processi, trattenendo presso di sé la parte di
propria competenza e rimettendo le parti al Giudice competente per la
parte residua.
Infine si rinviene un ulteriore argomento a
sostegno del dovere del Giudice dichiaratosi incompetente per
territorio di rimettere le parti dinanzi al Giudice competente, nel
fatto che il ricorso avverso le sanzioni amministrative è soggetto a
termine perentorio di proposizione della domanda e che la sentenza che
pronuncia sulla incompetenza per territorio deve provvedere a
conservare gli effetti sostanziali e processuali della domanda
proposta, ancorchè detta domanda sia stata proposta a Giudice privo di
competenza (si veda in proposito Corte Cost. 12 marzo 2007, n. 77(13).
In
conclusione, il Giudice di Pace, adito con ricorso avverso sanzione
amministrativa del Codice della Strada, ove ritenga la propria
incompetenza inderogabile per territorio, deve dichiararla d’ufficio,
indicando il Giudice competente e rimettendo le parti dinanzi a
quest’ultimo (con o senza fissazione del termine utile per la
riassunzione).
Ove la rilevata incompetenza fosse parziale, il
Giudice dovrà separare i processi, trattenendo dinanzi a sé la domanda
ritenuta di competenza e rimettendo le parti dinanzi al Giudice
competente per la parte di competenza territoriale inderogabile di
quest’ultimo.
Possibili modifiche della competenza per territorio per ragioni di connessione
Una
volta accertata la natura della competenza del Giudice di Pace in tema
di sanzioni amministrative connesse al Codice della Strada, si è posto
il quesito se tale competenza, funzionale e inderogabile, possa subire
modifiche in forza di ragioni di connessione, disciplinate dall’art. 40
c.p.c., nonché dagli artt. da 33 e 36 c.p.c..
L’ordinamento
conosce altre figure di competenza funzionale e inderogabile, quale, ad
esempio, la competenza a giudicare dell’opposizione a decreto
ingiuntivo. La giurisprudenza costante e consolidata della Cassazione
ha più volte affermato che, ove il Giudice dell’opposizione venga
investito di una domanda connessa ma che risulti estranea alla sua
competenza, egli è tenuto a separare i giudizi, trattenendo dinanzi a
sé la causa in opposizione a decreto (in forza della inderogabilità
della competenza funzionale) e rimettendo le parti dinanzi al diverso
Giudice competente per la causa connessa(14).
Ad
analoghe conclusioni occorre pervenire allorchè la incompetenza sia di
carattere territoriale, nell’ipotesi di inderogabilità della stessa,
determinata dalla legge(15).
Infatti
in tali casi la competenza funzionale e inderogabile per territorio
appare del tutto analoga alla competenza per materia, altrettanto
funzionale e inderogabile; in simili condizioni le disposizioni
attinenti le modifiche della competenza per ragioni di connessione non
possono trovare applicazione (16).
Pertanto
ove il Giudice di Pace, venga investito di una controversia che, pur
presentando identità soggettiva ed oggettiva, faccia riferimento a
fatti accaduti in luoghi diversi, che comportino la competenza (per
materia o per territorio) funzionale e inderogabile di Giudici di Pace
diversi, non potrà dare corso ad un simultaneus processus ma dovrà
dichiararsi incompetente territorialmente per la causa avente ad
oggetto il fatto accaduto fuori dalla sua giurisdizione, rimettendo le
parti al Giudice competente; dovrà altresì trattenere la causa relativa
al fatto accaduto nell’ambito territoriale di sua competenza, e ciò sia
per ragioni di materia che per ragioni di territorio (17).
La posizione processuale dell’esattore
Si
è quindi posto il quesito della posizione processuale dell’esattore nei
giudizi di opposizione, in considerazione del fatto che l’esattore è un
semplice delegato alla riscossione e non è il titolare della pretesa.
La Cassazione non è sempre stata univoca al riguardo; recentemente, tuttavia con sentenza 20.11.2007, n. 24154 (18),
è stato definitivamente chiarito che anche l’esattore ha un proprio
interesse alla partecipazione al giudizio di opposizione ed è quindi da
ritenersi litisconsorte necessario.
Possiamo considerare due ipotesi:
prima ipotesi: il ricorrente eccepisce di non avere mai ricevuto la notifica del verbale di contestazione e propone ricorso ex art. 22, legge 689/81
contestando la formazione del titolo esecutivo. Anche se l’esattore è
estraneo a tutto quanto forma oggetto del procedimento di formazione
del titolo, egli ha comunque interesse a partecipare al giudizio, in
quanto l’eventuale accoglimento del ricorso ha “innegabili riflessi nei
rapporti con l’ente” che ha provveduto alla formazione dei ruoli.
L’esattore, inoltre, prendendo parte al giudizio, è in grado di
conoscere eventuali provvedimenti di sospensione o altri provvedimenti
istruttori che, diversamente, non gli sarebbero opponibili.
seconda ipotesi:
il ricorrente eccepisce vizi propri della cartella (è recente la
discussione in ordine ai requisiti di sottoscrizione della cartella,
dell’indicazione del responsabile del procedimento, affrontati dalla
Corte costituzionale con ordinanza n. 377 del 09.11.2007 e dal
cosiddetto decreto mille proroghe D.L. 31.12.2007 n. 248 convertito con modificazioni).
In
tal caso, addirittura, l’esattore è il principale destinatario delle
eccezioni del ricorrente, in quanto non viene in discussione la
regolarità della formazione del titolo esecutivo, bensì la ritualità
degli atti propri dell’esattore. L’eventuale accoglimento del ricorso
avrebbe innegabili effetti anche nel rapporto fra ente impositore ed
esattore e tale osservazione giustifica il litisconsorzio necessario
per entrambi.
Le spese processuali
Un’ultima
osservazione concerne le spese processuali. Anche in tema di sanzioni
amministrative è pienamente ammissibile che il Giudice, nel
pronunciarsi sull’accoglimento o meno del ricorso, decida se addebitare
le spese al soggetto soccombente. Il concetto di soccombenza appare
diverso da quello abitualmente adottato nel giudizio ordinario di
cognizione, in considerazione della presunzione di legittimità
dell’atto amministrativo.
Mentre, da un lato, un ricorso
palesemente infondato e pretestuoso può giustificare la condanna alle
spese del ricorrente soccombente, non altrettanto può dirsi in caso di
accoglimento del ricorso; non è così automatico che all’accoglimento
del ricorso debba conseguire la condanna dell’ente alle spese
processuali. Andrà valutato il caso concreto per rinvenire eventuali
atti illegittimi, compiuti dalla pubblica amministrazione nelle
sequenza obbligata degli atti descritta dalla legge.
Analogamente
l’esattore potrà essere chiamato a rispondere di eventuali negligenze
compiute dopo la formazione del ruolo e nel corso degli atti di sua
competenza per la procedura di riscossione.
Non può quindi
escludersi che, in caso di accoglimento del ricorso in opposizione
all’esecuzione (art. 615 c.p.c.) o agli atti esecutivi (art. 617
c.p.c.), l’esattore, o l’ente creditore della sanzione, possano essere
condannati al pagamento delle spese processuali, in ragione di
accertati elementi di soccombenza.
In tal senso Cass. civ.
19.11.2007, n. 23993 espone che nel valutare la soccombenza e la
conseguente condanna alle spese processuali, non si può omettere di
considerare che, seppure in casi particolari, il cittadino può essere
assoggettato ad esazione senza che ne ricorrano i presupposti e che, in
tal caso, egli venga a trovarsi nella condizione di dover far valere le
proprie ragioni in un giudizio, con l’accollo delle spese relative.
Adire il Giudice e farsi assistere professionalmente costituiscono, in
simili casi, l’attuazione concreta di un diritto inviolabile previsto
dall’art. 24 della Costituzione.
Brevi cenni sull’autotutela e la cessazione della materia del contendere
La
Pubblica amministrazione ha il compito istituzionale di perseguire
l’interesse pubblico, con un margine di discrezionalità che deve
comunque rispettare i criteri della competenza, senza violazione di
legge né eccesso di potere. Restando nell’ambito del potere di imperio,
preordinato al raggiungimento dell’interesse collettivo, va collocata
la potestà di autotutela, cioè dell’esercizio del potere di revoca o
modifica dei propri provvedimenti; ciò potrà avvenire su sollecitazione
del soggetto interessato, ma anche in forza di procedimento interno
autonomo.
La revisione o revoca di propri provvedimenti si svolge sempre nell’ambito di un potere discrezionale (19).
In
relazione alla possibilità della revoca di provvedimenti amministrativi
si pone la eventualità che l’oggetto di un giudizio venga direttamente
influenzato da essi, rendendo superflua una decisione. In tali casi si
pone il profilo processuale della “cessazione della materia del
contendere”.
Quanto sopra si verifica in tutti quei casi in cui
la decisione del Giudice non presenta più alcun interesse per alcuna
delle parti, in quanto è venuto meno, nel frattempo, quanto formava
oggetto del contenzioso; la parte attrice, pertanto, (includendo in
tale ruolo anche l’attore in riconvenzionale e il convenuto che ha
interesse al rigetto della domanda) non è più portatrice dell’interesse
ad agire, cioè della necessità di ottenere dall’Autorità giudiziaria un
provvedimento che restituisca dignità al valore giuridico leso (20).
Il
Giudice deve porsi d’ufficio il quesito se la mutata condizione di
fatto e di diritto venutasi a creare, con il sostanziale
soddisfacimento dell’interesse dedotto in giudizio, corrisponda in
concreto all’accoglimento della domanda ad opera del convenuto o se sia
riconducibile a reciproche concessioni e, quindi, ad una sostanziale
transazione fra opposti interessi (21).
Solo
nel caso in cui l’esercizio della potestà di autotutela o lo spontaneo
adempimento del convenuto, corrispondano all’accoglimento integrale
della domanda dedotta in giudizio, il Giudice, nel dichiarare la
cessazione della materia del contendere, potrà pronunciarsi anche sulle
spese. In tal caso, infatti, si realizza una sostanziale soccombenza
del soggetto che ha revocato il proprio atto solo in conseguenza della
promozione dell’azione. Si parla, in tali casi, di “soccombenza
virtuale”.
La convalida del provvedimento in prima udienza, ex art. 23, Legge 689/81
La Corte costituzionale è intervenuta sulla norma in oggetto con le sentenze n. 534 del 1990(22) e n. 507 del 1995(23);
con entrambe le dette decisioni la Corte ha inteso negare un male
inteso automatismo fra assenza del ricorrente e rigetto del ricorso,
con correlativa conferma del provvedimento impugnato.
Le
decisioni in esame fanno riferimento alla tutela del diritto alla
difesa, precisando la portata dell’onere della prova, rispettivamente a
carico della P.A. e del privato ricorrente.
Quanto ora esposto va collegato con il principio, già affermato da Cass.civile sentenza n. 8037/2002(24)
che tutto quanto è ritualmente acquisito al fascicolo dell’opposizione
deve essere esaminato dal Giudice e può essere posto a fondamento della
sua decisione.
Con la sentenza del 1990, n. 534 la Corte aveva
deciso che non era costituzionalmente corretto convalidare il
provvedimento, in assenza del ricorrente, ove la illegittimità
dell’atto risultasse comunque da elementi acquisiti.
Con la
sentenza del 1995, n. 507 la Corte ha applicato il medesimo principio
di fondo al rapporto con la P.A., che ha l’onere di fornire la prova
della fondatezza della pretesa sanzionatoria ed ha altresì l’obbligo di
inviare la documentazione al Giudice dell’opposizione.
In
mancanza di adempimento a detto onere, e quindi in assenza della P.A.
sia per il mancato intervento di funzionario in udienza sia per il
mancato inoltro della documentazione, il Giudice deve valutare se,
dall’esame degli atti acquisiti al procedimento, la pretesa
sanzionatoria risulta sufficientemente provata o meno.
La linea
interpretativa appare corretta in quanto riferita al diritto di difesa
ed al principio dell’onere della prova. Fermo restando il potere del
Giudice, in detta materia, di intervenire officiosamente e disporre
tutti i mezzi istruttori ritenuti utili, la P.A. mantiene il suo onere
di fornire ogni dato sufficiente a dimostrare la fondatezza della
pretesa; in caso di inadempimento a detto onere il Giudice, anche in
assenza del ricorrente, potrà giudicare non provata la legittimità
della pretesa.
Per analoghi motivi, ove la pretesa dovesse
risultare comunque fondata, pur in assenza della documentazione inviata
dalla P.A., non vi sono ragioni per non procedere alla convalida.
In
tal caso la evidenza della legittimità non trova nell’assenza della
P.A. un valido motivo di diritto per l’annullamento della pretesa.
All’opponente
incombe l’onere di fornire ogni elemento utile a dimostrare la
illegittimità della pretesa, o perlomeno l’incertezza sul suo
fondamento (il giudizio di opposizione, infatti, ha ad oggetto
l’accertamento negativo del fondamento della pretesa sanzionatoria).
Sulla
P.A. incombe l’onere di provare la legittimità della pretesa
sanzionatoria; l’incertezza sulla prova giova al ricorrente, ancorchè
assente.
L’assenza delle parti, o la mancanza della
documentazione, non esonera il Giudice dall’esame della fattispecie
attraverso i soli elementi di giudizio acquisiti al procedimento (in
genere l’originale del verbale o dell’ordinanza ingiunzione o della
cartella esattoriale).
Osserva la Corte che occorre delineare una speculare equivalenza fra
-
la
prova documentale della illegittimità dell’atto (che in forza della
sentenza 534/1990 impedisce di convalidare l’atto anche in assenza del
ricorrente); -
l’insussistenza della prova della
legittimità dell’atto, a causa del mancato assolvimento dell’onere di
invio della documentazione (che in forza della sentenza 534/1990
impedisce di convalidare l’atto anche in assenza del ricorrente).
In
prima udienza e in assenza delle parti il Giudice potrà annullare o
confermare la pretesa in forza della verifica dell’adempimento
all’onere della prova ed al convincimento raggiunto a seguito
dell’esame condotto, con il solo obbligo della puntuale motivazione (25).
Legittimità della maggiorazione prevista dall’art. 27 della legge 689/81
Definizione del problema:
L’art. 27 della legge 689/81
prevede al 6) che, in caso di ritardo nel pagamento, la somma dovuta è
maggiorata di un decimo per ogni semestre a decorrere da quello in cui
la sanzione è esigibile. A tale addebito provvede l’esattore,
incaricato della riscossione in forza della normativa che disciplina la
riscossione delle entrate patrimoniale dello Stato.
Il quesito
concerne la legittimità di detto addebito, in relazione a sanzioni per
violazioni al Codice della Strada (CdS), contenute nelle cartelle
esattoriale notificate al debitore.
L’ufficio del Giudice di
Pace di Roma ha assunto l’orientamento favorevole alla dichiarazione di
illegittimità della detta maggiorazione.
Norme rilevanti:
Art. 203 CdS
Art. 206 CdS
Art. 209 CdS (prescrizione)
Art. 17 della legge 689/81
Art. 27 della legge 689/81
Art. 28 della legge 689/81 (prescrizione)
Sul quesito principale
Va premesso che la legge 689/81,
all’origine predisposta per depenalizzare una serie di reati in
illeciti amministrativi, è stata nel tempo trasformata nella disciplina
fondamentale da applicare per tutte le sanzioni amministrative, sia per
quanto concerne la fase contenziosa e di esercizio del diritto di
difesa, sia per la parte relativa alla formazione del titolo esecutivo
e la riscossione di quanto dovuto. La premessa diventa fondamentale per
poter coordinare norme nate successivamente e che alla detta legge
rinviano per taluni adempimenti.
L’art. 17 della legge 689/81
prevede la formazione di un rapporto, a cura del funzionario che ha
accertato l’infrazione, da indirizzare al Prefetto per l’adozione
dell’ordinanza ingiunzione. Tale ordinanza, nell’originaria
formulazione della procedura di riscossione, costituiva il presupposto
per l’avvio della fase esecutiva.
In tema di violazioni alla
circolazione stradale l’art. 203 CdS al comma 3) ha disposto che, in
caso di mancato pagamento della sanzione e di mancato ricorso, il
verbale acquista direttamente l’efficacia di titolo esecutivo, in
deroga all’art. 17 predetto.
Una corretta riflessione in ordine
al detto concetto di deroga porta a concludere che, per le sole
violazioni al CdS, il funzionario che ha accertato la violazione non è
tenuto (appunto in deroga all’art. 17) a redigere rapporto al Prefetto
ai fini dell’emissione dell’ordinanza ingiunzione. Ciò in quanto il
verbale acquisita di per sé efficacia di titolo esecutivo e non ha
bisogno dell’atto prefettizio per dare avvio alla riscossione.
Una
volta così chiarita la portata della deroga disposta dall’art. 203 CdS,
ci si deve porre il problema dell’analisi della fase di riscossione.
L’art. 206 CdS rinvia esplicitamente (e semplicemente) all’art. 27 della legge 689/81;
si tratta di un rinvio sistematico e generalizzato ad un’unica
disciplina della riscossione, senza distinzione fra titoli esecutivi
originati da procedimenti differenti. In altre parole, la detta norma,
rinviando all’art. 27, uniforma la riscossione delle sanzioni da
violazioni al CdS alla riscossione di qualunque altro credito
disciplinato alla medesima legge 689/81.
Non
vi è dubbio che la scelta di prescrivere una, ed una sola, procedura di
riscossione sia dettata dalla necessità di non provocare disparità di
trattamento e di convogliare in un’unica modalità una fase delicata di
azione esecutiva.
Per quanto detto in apertura, la riscossione
della sanzione può essere effettuata anche attraverso la procedura di
ingiunzione di cui al R.D. 14.04.1910, n. 639 ma ciò deve essere
eseguito seguendo anche le disposizioni contenute nel titolo II del
decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602, in
quanto compatibili .(26)
Va
inoltre considerato che la procedura di riscossione scelta dall’ente
creditore non deve comportare ulteriori oneri a carico del debitore,
con il pregiudizio che potrebbe derivare da una disparità di
trattamento a seconda della procedura adottata.
E’ stata
rilevata una apparente discrepanza fra il disposto dell’art. 203 e il
rinvio disposto dall’art. 206 CdS. L’art. 203, infatti, sembra
attribuire efficacia esecutiva al verbale (in deroga all’art. 17) per
il solo importo della sanzione e per le spese del procedimento. E’
stato quindi sostenuto che il titolo esecutivo non comprenderebbe altre
voci di credito, oltre a quelle espressamente previste dall’art. 203
CdS (27).
L’apparente contrasto fra l’art. 203 CdS e l’art. 27, legge 689/81
(cui rinvia l’art. 206 CdS) va risolto nel senso di ritenere che,
secondo la normativa generale della riscossione delle entrate
patrimoniali dello Stato, ogni ritardo nel pagamento di quanto dovuto e
definitivamente accertato dà origine all’addebito di interessi e/o
penalità; la misura e modalità di tali accessori sono determinati in
via generale dall’art. 27, che prevede la maggiorazione di un decimo
per ogni semestre.
Va anche rilevato che la detta maggiorazione
è pari al 5% annuo della somma dovuta e che, per quanto disposto dalla
medesima norma, essa assorbe l’addebito per interessi eventualmente
previsti da altre norme.
Infine è appena il caso di osservare
che il tasso dell’interesse legale è pari al 3% annuo e che, pertanto,
la norma di cui all’art. 27 finisce per disporre una misura unica che
comprende penalità e interessi connessi al concetto generale di
ritardato pagamento del dovuto.
D’altronde non si vede per quale
ragione debba essere negata alla Pubblica amministrazione la
possibilità di riscuotere interessi per un proprio credito, nonché le
spese per la sua riscossione, in forza dei principi generali sanciti
dagli artt. 1196 e 1828 e seguenti del Codice civile e dall’art. 95,
Cod. procedura civile.
Coordinando in via sistematica le norme
predette non si rinviene un motivo di illegittimità nell’addebito con
cartella esattoriale della maggiorazione prevista dall’art. 27 della
legge 689/81.
Motivi di opposizione alla cartella
Il
trasgressore, al quale viene notificata cartella esattoriale, potrà
ugualmente proporre ricorso avverso detta cartella ma la Cassazione (28)
ha precisato che detta opposizione potrà essere proposta con le forme
di cui all’art. 22 della legge 689/81 soltanto nel caso in cui il
ricorrente sostenga di non avere mai ricevuto la notifica del verbale
di contestazione. In tal caso, con la sent. n.17312 del 07.08.2007, la
Suprema Corte ha determinato in sessanta giorni il termine utile al
ricorso, in quanto attraverso l’impugnazione della cartella, non
preceduta dalla notifica del verbale, il ricorrente si trova per la
prima volta nella concreta possibilità di contestare il fondamento
della pretesa sanzionatoria e con il ricorso recupera la sua posizione
di diritto che gli permette di esercitare il diritto di difesa avverso
un verbale di contestazione non altrimenti conosciuto.
In ogni
altro caso di ricorso fondato su altro tipo di eccezioni, andrà
proposta opposizione all’esecuzione ex art. 615 c.p.c. (o ex art. 617
c.p.c. per eventuali vizi degli atti esecutivi).
Resta il dubbio di come valutare il ricorso ex art. 22, legge 689/81 che contenga eccezioni proponibili con i ricorsi previsti dal codice di procedura civile (artt. 615 e 617 c.p.c.).
Sul rito processuale da applicare
Accertato
che avverso la cartella può essere proposto ricorso ex art. 22 della
legge 689/81 al Giudice di Pace soltanto allorchè il ricorrente
eccepisca la mancata notifica del verbale di contestazione o
dell’ordinanza-ingiunzione, le eccezioni fondate sulla mancanza di
legittimità del credito o sulla assenza del titolo esecutivo sono
tipiche delle opposizioni all’esecuzione ex art. 615 c.p.c., poiché
contestano il diritto del creditore di procedere in via esecutiva.
Ci si è posti il problema della valutabilità, in sede di ricorso amministrativo ex art. 22, legge 689/81
avverso la cartella esattoriale, delle eccezioni oggetto delle
opposizioni ex artt. 615 e 617 c.p.c.; è lecito e doveroso, soprattutto
osservando che nella maggior parte dei casi il ricorso avverso la
cartella è proposto personalmente dalla stessa parte interessata e
senza l’assistenza di difensore, domandarsi se il motivo sostanziale
del ricorso (tipico della opposizione alla esecuzione) possa essere
esaminato e posto a fondamento della decisione in un ambito processuale
(quello amministrativo) che non lo permetterebbe.
Le massime
della Cassazione rinvenute in tema, sembrano indicare un regime
tassativo e vincolante per il rito scelto e introdotto dal ricorrente;
se proposto con ricorso ex art. 22, legge 689/81, il gravame avverso la
cartella non permette al Giudice di modificare né la causa petendi né
il petitum, a causa della specialità del rito (29).
Le norme processuali sono norme di ordine pubblico, non derogabili, e il rito previsto dalla legge 689/81
appare del tutto speciale e diverso da quello ordinario, con il quale
dovrebbero essere trattate le cause in opposizione all’esecuzione ex
art. 615 c.p.c..
Anche se la Cassazione ha più volte affermato
che, per tutto quanto non disciplinato espressamente dalla legge 689/81
occorre richiamarsi alle norme che disciplinano il giudizio civile
ordinario, non si può fare a meno di rilevare che tutto l’impianto del
rito di cui alla legge 689/81 appare improntato alla massima specialità
(si vedano le norme dettate ai fini delle modalità di proposizione,
della documentazione da produrre, dei termini a comparire, degli
obblighi dell’ufficio, dei poteri officiosi del Giudice, della
ripartizione di competenza ratione materiae, della nullità della
sentenza se del dispositivo non viene data lettura in udienza alla fine
della discussione). Il vincolo alla ritualità è stato anche più volte
affermato con riferimento alla forma dell’appello, che risulta
vincolato dal rito applicato, anche se erroneamente, in sede di
giudizio di primo grado.
Né sembra tecnicamente possibile un
mutamento del rito, convertendo un ricorso proposto con la legge 689/81
in un rito ordinario ex art. 615 c.p.c., al solo scopo di dare una
veste processuale corretta, ad esempio, all’eccezione di illegittimità
della maggiorazione ex art. 27, pur in presenza di un titolo esecutivo
formatosi a seguito della corretta notificazione del verbale di
accertamento.
L’introduzione del ricorso con il rito di cui alla legge 689/81
vincola il Giudice all’osservanza di tutto quanto in via speciale
sancito nella predetta legge, incluso l’obbligo di attenersi ai vizi
denunciati dal ricorrente, alla causa petendi dallo stesso introdotta
ed al relativo petitum (“annulla-conferma” la pretesa sanzionatoria).
Ove
il ricorrente introduca con il ricorso una eccezione relativa al
diritto del creditore di procedere per una voce accessoria alla
sanzione, il ricorso dovrebbe essere dichiarato inammissibile (vedere
Cassaz. Sez. unite sentenze n. 491 del 13.07.2000 e n. 562 del
10.08.2000, e la nota 16).
L’opposizione ex art. 615 c.p.c. si
propone con citazione ad udienza fissa, dinanzi al Giudice competente
per il giudizio ordinario e nei limiti della competenza per valore.
L’attore deve provvedere alle notifiche ed all’iscrizione a ruolo;
l’onere della prova incombe sull’opponente e il Giudice potrà emettere
una sentenza che accerterà e dichiarerà se il creditore aveva o meno il
diritto di procedere in via esecutiva.
Il provvedimento in tema di sanzioni amministrative, pertanto, non sarebbe più “annulla la pretesa” (tipico provvedimento con valore ex tunc), bensì “dichiara non dovuta parte del credito” (tipico
provvedimento con valore ex nunc, cioè fondato sul presupposto della
legittimità originaria della pretesa ma della sua successiva estinzione
per accertamento dell’autorità giudiziaria).
Principio della conservazione degli atti nulli
La
disposizione dell’art. 156 c.p.c. può trovare applicazione anche in
tema di ricorsi amministrativi introdotti con il rito previsto dalla legge 689/81
in quanto la Cassazione ha affermato che, per tutto quanto non previsto
in detta legge, si applicano le norme previste per il rito ordinario
civile.
Inoltre la Suprema Corte, decidendo in tema di
impugnazione di cartella esattoriale proposta dinanzi a Giudice non
competente per materia, ha insistito nell’affermazione del principio
della translatio iudicii, in forza del quale non va
semplicemente affermata la incompetenza o la inammissibilità ma vanno
rimesse le parti dinanzi al Giudice competente, salvaguardando il
diritto di difesa (costituzionalmente garantito) (30)
L’atto
di impugnazione della cartella, ancorchè erroneamente proposto con
ricorso ex art. 22 della legge 689/81, può essere conservato quale atto
sostanziale a condizione che sia rispettato il principio del
contraddittorio.
Pertanto:
-
se la PA si è
costituita (ritenendo con ciò il rituale deposito di atto difensivo e
non la semplice trasmissione dei documenti non accompagnata da una
esplicita presa di posizione in ordine alla domanda di annullamento del
verbale o cartella), non sussiste nullità o inammissibilità del ricorso
(salvo quanto si dirà sulle formalità del rito). -
se la
PA non si è costituita, deve essere ordinata dal Giudice la
rinnovazione dell’opposizione nelle forme di cui all’art. 615 c.p.c..
Alla
conclusione predetta si perviene a seguito delle pronunce a sezioni
unite della Cassazione in data 22 febbraio 2007 n. 4109 e 20 maggio
2008, n. 14831.
“Considerato che il giusto processo non è
diretto allo scopo di sfociare in una decisione di mero rito, ma di
rendere una pronuncia di merito stabilendo chi ha torto e chi ha
ragione, in base a una lettura costituzionalmente orientata della
disciplina della materia, che tenga conto delle argomentazioni
emergenti dalle intervenute modifiche legislative e delle
prospettazioni svolte di recente dalla dottrina, deve ritenersi che
nell’ordinamento processuale è stato dato ingresso al principio della
“translatio iudicii” dal giudice ordinario a quello speciale, e
viceversa, in caso di pronuncia sulla giurisdizione (sia ad opera della
Cassazione, sia ad opera di qualsiasi altro giudice)” (Cass. SS.UU.
4109/2007( 31)).
Qualificazione della domanda e possibili soluzioni sul rito da applicare
Alla
luce di quanto chiarito, occorre ora determinare come comportarsi se il
motivo di ricorso è da ricomprendere fra quelli di cui all’art. 615 e
il ricorso è proposto con l’art. 22.
Sussiste un vizio di forma
della proposizione della domanda ed una violazione delle norme
tributarie (contributo unificato, copie, notifiche). NON si deve
parlare di conversione del rito, perché non è previsto.
E’ un
problema di qualificazione della domanda, che spetta al Giudice il
quale, solo in forza di tale potere può decretare la ammissibilità
sostanziale dell’impugnazione della cartella.
Una corretta soluzione processuale può articolarsi come segue:
-
dare atto a verbale che, in relazione alla domanda, l’azione proposta deve qualificarsi quale opposizione ex art. 615 c.p.c.;
-
invitare parte ricorrente all’adempimento degli obblighi fiscali con il versamento del contributo unificato;
-
in
caso di mancata costituzione della PA, disporre la rinnovazione della
convocazione della PA tramite notifica (a cura della parte) del
provvedimento del Giudice.
Al momento della decisione nel merito:
-
dare atto in sentenza della qualificazione giuridica della domanda;
-
adeguare il dispositivo secondo le seguenti possibilità:
accerta
e dichiara che l’ente creditore non aveva il diritto di procedere in
via esecutiva in quanto (esporre il motivo del vizio della iscrizione a
ruolo esattoriale);
annulla la cartella in quanto la pretesa sanzionatoria era da considerarsi estinta;
annullare in parte la cartella in quanto la pretesa creditoria non era legittima nella misura di ……..
In particolare l’art. 126 bis
La più recente pronuncia in materia è Cassaz. 12.06.2007, n. 13748 (32),
che specifica il costante obbligo per il proprietario di conoscere
l’identità della persona che conduce il veicolo di sua proprietà e,
conseguentemente, sanziona l’omessa indicazione del conducente o la
comunicazione che non permetta la sua identificazione.
Il
dibattito è aperto e da più parti si oppone la insostenibilità di un
obbligo giuridico di annotare il nome di colui al quale viene affidato
il veicolo. Poiché dobbiamo sempre fare i conti con il dettato della
norma e le leggi sono approvate dal parlamento (anche quando sono
inique o lacunose) occorre procedere in modo sistematico.
A
seguito della contestazione non immediata di una violazione che
comporti la decurtazione di punti della patente, con contestuale invito
a comunicare i dati della persona fisica del conducente, si potranno
verificare varie ipotesi di comportamento da parte del proprietario del
veicolo:
-
Il proprietario dell’auto non comunica i dati
del conducente; in forza della sentenza della Corte costituzionale n.
27/2005 non si procederà a decurtazione di punti ma si applicherà al
proprietario la sanzione di cui all’art. 126 bis, n. 2. -
Il
proprietario comunica i dati del conducente: non si procederà ad
applicazione di alcuna sanzione a carico del proprietario ma si aprirà
una fase di contestazione ed accertamento a carico della persona
indicata quale conducente. Resta la responsabilità personale del
proprietario per eventuali false dichiarazioni. -
Il
proprietario fornisce una risposta che non contiene elementi di
identificazione del conducente, oppure precisa di non poter fornire i
dati del conducente e motiva tale omissione con la impossibilità di
accertare i movimenti dell’auto all’epoca della violazione, o con altra
argomentazione. E’ il caso più frequente che riguarda, soprattutto ma
non solo, le cosiddette auto aziendali o comunque intestate a persone
giuridiche.
E’ stato opportunamente posto il quesito
di quale sia il fondamento giuridico della norma di cui all’art. 126
bis che, nell’ultima parte del punto 2), dispone a carico del
proprietario un obbligo giuridico di comunicazione di dati e,
successivamente, prevede la sanzione per l’omissione di detta
comunicazione. Come già ricordato dalla Corte costituzionale, la
giustificazione risiede nella normativa generale della responsabilità
soggettiva prevista dagli artt. 40 e 41 C.P., applicabili anche in tema
di responsabilità civile o comunque personale (Cass. civ. 8 agosto
2000, n. 10414 – Cass. Sez. unite 11 settembre 2002, n. 30328). Il
secondo comma dell’art. 40 C.P. dispone che “non impedire un evento,
che si ha l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”.
Anche il diritto civile, in ogni caso, conosce la responsabilità
omissiva, quale violazione di uno specifico obbligo di fare.
Si
può osservare che la comunicazione dei dati del conducente non equivale
ad ammissione dell’addebito, assolvendo ad una semplice operazione
storica di accertamento della conduzione del veicolo; non sembra che,
sotto un profilo sistematico, tale risposta possa essere del tutto
esauriente.
Non vi può essere dubbio che dalla richiamata norma
discendano per il proprietario del veicolo due distinte conseguenze:
sia l’obbligo di comunicazione dei dati del conducente, sia la sanzione
relativa alla violazione di detto obbligo. Si tratta di fattispecie
disciplinate distintamente, con separato regime sanzionatorio (art. 126
bis e art. 180 CdS) e tali norme sono frutto di un potere discrezionale
del legislatore che non viola alcun principio costituzionale.
Resta
da considerare l’inciso previsto dalla norma in ordine alla ipotesi di
un giustificato motivo; si tratta di una esimente aperta, suscettibile
di valutazione ponderata in rapporto al caso concreto. Il conflitto che
si preannuncia riguarderà, da un lato, l’interesse pubblico alla
repressione delle condotte illecite e la punizione dell’effettivo
responsabile, mentre, dall’altro lato, si porrà la valutazione del
fatto oggettivo che, pur sussistendo l’obbligo del cittadino alla
collaborazione con l’ente pubblico per il raggiungimento di scopi di
interesse collettivo, “ad impossibilia nemo tenetur”.
Il
primo quesito concerne l’individuazione del soggetto competente alla
valutazione del giustificato motivo addotto per la omissione dei dati
del conducente. Poiché il destinatario primo della comunicazione del
proprietario è l’autorità procedente, quest’ultima è titolare in via
istituzionale del potere di valutazione discrezionale della fondatezza
o meno delle motivazioni addotte, anche sotto il profilo dell’esercizio
nell’interesse pubblico del potere di autotutela. Qualora, quindi, la
P.A. ritenesse, per propria valutazione, di non procedere ad
applicazione alcuna di sanzione a carico del proprietario, a causa
della sussistenza di un giustificato motivo, nessuna illegittimità
sarebbe riscontrabile in una simile decisione.
Ma l’ipotesi
più probabile sarà quella dell’applicazione della sanzione, in forza
dell’argomentazione contenuta alla lettera c) del punto 2) della
circolare ministeriale del 4.2.2005 n. 300/A/1/41236/109/16/1. In detto
documento si pone l’accento in via esclusiva sull’effetto prodotto
dalla omissione dei dati, sottolineando il pregiudizio dell’interesse
pubblico a perseguire l’effettivo responsabile dell’illecito. Tuttavia
in tanto può comminarsi una sanzione ad un soggetto in quanto sussista
a carico dello stesso una responsabilità; non basta il solo effetto
negativo dell’impunità del conducente per poter affermare che, con
certezza inoppugnabile, sussista una responsabilità in capo al
proprietario. E’ consolidato, sia in dottrina che in giurisprudenza, il
convincimento della necessità di un accertamento rituale e puntuale del
nesso di causalità fra condotta del soggetto ed evento negativo
prodotto. Nella predetta circolare si vuole accreditare l’ipotesi di un
automatismo fra insufficienza dei dati forniti dal proprietario ed
obbligo della sanzione di cui all’art. 126 bis. Ma non è così semplice.
Nella
fattispecie, infatti, non si può evitare di verificare che fra il
contenuto della risposta e l’evento negativo della mancata punizione
del responsabile possa sussistere una esimente della responsabilità
omissiva a carico del proprietario del veicolo. Tale compito, molto
verosimilmente, sarà affidato al Giudice di Pace nel momento in cui il
proprietario, avendo ricevuto la sanzione di cui all’art. 126 bis,
proponga ricorso sostenendo di avere rappresentato un giustificato
motivo di impossibilità di fornire i dati del conducente.
In tal
senso si è espressa la sentenza della Corte costituzionale n. 165/2008.
Nel rigettare l’eccezione di incostituzionalità, la Corte osserva come
il giudice rimettente “non avesse attribuito il dovuto rilievo «alla circostanza che agli illeciti amministrativi contemplati dal codice della strada si applica la disciplina generale dell’illecito depenalizzato di cui alla legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), il cui art. 3, nel subordinare la responsabilità all’esistenza di un’azione od omissione che sia “cosciente e volontaria”, ha inteso, appunto, prevedere il caso fortuito o la forza maggiore quali circostanze idonee ad esonerare l’agente da responsabilità”.
Prosegue la detta sentenza osservando che “di conseguenza, la medesima ordinanza n. 244 del 2006, «alla stregua di tale duplice argomento ermeneutico (letterale e sistematico)», ha affermato che tra le varie interpretazioni della norma oggi censurata rientra anche quella che riconosce «la possibilità di discernere il caso di chi, inopinatamente, ignori del tutto l’invito “a fornire i dati personali e della patente del conducente al momento della commessa violazione”, da quello di colui che, “presentandosi o scrivendo”, adduca invece l’esistenza di motivi idonei a giustificare l’omessa trasmissione di tali dati».
Conclude la Corte “che
debba essere riconosciuta al proprietario del veicolo la facoltà di
esonerarsi da responsabilità, dimostrando l’impossibilità di rendere
una dichiarazione diversa da quella “negativa” (cioè a dire di non
conoscenza dei dati personali e della patente del conducente autore della commessa violazione); è una conclusione che discende anche dalla necessità di offrire della censurata disposizione, nella parte in cui richiama l’art. 180, comma 8, del medesimo codice della strada, un’interpretazione coerente proprio con gli indirizzi ermeneutici formatisi in merito alla norma richiamata, e secondo i quali essa sanzionerebbe il «rifiuto» della condotta collaborativa (e non già la mera omessa collaborazione) necessaria ai fini dell’accertamento delle infrazioni stradali. Inoltre, come anche affermato da questa Corte con l’ordinanza n. 434 del 2007, appare necessario precisare – per fugare «persistenti dubbi nell’interpretazione del testo originario dell’art. 126-bis, comma 2, del codice della strada» – che la scelta in favore di «un’opzione
ermeneutica, che pervenisse alla conclusione di equiparare ogni ipotesi
di omessa comunicazione dei “dati personali e della patente del
conducente al momento della commessa violazione”, presenterebbe una dubbia compatibilità con l’art. 24 Cost.»; essa, infatti, «non consentendo in alcun modo all’interessato di sottrarsi all’applicazione della sanzione pecuniaria, si risolverebbe nella previsione di una presunzione iuris et de iure di responsabilità», con conseguente «lesione del diritto di difesa», dal momento che risulterebbe preclusa all’interessato «ogni possibilità di provare circostanze che attengono alla propria effettiva condotta». Resta, dunque, confermata, nell’applicazione anche del testo originario dell’art. 126-bis, comma 2, del codice della strada, la necessità di distinguere il comportamento di chi si disinteressi della richiesta di comunicare i dati personali e della patente del conducente, non ottemperando, così, in alcun modo all’invito rivoltogli (contegno per ciò solo meritevole di sanzione) e la condotta di chi abbia fornito una
dichiarazione di contenuto negativo, sulla base di giustificazioni, la
idoneità delle quali ad escludere la presunzione relativa di
responsabilità a carico del dichiarante dovrà essere vagliata dal giudice comune, di volta in volta, anche alla luce delle caratteristiche delle singole fattispecie concrete sottoposte al suo giudizio”.
E’
lecito chiedersi a quali riscontri oggettivi potrà fare riferimento il
Giudice, posto che le giustificazioni meramente soggettive non potranno
costituire una esimente giuridicamente valida.
E’ appena il caso
di ricordare che l’esenzione da responsabilità, pur in presenza di un
illecito certo, costituisce un fatto eccezionale e che, pertanto,
l’ipotesi dovrà essere esaminata con particolare prudenza e rigore. Il
Giudice dovrà fare riferimento, per quanto possibile, a riscontri
oggettivi certi.
In primo luogo, trattandosi di violazioni
accertate senza contestazione immediata, la notifica del relativo
verbale deve essere effettuata entro 150 giorni; si verificherà,
pertanto, il caso costante di un certo lasso di tempo fra la violazione
e la sua contestazione. Il fatto è tutt’altro che trascurabile, poiché
è certamente oggettiva la difficoltà di ricostruire con esattezza i
propri movimenti a distanza di alcuni mesi. E’ altrettanto fondata
l’osservazione che ciò può costituire una lesione certa del diritto di
difesa, poiché qualunque testimonianza di terzi, eventualmente
acquisita a distanza di diversi mesi, sarebbe giustamente esaminata con
molta diffidenza da qualsiasi giudicante. Resta quindi aperta la
valutazione della possibilità o meno per il proprietario dell’auto di
acquisire certezze in linea di fatto in ordine ad una ipotesi di
violazione notificata a distanza di alcuni mesi. Per una ipotesi di
passaggio con luce semaforica rossa, infatti, non si vede con quale
mezzo di memorizzazione l’individuo possa conservare tracce sicure del
proprio transito regolare o meno, in totale assenza di contestazione
immediata e di qualunque segnale sonoro in occasione dell’illecito. La
giustificazione di non poter fornire i dati del conducente in
considerazione del tempo trascorso resta, quindi, tutta da valutare nel
caso concreto.
Per talune categorie lavorative esiste un’agenda
di appuntamenti e di movimenti che può fornire un riscontro, ma si
tratta pur sempre di dati soggettivi ed autogestiti, per i quali non
sussiste un obbligo di legge di tenuta e conservazione secondo criteri
prestabiliti.
In secondo luogo si può ricorrere all’esame delle
caratteristiche del soggetto proprietario, in caso di auto aziendale;
una ditta formata da sole due persone (o da marito e moglie con
quest’ultima senza patente e casalinga) potrà concretamente offrire nei
termini poche possibilità di un giustificato motivo a sostegno della
impossibilità di accertare l’effettivo trasgressore al momento della
violazione. Una società composta da molti dipendenti e con una
organizzazione di movimentazione auto variabile giornalmente potrà
invece rivestire maggiore attendibilità. Gli elementi di prova in
fatto, tuttavia, dovranno essere forniti dal soggetto che invoca
l’esimente, e la loro insufficienza ricadrà a danno esclusivo del
proprietario.
Infine si può fare ricorso al genere di attività
del proprietario ed all’esame delle persone che possono avere avuto
l’uso dell’auto, per motivi personali, familiari o aziendali. Anche
quest’ultimo costituisce un esame in fatto e in forza di indizi,
positivi o negativi, forniti dal proprietario stesso.
Molto
potranno fare le decisioni dei Giudici di merito che, tuttavia, saranno
sempre ancorate alle caratteristiche peculiari del caso concreto.
** ** **
Si pone un ulteriore quesito, da coordinare con altre norme che disciplinano la materia.
L’art. 126 bis dispone che “L’organo
da cui dipende l’agente che ha accertato la violazione che comporta la
perdita di punteggio, ne dà notizia, entro trenta giorni dalla
definizione della contestazione effettuata, all’anagrafe nazionale
degli abilitati alla guida. La contestazione si intende definita quando
sia avvenuto il pagamento della sanzione amministrativa pecuniaria o
siano conclusi i procedimenti dei ricorsi amministrativi e
giurisdizionali ammessi ovvero siano decorsi i termini per la
proposizione dei medesimi. Il predetto termine di trenta giorni decorre
dalla conoscenza da parte dell’organo di polizia dell’avvenuto
pagamento della sanzione, della scadenza del termine per la
proposizione dei ricorsi, ovvero dalla conoscenza dell’esito dei
ricorsi medesimi”.
Il provvedimento di decurtazione dei
punti, pertanto, consegue alla comunicazione da parte dell’accertatore
all’anagrafe, ma detta comunicazione non deve essere eseguita prima che
l’accertamento sia divenuto definitivo, nel senso precisato dalla
norma. Devono perciò ritenersi privi di effetto alcuno quei
provvedimenti di decurtazione inviati contestualmente alla notifica
della violazione o nel corso del procedimento di opposizione.
Dice ancora l’art. 126 bis: “La
comunicazione deve essere effettuata a carico del conducente quale
responsabile della violazione; nel caso di mancata identificazione di
questi, il proprietario del veicolo, ovvero altro obbligato in solido
ai sensi dell’articolo 196, deve fornire all’organo di polizia che
procede, entro sessanta giorni dalla data di notifica del verbale di
contestazione, i dati personali e della patente del conducente al
momento della commessa violazione. Se il proprietario del
veicolo risulta una persona giuridica, il suo legale rappresentante o
un suo delegato è tenuto a fornire gli stessi dati, entro lo stesso
termine, all’organo di polizia che procede. Il proprietario del
veicolo, ovvero altro obbligato in solido ai sensi dell’articolo 196,
sia esso persona fisica o giuridica, che omette, senza giustificato e
documentato motivo, di fornirli è soggetto alla sanzione amministrativa
del pagamento di una somma da euro 250 a euro 1.000.”.
E’
lecito porsi il quesito del possibile conflitto fra la pendenza del
giudizio di opposizione e la richiesta dei dati del conducente, da
coordinare con altre norme che disciplinano la materia.
Nel caso
di pendenza di ricorso, visto che la norma stessa dispone che la
sanzione accessoria della decurtazione possa essere applicata soltanto
dopo l’esaurirsi della procedura giudiziaria, si può ritenere che
l’organo accertatore debba inoltrare la richiesta di precisazione dei
dati del conducente soltanto dopo che la contestazione sia divenuta
definitiva, con il rigetto dell’opposizione (nell’ipotesi di
accoglimento dell’opposizione, infatti, non vi sarebbe nessuna
violazione e quindi non sussisterebbe alcuna necessità di accertamento
del responsabile). Il proprietario opponente che si veda rigettare il
ricorso, deve avere la possibilità di indicare i dati del conducente,
effettivamente responsabile della violazione, anche nel momento in cui
diviene definitiva la contestazione. Ciò corrisponde ad una corretta
valutazione sistematica del complesso normativo.
Infatti, la stessa Corte Costituzionale, nella motivazione della sentenza 27/2005, pur non affrontando ex professo il tema, ha chiaramente precisato che “in
nessun caso il proprietario è tenuto a rivelare i dati personali e
della patente del conducente prima della definizione dei procedimenti
giurisdizionali o amministrativi per l’annullamento del verbale di
contestazione dell’infrazione” dovendosi intendere “definita” la contestazione “quando
sia avvenuto il pagamento della sanzione amministrativa pecuniaria o
siano conclusi i procedimenti dei ricorsi amministrativi e
giurisdizionali ammessi ovvero siano decorsi i termini per la
proposizione dei medesimi”.
Sulla scorta del mutato assetto
normativo a seguito della declaratoria di parziale incostituzionalità
dell’art.126 bis cds, ed in applicazione del principio richiamato,
vanno quindi esaminate le varie fattispecie che possono presentarsi al
vaglio giudiziale, nell’ottica dell’individuazione del dies a quo da cui far decorrere il termine previsto per le comunicazioni richieste dall’art.126 bis 2 comma cds.
Ipotesi
a): Il proprietario non paga la sanzione nei sessanta giorni dalla
notifica del verbale e non effettua alcuna comunicazione.
In
tal caso la contestazione deve intendersi “definita”, nel senso
evidenziato dalla Consulta, allo scadere del termine previsto per il
pagamento della sanzione pecuniaria stabilita per la violazione
contestata; il verbale infatti diventa definitivamente esecutivo per
mancato pagamento nei sessanta giorni dalla sua notifica. Va tuttavia
considerato che il proprietario avrà teoricamente ancora la
disponibilità di sessanta giorni di tempo da tale scadenza per
adempiere l’obbligo di comunicazione delle generalità e del numero di
patente di colui che era effettivamente alla guida del mezzo.
In
tal caso il verbale ex art. 180 ottavo comma cds sarà legittimamente
emesso, non essendo intervenuta alcuna comunicazione, ma i termini di
validità per la sua notifica dovranno farsi decorrere dal
centoventesimo giorno (60+60) dalla notifica del verbale di
contestazione.
Ipotesi b): Il proprietario non paga la
sanzione nei sessanta giorni dalla notifica, ma comunica nello stesso
termine le generalità e del numero di patente di colui che era
effettivamente alla guida del mezzo.
Si tratta dell’ipotesi
“fisiologica”. In tal caso, il proprietario ha adempiuto l’onere
informativo su di esso incombente, e quindi non sarà soggetto, se non
quale obbligato solidale, né alla sanzione pecuniaria di cui al verbale
di contestazione notificatogli, né a quella “derivata” di cui all’art.
180 ottavo comma cds. La P.A, dovrà quindi notificare un altro verbale
di contestazione all’effettivo conducente, dalla cui patente verrà
decurtato il relativo punteggio, ed il termine per tale notifica
decorrerà dal giorno della comunicazione effettuata dal proprietario
del veicolo sanzionato.
Ipotesi c): Il proprietario non
paga la sanzione nei sessanta giorni dalla notifica del verbale ma
effettua la comunicazione dei dati del conducente oltre la detta
scadenza.
Sebbene si tratti di ipotesi di difficile
applicazione per ovvi motivi, tuttavia il sistema pare ammettere che il
proprietario legittimamente comunichi i dati del conducente dopo la
scadenza dei termini per il pagamento della sanzione recata dal verbale
di contestazione e nei sessanta giorni da detta scadenza.
Da
un lato il proprietario sarebbe soggetto al pagamento della sanzione
pecuniaria prevista dal verbale di contestazione nella misura non più
ridotta, essendo ormai lo stesso divenuto esecutivo definitivamente,
mentre il conducente sarebbe soggetto alla sanzione della sola
decurtazione del punteggio dalla patente di guida, sempre salva
l’eventuale impugnazione da parte di quest’ultimo del verbale
successivamente notificatogli (come si vedrà al paragrafo successivo).
L’eventuale successiva notifica del verbale di cui all’art.180 ottavo
comma cds nei confronti del proprietario per pretesa tardiva
comunicazione dei dati richiesti, ossia oltre i sessanta giorni dalla
notifica del verbale di contestazione, ma comunque entro i 120 giorni
dalla medesima, sarà quindi sicuramente impugnabile per manifesta
illegittimità in quanto il relativo termine non poteva dirsi ancora
scaduto al momento di detta comunicazione.
Ipotesi d): Il proprietario non paga la sanzione ed impugna nei termini il verbale di contestazione
Anche
tale ipotesi ricorre frequentemente. Il proprietario, avendo motivi per
opporsi al verbale, lo impugna nei termini di legge radicando un
procedimento giurisdizionale in ordine alla legittimità
dell’accertamento effettuato. In tale caso la contestazione non potrà
considerarsi “definita” sino a che risulterà pendente il procedimento
medesimo e quindi sino a che lo stesso non sarà deciso con un
provvedimento con autorità di giudicato.
In realtà è facile
che il verbale ex art. 180 ottavo comma cds sia notificato al
ricorrente mentre ancora pende il giudizio di opposizione sul verbale
di contestazione; invero, con le modifiche apportate dalla riforma del
processo civile, ora la prima udienza viene fissata a non meno di 90
giorni più 20 per la notifica dal deposito del ricorso, mentre il
verbale ex art. 180 ottavo comma cds, considerando il termine dei
sessanta giorni dalla notifica del verbale di contestazione, viene
notificato entro i 150 giorni dal decorso di tali sessanta giorni e se
il procedimento non si definisce alla prima udienza è facile che si
verifichi una simile situazione. Orbene, poiché, come detto, il termine
dei sessanta giorni per la comunicazione dei dati richiesti dall’art.
126 bis 2 comma cds non può decorrere se non dalla definizione della
contestazione, pendendo ancora il procedimento sulla contestazione
stessa, l’eventuale opposizione al verbale ex art. 180 ottavo comma cds
(nel frattempo notificato) da parte del ricorrente dovrà essere
accolta, essendo lo stesso stato emesso illegittimamente.
Nella
ipotesi in cui il procedimento di opposizione al verbale di
contestazione sia già definito si deve considerare il suo esito.
Così
in caso di accoglimento del ricorso, l’accertata illegittimità della
contestazione esclude in radice la necessità di accertare l’effettivo
responsabile. Infatti, nell’ipotesi in cui, successivamente
all’accoglimento del ricorso con conseguente annullamento del verbale
impugnato, il ricorrente si veda notificare un verbale ex art. 180
ottavo comma cds, per mancata comunicazione dei dati richiesti, e lo
impugni per tale motivo, invocando la sentenza irrevocabile del giudice
di pace emessa al riguardo, l’opposizione va senz’altro accolta.
In
caso di rigetto del ricorso si deve invece accertare se la relativa
sentenza sia stata impugnata o meno. Nel primo caso, pendendo un
giudizio di appello avanti il tribunale, la contestazione non si può
dire ancora “definita” nel senso divisato e quindi il verbale ex art.
180 ottavo comma cds, eventualmente notificato al ricorrente, dovrà
considerarsi illegittimo per gli stessi motivi sopra indicati.
Nell’ipotesi
in cui la sentenza del giudice di pace non sia stata impugnata
bisognerà accertare se siano o meno decorsi i termini per la sua
impugnazione.
In caso negativo, potendo ancora essere proposta
impugnazione, la contestazione non si può dire ancora “definita” nel
senso divisato e quindi il verbale ex art. 180 ottavo comma cds,
eventualmente notificato al ricorrente, dovrà considerarsi illegittimo
per gli stessi motivi sopra indicati.
In caso positivo invece,
poiché la contestazione si deve intendere definita con il vano decorso
del termine per l’impugnazione della sentenza di primo grado, il
verbale ex art. 180 ottavo comma cds dovrà essere considerato legittimo
solo se sia stato notificato nei 150 giorni successivi al decorso dei
sessanta giorni dalla scadenza del termine per impugnare la sentenza di
primo grado e quindi da quando è intervenuto il giudicato sulla
contestazione.
Ipotesi e): Il proprietario paga la sanzione nei sessanta giorni dalla notifica del verbale e non effettua alcuna comunicazione.
In
tale ipotesi, che ricorre frequentemente, il proprietario, con il
pagamento, riconosce implicitamente di essere anche conducente, ma
ritiene di avere adempiuto compiutamente il proprio obbligo, il più
delle volte perché non presta particolare attenzione a quanto indicato
nel verbale in tema di conseguenze dell’omessa comunicazione ex art.
126 bis secondo comma cds.
Una volta ricevuta la notifica del
verbale di cui all’art. 180 ottavo comma cds il proprietario
solitamente interpone opposizione e sostiene la propria buona fede,
evidenziata comunque dalla volontà solutoria in ordine alla sanzione
pecuniaria, ovvero dichiara di non aver effettuato alcuna comunicazione
credendo di subire la decurtazione dei punti personalmente ed anzi
invocandola in sede di impugnazione.
Si ritiene che in tal
caso l’impugnazione sia da rigettare sotto entrambi i profili. Quanto
al primo appare evidente l’applicazione del noto brocardo ignorantia legis non excusat,
né può invocarsi la buona fede laddove viene evidenziato chiaramente
l’obbligo di comunicazione imposto al proprietario dalla norma di legge
e la relativa sanzione in caso di inadempimento (che figura in ogni
verbale di contestazione differito che comporti la decurtazione di
punti dalla patente di guida). Quanto al secondo, a seguito della
declaratoria di incostituzionalità dell’art. 126 bis secondo comma cds,
la decurtazione dei punti dalla patente di guida del proprietario del
veicolo può conseguire solo ad una espressa comunicazione dei dati
richiesti del conducente (mentre nel previgente regime tale
comunicazione serviva ad evitare la decurtazione dei punti del
proprietario del mezzo) con la conseguenza che il proprietario che
vuole evitare la sanzione pecuniaria prevista dall’art.180 ottavo comma
cds, preferendo la decurtazione dei punti dalla propria patente di
guida, non può legittimamente ritenere che essa consegua
automaticamente al pagamento tout court della sanzione prevista
dal verbale, ma deve comunicare i propri dati entro il termine, come
visto, dei sessanta giorni dal momento dell’avvenuto pagamento di tale
sanzione, perché è con tale pagamento che la contestazione è stata
“definita”, e non certamente in sede di impugnazione del verbale ex
art.180 ottavo comma cds, in modo oltre che irrituale anche
intempestivo.
In definitiva si può affermare che:
-
l’applicazione della sanzione accessoria della decurtazione dei punti è l’effetto della definitività dell’accertamento;
-
detta
definitività matura a seguito del decorso del termine utile al ricorso,
senza che questo venga proposto, o dalla sentenza che rigetta il
ricorso ed in assenza di impugnazione; -
prima della definitività, ogni provvedimento di decurtazione non ha effetti giuridici ed appare perciò illegittimo;
-
il
proprietario ha l’obbligo di comunicazione dei dati ma potrà adempiere
a detto obbligo sia nel termine di sessanta giorni dalla richiesta, in
qualunque tempo inviata, sia entro il termine di sessanta giorni dalla
conoscenza del rigetto del suo ricorso; -
non sembra
legittima l’applicazione della sanzione pecuniaria di cui all’art. 126
bis CdS fino a quando pende l’opposizione che, se accolta, annullerebbe
il fatto illecito che forma il presupposto per l’applicazione di
qualsiasi sanzione, principale o accessoria. -
il
proprietario che comunichi i dati del conducente entro sessanta giorni
dalla conoscenza della sentenza di rigetto, ha diritto che si proceda
alla decurtazione dei punti a carico del responsabile e non
all’applicazione a proprio carico della sanzione pecuniaria prevista
dall’art. 126 bis comma CdS.
** ** **
Aspetti giuridico-processuali
CLASSIFICAZIONE DELL’ILLECITO
Trattasi
di illecito omissivo. L’istituto è noto al diritto penale, all’art. 40
– 2° comma C.P., ove si specifica che non impedire un evento che si ha
l’obbligo di prevenire, equivale a cagionarlo. In realtà, nel caso de
quo, si tratta più semplicemente di un inadempimento ad un obbligo di
legge, che costituisce comunque una violazione. L’interesse pubblico
tutelato, tuttavia, è quello della individuazione del reale
trasgressore, al quale applicare la sanzione del tutto personale della
decurtazione dei punti della patente. In tal senso l’obbligo de quo è
stato anche classificato quale obbligo di collaborazione del cittadino
con la Pubblica Amministrazione. La condotta illecita, in ogni caso, è
essenzialmente un “non fare” in presenza di un obbligo di “fare”.
L’ipotesi
omissiva ha sempre creato perplessità di concreta applicazione; infatti
è difficile comprendere per quale meccanismo giuridico si debba punire
un soggetto che non fa nulla.
In realtà la punizione del “non
fare” è direttamente collegata all’obbligo di “fare”; ciò è facilmente
comprensibile in tutte quelle occasioni in cui è sancito, ad esempio,
l’obbligo di pagare una somma entro un certo termine e tale pagamento
non viene effettuato. Oppure si pensi all’obbligo di chiedere ed
ottenere preventivamente una autorizzazione all’apertura di un
esercizio commerciale; l’omissione della richiesta (cioè il non aver
fatto) conduce alla sanzione prevista per la violazione dell’obbligo di
fare (cioè di preventivamente richiedere).
Nel caso che ci
occupa, il legislatore ha introdotto il nuovo istituto della
decurtazione dei punti dalla patente del conducente (in tal senso la
Corte costituzionale con la nota sentenza 27/2005 ha corretto la
sciagurata idea del legislatore del 2003 di decurtare i punti del
proprietario per l’illecito di una persona diversa). Una volta preso
atto che il legislatore, nella sua discrezionalità, ha voluto puntare
su detta misura quale ipotesi di correzione dei comportamenti illeciti
sulla strada, non si può fare altro che adeguarsi al detto dura lex, sed lex, anche quando si tratta di orribile lex (l’illusione di risolvere tutto in questo modo è dimostrata dal rilevamento statistico del permanere delle “stragi del sabato sera” e dell’alto numero di morti e feriti gravi).
La
struttura delle norme di questo tipo è di tipo oggettivo, nel senso che
non permette e non richiede l’indagine sulla negligenza o la
volontarietà della omissione ma prende atto, puramente e semplicemente,
della inosservanza dell’obbligo. Al Giudice non è permessa l’indagine
sull’elemento soggettivo della colpevolezza ma soltanto, come si vedrà,
sulla sussistenza o meno della esimente.
Va infine respinta
l’ipotesi che il proprietario venga sanzionato due volte per la stessa
infrazione, quella originaria dalla quale nasce l’obbligo della
indicazione del conducente e quella ex art. 126 bis per aver fornito
una indicazione insufficiente alla identificazione del conducente.
Anche in questo caso occorre osservare e prender atto che, in linea di
diritto, le violazioni sono distinte e separate, con una specifica
previsione normativa e un regime sanzionatorio diverso; inoltre la
violazione originaria non dà origine, necessariamente e
immancabilmente, all’applicazione della sanzione ex art. 126 bis.
Dunque l’argomentazione è priva di pregio giuridico e non è valutabile
neppure sotto il profilo teorico della iniquità.
SCOPO FINALE DELLA NORMA
Come
si è già visto, la norma vuole raggiungere lo scopo essenziale, e di
squisito interesse pubblico, della punizione di colui che con il suo
comportamento produce un rischio concreto nella circolazione. La
prospettiva di essere costretti a non usare l’auto a causa di una
restrizione sulla patente, è accompagnata da un forte potere
deterrente. Non è così distante dalla realtà del nostro paese
sintetizzare ciò in uno slogan, preso a prestito dalla pubblicità
commerciale: “toglietemi tutto ma non la mia patente”.
In
tutta la riforma del 2003 l’unica prospettiva veramente drammatica per
l’utente della strada è quella di incorrere nelle misure sulla patente
(inclusa la sospensione temporanea prevista per i casi di
coinvolgimento in sinistri stradali nei quali appare evidente una certa
responsabilità, nonché per la guida in stato di ebbrezza).
Una
volta constatato che lo scopo del legislatore (legittimamente
esercitato anche secondo la Corte costituzionale) è quello di punire
direttamente l’autore di trasgressioni con una precisa connotazione di
illeciti di pericolo, è logico accettare l’idea che il legislatore
abbia voluto scoraggiare i tentativi di eludere l’applicazione concreta
della norma. Già di per sé appare palese che tutti quei soggetti che
possono sostenere il costo della sanzione, in alternativa alla
decurtazione e salvaguardando l’integrità della patente, fanno
affidamento su tale possibilità, attendendo la notifica del verbale ex
art. 126 bis e scaricandone il costo nei bilanci aziendali. In presenza
di tale diffusissimo costume, si può anche ritenere ragionevole una
interpretazione restrittiva della esimente di non poter indicare dati
utili alla identificazione del conducente (tale orientamento sembra
essere assunto dalla recente sentenza 12.06.2007, n. 13748 vedi nota
21).
MOMENTO DI CONSUMAZIONE DELL’ILLECITO
L’illecito
omissivo, allorchè la condotta dovuta debba essere adempiuta entro un
termine di tempo prestabilito, si consuma allo spirare del termine
utile, senza possibilità di recupero.
“In tema di fatti
omissivi connessi alla mancata attuazione di una determinata condotta
entro un termine prefissato, al fine di verificare se si tratti di
reato istantaneo o di reato permanente è necessario considerare se,
decorso inutilmente il termine penalmente sanzionato, la condotta
prescritta non possa essere più tenuta utilmente, perché l’inosservanza
del dovere ha cagionato in modo irreparabile e definitivo la lesione
dell’interesse protetto dalla legge; ovvero se l’azione prescritta
possa essere ancora utilmente tenuta, stante la persistenza
dell’interesse giuridico sotteso alla norma penale incriminatrice”.
(Cassaz. penale, sez. IV, 3 giugno 1995)
“Per aversi
reato omissivo istantaneo non basta che sia prefissato un termine per
l’adempimento del dovere sanzionato penalmente ma è necessario che si
tratti di termine oltre il quale l’azione prescritta non può essere
utilmente compiuta, dato che la inosservanza del dovere ha prodotto in
modo definitivo la lesione dell’interesse protetto dalla norma
incriminatrice” (Cassaz. penale, sez. III, 20 maggio 1985).
La individuazione del momento di consumazione dell’illecito istantaneo e non permanente determina la competenza.
Il tempo della consumazione: è lo spirare del termine previsto per la comunicazione
Il luogo della consumazione: l’ultimo luogo, prima dello spirare del termine, nel quale avrebbe potuto essere adempiuto l’obbligo.
TIPOLOGIA DELLA CONDOTTA DOVUTA
Si
tratta di una comunicazione scritta, da inoltrare ad un destinatario
precisato. Si deve quindi presumere che il mezzo della comunicazione
tramite servizio postale sia la modalità più comune (anche se non
l’unica).
Il principio generale (ormai codificato dalle nuove
norme del Codice di procedura civile a seguito della sentenza della
Corte Cost. 26.11.2002, n. 477 e successive conferme) sancisce
l’adempimento agli obblighi di notifica o comunicazione nel momento
della consegna all’ufficiale postale o ufficio delle notifiche. Gli
effetti per il notificante maturano dal momento dell’inoltro, restando
estranei al mittente gli eventuali effetti negativi delle operazioni
materiali di trasporto e consegna della comunicazione
La
comunicazione può essere inviata da qualunque luogo sul territorio
nazionale ma tale riflessione non porta a conclusioni significative.
Poiché si discute della possibilità astratta della comunicazione, e
quindi, dello spirare della possibilità concreta di inviare la stessa,
si deve presumere che l’ultimo momento utile a tale invio si consumi
nel luogo principale degli affari e degli interessi dell’obbligato,
cioè la sua residenza.
PRIMA CONCLUSIONE
L’illecito si
consuma nel momento e nel luogo in cui il trasgressore lascia spirare
presso la sua residenza il termine utile per spedire la comunicazione,
quindi sessanta giorni.
VERIFICA DELLE NORME DI ORDINE PROCESSUALE
NORME DEL C.P.C.
L’eventuale opposizione avverso la contestazione ha quale convenuto la Pubblica Amministrazione.
L’art.
25 c.p.c. indica il Giudice del luogo ove è sorta o deve eseguirsi
l’obbligazione. In relazione all’art. 126 bis CdS, l’obbligo sorge al
momento e nel luogo ove viene ricevuto l’invito, cioè la residenza
dell’obbligato.
Il luogo ove deve essere eseguita l’obbligazione
con la comunicazione, per quanto sopra già esposto, coincide con
l’ultimo momento utile ad eseguire l’atto che comporta l’estinzione
dell’obbligo: la residenza dell’obbligato resta il luogo più probabile.
ESIMENTE DELLA IMPOSSIBILITA’ DI COMUNICARE I DATI DEL CONDUCENTE
Dinanzi
all’obbligo di legge ed alla sua violazione, anche nel caso di
comunicazione positiva e tempestiva ma non idonea alla identificazione
del conducente, compete al proprietario esporre gli elementi
costitutivi della esimente prevista dalla legge.
Anche in questo
caso, dura lex sed lex. Occorre un giustificato e documentato motivo
che impedisca l’adempimento dell’obbligo previsto dalla legge. La
lettera della norma è tale e non si può fare a meno di prenderne atto;
anche il Giudice di Pace si trova nella disagevole condizione di dover
considerare tanti casi concreti, tutti diversi fra di loro, nei quali
dover valutare se sussistano motivi giustificati, e, in secondo luogo,
se detti motivi, già ritenuti giustificati in concreto, siano altresì
documentati. Nessuno potrà permettersi di chiedere al Giudice di
ignorare il dettato esplicito della norma.
L’obiezione più frequente può essere sintetizzata nell’espressione “ad impossibilia nemo tenetur”.
Più
esattamente si obietta che non sussiste alcun obbligo giuridico per il
proprietario di annotare a chi egli affida la propria auto in un
determinato giorno; in particolare si oppone l’assenza di tale obbligo
allorchè si controverta su auto aziendali, ma l’argomento viene opposto
anche nelle situazioni di gruppi familiari con diversi componenti ed
un’unica auto.
In genere il ricorrente si limita ad affermare di
non poter ricordare il nome del conducente in considerazione del tempo
trascorso, nonché dell’assenza di un obbligo a suo carico o dell’uso
promiscuo della vettura da parte di più persone (inclusi i nonni
ultraottantenni, privi di patente e neppure conviventi, spesso invalidi
con o senza contrassegno, vicini di casa ad oltre 100 Km. di distanza o
destinatari di non meglio identificate adozioni a distanza,
particolarmente fiorenti in tempi recenti). La fantasia creativa di
giustificazioni asseritamente meritevoli di accoglimento dovrebbe
essere ospitata in una raccolta letteraria.
E’ più serio
esaminare, invece, gli argomenti ipoteticamente a sostegno della
sussistenza dell’obbligo del proprietario, e ciò proprio in diretto
riferimento alle giustificazioni esposte dalla predetta sentenza ed
alle osservazioni già formulate da alcuni critici.
VARIE ARGOMENTAZIONI A SOSTEGNO DELL’OBBLIGO DEL PROPRIETARIO
Anche la recente sentenza Cassaz. 12.06.2007, n. 13748 afferma la sussistenza per principio generale di un obbligo di diligenza
a carico del proprietario nell’affidare ad un terzo la guida del
proprio veicolo, da cui discenderebbe, quale ragionevole conseguenza,
la conoscenza della identità dell’affidatario. In altre parole
l’introduzione legislativa dell’obbligo di comunicazione avrebbe
prodotto l’allargamento del concetto di diligenza all’obbligo di
collaborazione con la Pubblica amministrazione. Sinceramente, così
giustificato, il richiamo alla diligenza sembra debole. Può essere più
attendibile sottolineare l’interesse del proprietario all’esercizio
della diligenza nell’affidamento dell’auto, sia per le conseguenze
spiacevoli sul piano patrimoniale, sia per l’elevato costo raggiunto
dai veicoli, sia per quella precisa affezione dell’uomo alla propria
auto (dato da considerarsi notorio, visti i delitti consumati in
occasione di “attentati” contro le auto, le vendette consumate
fra coniugi separati e il valore squisitamente simbolico attribuito a
certe categorie di auto o alla personalizzazione esasperata del proprio
veicolo).
Con altro argomento si invoca la coobbligazione solidale
del proprietario negli obblighi derivanti dai fatti della circolazione
stradale: è facile obiettare, peraltro, che ciò concerne le conseguenti
patrimoniali del fatto illecito, ma non quelle di natura personale,
quali la responsabilità penale e la decurtazione dei punti. Si
aggiunge, dall’altra parte, che la comunicazione dei dati del
conducente non comporta assunzione di responsabilità alcuna, al di
fuori delle dichiarazioni mendaci, e che quindi al proprietario non
costa nulla indicare chi fosse alla guida. Vi è da precisare, a tale
riguardo, che non basta l’indicazione del conducente per produrre
automaticamente la decurtazione dei punti; qualora il conducente
ammetta la propria responsabilità sottoscrivendo il modello e inviando
la copia del proprio documento di identità, si potrà applicare
direttamente la sanzione specifica. Diversamente, al conducente,
indicato come tale dal proprietario, andrà contestata l’infrazione con
atto allo stesso notificato ed egli avrà il diritto di proporre ricorso
diretto a smentire la circostanza di fatto. Non è sostenibile l’ipotesi
di una delazione privata, priva di riscontro nel contraddittorio con
l’interessato, che sia idonea all’applicazione di una sanzione di
natura personale.
Ancora, si richiamano gli obblighi del custode.
Tentando di applicare i principi di diritto al caso che ci occupa (nel
quale il danneggiato sarebbe la Pubblica amministrazione per il fatto
di non poter decurtare i punti a nessuno), esaminiamo quanto afferma la
Cassazione con Sentenza n. 27168 del 19/12/2006:
“In
tema di danno cagionato da cose in custodia è indispensabile, per
l’affermazione di responsabilità del custode, che sia accertata la
sussistenza di un nesso di causalità tra la cosa ed il danno patito dal
terzo, dovendo, a tal fine, ricorrere la duplice condizione che il
fatto costituisca un antecedente necessario dell’evento, nel senso che
quest’ultimo rientri tra le conseguenze normali ed ordinarie di esso, e
che l’antecedente medesimo non sia poi neutralizzato, sul piano
causale, dalla sopravvenienza di circostanze da sole idonee a
determinare l’evento. Ne consegue che anche nell’ipotesi in cui il
custode non abbia attuato, sulla cosa nella sua disponibilità, tutte le
precauzioni astrattamente idonee ad evitarne la responsabilità, la
causa efficiente sopravvenuta che del caso fortuito presenti i
requisiti propri dell’eccezionalità e dell’oggettiva imprevedibilità e
che da sola sia idonea a provocare l’evento, interrompe il nesso
eziologico e produce gli effetti liberatori, pur quando essa si
concreti nel fatto del terzo o dello stesso danneggiato”.
Ed anche con Sentenza n. 25243 del 29/11/2006:
“Ai
sensi dell’art. 2051 cod. civ. la responsabilità per danni ha natura
oggettiva, in quanto si fonda sul mero rapporto di custodia, cioè sulla
relazione intercorrente fra la cosa dannosa e colui il quale ha
l’effettivo potere su di essa (come il proprietario, il possessore o
anche il detentore) e non sulla presunzione di colpa, restando estraneo
alla fattispecie il comportamento tenuto dal custode; a tal fine,
occorre, da un lato, che il danno sia prodotto nell’ambito del
dinamismo connaturale del bene o, per l’insorgenza in esso di un
processo dannoso, ancorchè provocato da elementi esterni, e,
dall’altro, che la cosa, pur combinandosi con l’elemento esterno
costituisca la causa o la concausa del danno; pertanto, l’attore deve
offrire la prova del nesso causale fra la cosa in custodia e l’evento
lesivo nonchè dell’esistenza di un rapporto di custodia relativamente
alla cosa, mentre il convenuto deve dimostrare l’esistenza di un
fattore estraneo che, per il carattere dell’imprevedibilità e
dell’eccezionalità, sia idoneo ad interrompere il nesso di causalità,
cioè il caso fortuito, in presenza del quale è esclusa la
responsabilità del custode”.
Si veda infine la Sentenza n. 21244 del 29/09/2006:
“In
tema di responsabilità da custodia, facendo eccezione alla regola
generale di cui al combinato disposto degli artt. 2043 e 2697 cod.
civ., l’art. 2051 cod. civ. determina un’ipotesi caratterizzata da un
criterio di inversione dell’onere della prova, ponendo a carico del
custode la possibilità di liberarsi della presunzione di responsabilità
a suo carico mediante la prova liberatoria del fortuito, risultando a
tale stregua agevolata la posizione del danneggiato, rimanendo sul
custode il rischio del fatto ignoto”.
Sembra riconfermato
l’obbligo del ricorrente di fornire la prova del fatto liberatorio,
cioè della esimente già analizzata; il fatto ignoto, cioè la
impossibilità di ricostruire l’affidamento a terzi, resta a carico del
custode. Non può affermarsi la imprevedibilità o la eccezionalità della
guida affidata a terzi in quanto ciò consegue ad un fatto volontario
del proprietario e non alla diversa ipotesi della circolazione contro
la sua volontà.—
Il profilo degli obblighi del custode appare,
quindi, totalmente sfavorevole alle giustificazioni addotte dal
proprietario a propria scusante di non poter fornire i dati del
conducente.
Altri si richiamano all’istituto dell’incauto affidamento,
per sostenere che il proprietario ha un interesse proprio, prima ancora
che un obbligo giuridico, a sapere sempre in quali mani si trovi il
proprio veicolo. Anche in tal caso esaminiamo qualche massima, non
senza rimarcare che si tratta di pronunce di vari anni or sono.
Sez. 4, Sentenza n. 482 del 16/12/1994
“Anche dopo che, con il nuovo codice della strada, introdotto con il D.Lgs. 30 aprile 1992 n. 285, l’incauto affidamento
del veicolo a persona non munita di patente è divenuto illecito
amministrativo, e perciò depenalizzato (art. 116 c. 12 del codice della
strada vigente), è possibile il concorso nel reato di guida senza
patente, ora previsto dall’art. 116 c. 13, quando l’affidante agisca
con dolo, cioè sia consapevole che l’affidatario è sprovvisto di
patente e il suo comportamento sia riconducibile ai parametri generali
previsti dall’ordinamento in tema di concorso secondo i quali il
concorso è configurabile non solo quando vi sia partecipazione
all’esecuzione materiale del reato, ma anche quando l’agente abbia
incitato o rafforzato l’altrui volontà, o fornito i mezzi per
commetterlo”.
Sez. 4, Sentenza n. 10030 del 16/06/1992
“La
contravvenzione di cui all’art. 80 comma dodicesimo cod. strad. può
avere natura sia dolosa che colposa e pertanto essa è configurabile a
carico dell’affidante sia che questi sappia che l’affidatario non abbia
conseguito la patente di guida e sia che, per colpevole negligenza,
abbia omesso il relativo accertamento”.
L’argomento non
fornisce dati significativi, al di fuori della ulteriore sottolineatura
di un generale obbligo di diligenza nell’affidamento a terzi di un bene
di particolarissima natura, qual è l’automobile, anche in
considerazione della potenzialità nociva dello strumento, se non
correttamente condotto.
In definitiva, la prova della esimente di un motivo giustificato e documentato appare “diabolica probatio” ma
niente affatto impossibile; soprattutto non appare niente affatto
impossibile conoscere l’identità del conducente al momento del fatto.
Fino a quando la norma resterà con l’attuale configurazione, non
possono trovare accoglimento le generiche giustificazioni attualmente
addotte per non indicare il nome del conducente.
COMPETENZA PER TERRITORIO A GIUDICARE DEL RICORSO AMMINISTRATIVO
Anche
se viene trattato per ultimo, tale argomento non appare per nulla
indifferente; per la verità l’eccezione di incompetenza per territorio,
se proposta, dovrà essere esaminata e risolta prima di ogni altra
ragione.
E’ doveroso ricordare che la Cassazione ha deciso la questione con ordinanza n. 17580 del 09/08/2007 come segue:
“È
territorialmente competente a decidere l’opposizione avverso il verbale
di contestazione della violazione dell’articolo 126 bis, comma secondo,
cod. strada – sanzionante il proprietario del veicolo che senza
giustificato motivo non comunichi nel termine previsto le generalità
del conducente al momento della commessa infrazione – il giudice del
luogo dove ha sede l’organo di polizia procedente, giacchè l’infrazione
si consuma nel luogo in cui avrebbe dovuto pervenire la comunicazione
che è stata omessa”. (Nella specie il Giudice di Pace di Viareggio, con
ordinanza del 9 novembre 2006, aveva sollevato di ufficio regolamento
di competenza avverso il decreto dell’8 maggio 2006 del Giudice di Pace
di Lucca che lo aveva indicato competente e la S.C. ha dichiarato la
competenza del Giudice di Pace di Lucca, dove aveva sede la Sezione di
Polizia stradale procedente).
Dalla lettura dell’intera
ordinanza, peraltro, si desume che la Cassazione decide per la
competenza esclusivamente in base al luogo ove deve pervenire la
comunicazione trascurando i recenti ed univoci orientamenti della Corte
Costituzionale in tema di adempimento degli obblighi del mittente
rispetto a quelli del destinatario. In tutti i casi in cui sussista un
obbligo a comunicare entro un certo termine una propria volontà (ad
esempio in materia di partecipazione a concorsi) per il mittente vale
la data di affidamento all’organo deputato al recapito (Posta,
ufficiale giudiziario o altro). Designare la competenza in base alla
sede del soggetto che deve ricevere dovrebbe attrarre, quale
conseguenza logica, anche la necessità che la comunicazione pervenga
entro il termine di sessanta giorni; ciò contravviene a quanto sancito
dalla Corte costituzionale.
VERIFICA DELLE NORME DI ORDINE PROCESSUALE
NORME DEL C.P.C.
L’eventuale opposizione avverso la contestazione ha quale convenuto la Pubblica Amministrazione.
L’art.
25 c.p.c. indica il Giudice del luogo ove è sorta o deve eseguirsi
l’obbligazione. In relazione all’art. 126 bis CdS, l’obbligo sorge al
momento e nel luogo ove viene ricevuto l’invito, cioè la residenza
dell’obbligato.
Il luogo ove deve essere eseguita l’obbligazione
con la comunicazione, per quanto sopra già esposto, coincide con
l’ultimo momento utile ad eseguire l’atto che comporta l’estinzione
dell’obbligo: la residenza dell’obbligato resta il luogo più probabile.
LEGGE 689/81
L’art. 22 determina la competenza per territorio del Giudice ove è commessa la violazione.
Senza
ripetersi, la violazione dell’invito di cui all’art. 126 bis CdS è
commessa nel luogo di residenza del trasgressore (restando irrilevante
la violazione originaria della norma di comportamento che ha dato
origine all’invito a comunicare i dati del conducente).
La
Cassazione ha affermato più volte che, per tutto quanto non previsto
dalla legge 689/81, devono applicarsi le norme processuali del giudizio
ordinario civile.
NORME DEL C.P.P.
La legge 689/81 deriva
dalla depenalizzazione di illeciti penali; l’impostazione sistematica
di tale normativa è di natura penale e l’illecito omissivo è tipico del
diritto penale. E’ d’obbligo, tuttavia, prendere atto che la detta
legge non disciplina reati ma illeciti amministrativi. Non è quindi
conferente il richiamo alle norme che regolano il processo penale. In
via residuale, peraltro, anche l’esame delle norme che regolano la
competenza per territorio in materia penale, di cui agli artt. 8 e 9
cpp, non portano a concludere per luoghi diversi dalla residenza
dell’imputato.
La suriportata ordinanza della Cassazione,
tuttavia, non risulta che abbia considerato e valutato tutte le
suesposte considerazioni.
In merito si è espresso il Ministero
dell’Interno, con circolare PROT. N. M/2413/28, in risposta a
segnalazioni da parte di alcune Prefetture, circa le incertezze e le
difficoltà in ordine alla individuazione del Prefetto e/o del Giudice
di Pace territorialmente competenti a decidere i ricorsi proposti
avverso i sommari processi verbali di contestazione delle violazioni
dell’art. 180, comma 8, CdS, violazione richiamata espressamente
dall’art. 126 bis, comma 2 dello stesso Codice, ritenendo che:
– al
fine di fondere la competenza del Prefetto e/o Giudice di Pace cui
proporre ricorso avverso la condotta omissiva tenuta successivamente
alla violazione contestata, il luogo della commissione di quest’ultima
non possa assumere alcun rilievo e che debba, piuttosto, farsi
riferimento al luogo di residenza dell’interessato.
Sulla sentenza a SS.UU. della Cassazione 17355/2009
La
Suprema Corte interviene in modo energico sul tema del valore da
attribuire al verbale redatto dal P.U. e sul regime della prova
contraria; il contributo è destinato a provocare molti tormenti
giudiziari ma è stato esplicitamente prodotto dalle sezioni unite con
la evidente finalità di impedire un possibile contrasto
giurisprudenziale, in parte già evidenziatosi.
In una prima
parte della pronuncia ci si sofferma sui contenuti del verbale,
indicando quali di essi possono dirsi assistiti dal valore di pubblica
fede, a conferma di quanto già deciso con sentenza 12545/1992 delle
stesse Sezioni unite.
Premesso che il verbale è a tutti gli
effetti “atto pubblico”, in sintesi sono certamente da considerare al
rango di piena prova:
-
la provenienza del documento;
-
le dichiarazioni delle parti;
-
i fatti avvenuti in presenza del P.U.;
-
gli atti dallo stesso compiuti.
Il
valore di atto pubblico non lede il diritto di difesa in quanto resta
sempre esperibile il procedimento di querela di falso, nel quale il
diritto alla prova è pieno.
Restano esclusi dal valore di piena prova:
-
le valutazioni del P.U.;
-
gli apprezzamenti personali, anche se relativi a fatti accaduti in sua presenza.
Nel
corpo della decisione si esprime a chiare lettere la necessità
sistematica di ritornare ad un regime di assoluta indiscutibilità di
parte del contenuto dell’atto pubblico, attribuendo alla figura del
P.U. il ruolo di fondamentale affidamento per la stabilità della
convivenza civile.
Si precisa, infatti, che occorre non dare
seguito all’orientamento che permetteva di introdurre nel procedimento
di opposizione a sanzione amministrativa il dubbio in ordine alla
corretta percezione statica o dinamica del P.U. a causa della “lesione
che esso ha comportato, e può ulteriormente comportare, al superiore
interesse della certezza giuridica dell’attività svolta dai pubblici
ufficiali ed alle esigenze di garanzia del buon andamento della P.A.
alla cui tutela è funzionale l’efficacia di piena prova attribuita
all’atto pubblico ex art. 2700 C.C.”
A tale scopo sarebbero
preordinate le norme che “tipizzano” il verbale , obbligando il P.U. a
esporre in forma sommaria il fatto e ad indicare gli estremi precisi e
dettagliati della violazione.
Va altresì preso atto che la stessa Suprema Corte conferma l’obbligo per il P.U. di descrivere “le
particolari condizioni soggettive ed oggettive dell’accertamento, dando
conto nell’atto pubblico non soltanto della sua presenza ai fatti
attestati, ma anche delle ragioni per le quali detta presenza ne ha
consentito l’attestazione”.
Si deve peraltro prendere atto
che la figura del P.U. non è più riconducibile ad una persona la cui
qualifica è predeterminata da un incarico formalmente individuabile
come tale.
La qualità di pubblico ufficiale deriva dalla
tipologia delle prestazioni esercitate, ossia dallo svolgimento in
concreto di una funzione pubblica legislativa, giurisdizionale o
amministrativa.
E’ pubblico ufficiale il medico che partecipa
alla formazione della volontà della Pubblica Amministrazione o alle
dichiarazioni di volontà, scienza o verità della stessa (per esempio,
il medico incaricato del controllo della sussistenza di una malattia;
il medico convenzionato che svolge l’attività di accertamento a carico
dell’assistito in vista di una dichiarazione certificativa).
La
qualità, quindi, consegue all’esercizio della funzione e non
all’investitura ufficiale con atto formale e qualifica predeterminata
dalla legge.
Si verifica anche che la stessa persona può essere
PU la mattina e libero professionista nel pomeriggio: si pensi al
medico ospedaliero con rapporto extra moenia che nelle ore del mattino
svolge le sue funzioni in reparto o al Pronto soccorso e nel pomeriggio
effettua prestazioni specialistiche nel suo studio privato.
Ciò
comporta, ad esempio in materia di obbligo al rapporto ed al referto in
merito al reato di immigrazione clandestina, un differente regime a
seconda del momento in cui si viene a trovare il soggetto.
La decisione in esame prosegue tracciando una rigida ripartizione del regime della prova.
Nell’ambito
del giudizio di opposizione a sanzione amministrativa, disciplinato
dalla legge 689/81, l’ammissibilità della contestazione va condotta in
relazione a circostanze che esulano dall’accertamento, quali:
-
L’identificazione dell’autore
-
La sua capacità
-
La sussistenza dell’elemento soggettivo
-
Le cause di esclusione della responsabilità
-
L’eventuale contraddittorietà fra elementi contenuti nel verbale.
Al
particolare giudizio di querela di falso, e senza preclusione di alcun
mezzo di prova, andranno riservate tutte le contestazioni relative a:
-
mancata particolareggiata esposizione delle circostanze dell’accertamento
-
non idoneità delle stesse a conferire certezza ai fatti
-
realtà degli accadimenti
-
loro effettivo svolgersi
-
correttezza dell’operato del P.U..
La
decisione in esame, tuttavia, non appare pienamente idonea a risolvere
ogni possibile dubbio di applicazione al caso concreto. La lettura dei
verbali, nella loro attuale ed abituale redazione, non sembra
soddisfare l’esigenza della puntuale e circostanziata relazione in
ordine a “le particolari condizioni soggettive ed oggettive dell’accertamento” e “le ragioni per le quali detta presenza ne ha consentito l’attestazione”.
Riflettiamo
anche sul fatto che in tema di sanzioni amministrative per violazioni
al Codice della Strada il ricorrente (nella stragrande maggioranza dei
casi) sta in giudizio da solo, senza assistenza di avvocato, e sarà
difficile che egli possa comprendere la differenza fra fede
privilegiata del verbale e affermazioni soggettive del PU; altrettanto
potrà dirsi della differenza fra i procedimenti di opposizione ex art.
22 della legge 689/81 e la querela di falso dinanzi al Tribunale.
Sarà
anche difficile contrastare la radicata convinzione che i Comuni e lo
Stato pratichino comunemente la strategia della contravvenzione
stradale per incrementare le entrate.
Anche la vecchia
obiezione: “ma è la parola mia contro la sua” (riferita quest’ultima
alla parola del vigile) non mancherà di essere opposta con irritazione
ed attribuendo al Giudice una abituale complicità con la Polizia Locale
o stradale (con buona pace del principio della imparzialità e
indipendenza dell’autorità giudiziaria da quella amministrativa).
La
menzione della totale libertà di prova nel giudizio di querela di falso
non è di per sé satisfattiva del diritto alla difesa, a causa nella
necessaria assistenza di avvocato e della competenza del Tribunale (con
i tempi e i costi ormai tristemente noti). Tenendo conto altresì della
condizione abituale del conducente che viaggia da solo in vettura,
resta difficile immaginare di quale ampiezza di prova egli possa
effettivamente disporre.
Se, da un lato, appare giusto il rigore
e il recupero di un regime di certezza da attribuire all’operato del
P.U., dall’altro lato non è così sicuro che la ripartizione così
drastica del regime della prova non costituisca lesione concreta della
possibilità di difendersi.
E il diritto di difesa è diritto
costituzionalmente garantito, che non va osservato nella sua
astrattezza ma nella sua effettiva praticabilità.
_______________
1 In senso conforme anche Cassazione civile , sez. I, 25 agosto 2004, n. 16855.
2 Art. 384.
Casi di impossibilità della contestazione immediata.
1.
I casi di materiale impossibilità della contestazione immediata
prevista dall’articolo 201, comma 1, del codice, sono, a titolo
esemplificativo, i seguenti:
a) impossibilità di raggiungere un veicolo lanciato ad eccessiva velocità;
b) attraversamento di un incrocio con il semaforo indicante la luce rossa;
c) sorpasso in curva;
d) accertamento di una violazione da parte di un funzionario o di un agente a bordo di un mezzo di pubblico trasporto;
e)
accertamento della violazione per mezzo di appositi apparecchi di
rilevamento che consentono la determinazione dell’illecito in tempo
successivo ovvero dopo che il veicolo oggetto del rilievo sia già a
distanza dal posto di accertamento o comunque nella impossibilità di
essere fermato in tempo utile o nei modi regolamentari;
f) accertamento della violazione in assenza del trasgressore e del proprietario del veicolo.
3 “Legittimato
passivo nel giudizio di opposizione ad ordinanza-ingiunzione emanata ai
sensi della l. 24 novembre 1981 n. 689, è – anche in caso di eventuale
responsabilità sanzionatoria con vincolo di solidarietà –
esclusivamente il destinatario dell’ingiunzione al quale viene
addebitata la violazione amministrativa, in quanto tale giudizio,
sebbene abbia ad oggetto un rapporto giuridico avente fonte in
un’obbligazione di tipo sanzionatorio, è formalmente strutturato quale
impugnazione di un atto amministrativo, sicché non è consentita in esso
la partecipazione di soggetti diversi dall’amministrazione ingiungente
e dall’ingiunto, trovando la legittimazione a ricorrere fondamento
nell’esistenza di un interesse giuridico alla rimozione di un atto del
quale il ricorrente sia destinatario, mentre il fatto di essere esposto
ad una eventuale azione di regresso integra un semplice interesse di
fatto. (Nella specie la S.C. ha confermato la sentenza di merito con la
quale era stata dichiarata l’improcedibilità del ricorso per difetto di
legittimazione attiva dell’opponente, comodatario del veicolo in
relazione al quale era stata accertata la violazione, ed obbligato
contrattualmente nei confronti della proprietaria a pagare le eventuali
sanzioni amministrative attinenti alla circolazione del veicolo
stesso)”; Cass. civ. 11 gennaio 2007, n. 325 – conforme Cass. civ. 19.06.2006 n. 14098.
4 In
tema di violazioni al codice della strada, atteso che il cosiddetto
pagamento in misura ridotta, secondo la costruzione normativa di cui
all’art. 202 cod. str., non influenza l’applicazione delle eventuali
sanzioni accessorie, l’avvenuto pagamento della sanzione amministrativa
pecuniaria non preclude il ricorso al prefetto o l’opposizione al
giudice ordinario rispetto alle sanzioni accessorie, ma comporta
soltanto un’incompatibilità (oltre che un’implicita rinunzia) a far
valere qualsiasi contestazione relativa sia alla sanzione pecuniaria
irrogata sia alla violazione contestata, che della sanzione pecuniaria
è il presupposto giuridico. L’interessato, quindi, potrà far valere
doglianze che abbiano ad oggetto esclusivo le sole sanzioni accessorie,
quali la mancata previsione della pena accessoria o la previsione della
stessa in misura diversa, come ad esempio, quando si contesti che la
violazione astrattamente considerata non contemplava quella pena
accessoria o non la prevedeva nella misura applicata. (In applicazione
del principio, la S.C. ha confermato la sentenza del G.d.P. che aveva
accolto il ricorso di un soggetto che, dopo avere effettuato il
pagamento in misura ridotta per un’infrazione al codice della strada,
aveva contestato la legittimità della sanzione accessoria della
decurtazione dei punti dalla patente, per la mancata istituzione dei
corsi di recupero del punteggio); Cass. civ. Sez. U., Sentenza n. 20544 del 29/07/2008.
5 In
tema di violazione del codice della strada, la notificazione del
verbale di contestazione al proprietario dell’autoveicolo presso la
residenza risultante dal pubblico registro automobilistico (P.R.A.) è
valida ed efficace, anche se la residenza non corrisponde a quella
effettiva, se il destinatario della contestazione non abbia provveduto
ex art. 94 cod. strada a comunicarne la modifica entro 60 gg. dal
cambiamento, incombendo su di esso un obbligo di collaborazione la cui
omissione integra un illecito amministrativo. (Nella fattispecie, la
Corte ha cassato la sentenza del giudice di pace che aveva ritenuto
invalida la notificazione del verbale di contestazione e della cartella
esattoriale perché l’autore della violazione amministrativa non era più
convivente col padre al momento della notifica, senza considerare gli
obblighi di diligenza su di esso incombenti ex lege); Cass. Civ. 12 giugno 2008, n. 15831.
6 Nella
notificazione eseguita ex art. 139, comma 3, c.p.c. l’omessa spedizione
della raccomandata prescritta dal quarto comma della medesima
disposizione non costituisce una mera irregolarità, ma un vizio
dell’attività dell’ufficiale giudiziario che determina, fatti salvi gli
effetti della consegna dell’atto dal notificante all’ufficiale
giudiziario medesimo, la nullità della notificazione nei riguardi del
destinatario; Cass. Civ. 30 giugno 2008, n. 17915 – conforme Cass. Civ. 10 ottobre 2008, n. 25031.
7 “A
seguito della dichiarazione di illegittimità costituzionale del primo
comma dell’art. 201 del codice della strada (Corte cost. n. 198 del
1996), nella parte in cui, in caso di identificazione del trasgressore
successiva alla violazione, stabiliva che il termine di centocinquanta
giorni per la notificazione della contestazione decorresse dalla data
dell’avvenuta identificazione, anzichè da quella in cui risultava dai
pubblici registri l’intestazione del veicolo o le altre qualifiche del
soggetto responsabile, o comunque dalla data in cui la P.A. era posta
in grado di provvedere all’identificazione, il termine per la
notificazione degli estremi della violazione può decorrere da un
momento successivo all’accertamento nei soli casi in cui
l’identificazione del trasgressore sia possibile esclusivamente dopo
l’espletamento delle formalità di iscrizione o di annotazione del
trasferimento di proprietà del veicolo nei pubblici registri
automobilistici, per gli effetti di cui all’art. 386 del regolamento di
esecuzione del codice della strada. Pertanto, nel caso in cui la prima
notificazione della contestazione non sia andata a buon fine per
“indirizzo insufficiente” grava sull’Amministrazione l’onere di provare
che l’identificazione del trasgressore sia stata possibile solo dopo
l’espletamento delle ricerche anagrafiche a causa dell’omessa o tardiva
comunicazione al P.R.A. del trasferimento di residenza da parte del
trasgressore. (Nella fattispecie la S.C. ha cassato la sentenza del
giudice di pace di rigetto dell’opposizione non essendo stata fornita
dall’Amministrazione alcuna prova in ordine all’impossibilità della
tempestiva identificazione del destinatario in quanto la dizione
“indirizzo insufficiente” non evidenziava la non corrispondenza della
residenza con il luogo risultante nei pubblici registri)”; Cass. Civ. Sentenza n. 27936 del 24/11/2008.
8
“La competenza sull’opposizione all’ordinanza – ingiunzione ex art. 22
l. 24 novembre 1981 n. 689, è devoluta funzionalmente e, quindi,
inderogabilmente, al giudice del luogo in cui è stata commessa
l’infrazione; pertanto, nei giudizi instaurati nel vigore del testo
vigente (a seguito della modifica apportata dall’art. 4 della legge n.
353 del 1990) dell’art. 38 c.p.c. (e, quindi, dopo il 30 aprile 1995)
tale forma d’incompetenza territoriale del giudice adito è rilevabile,
anche d’ufficio, ma solo entro la prima udienza di trattazione”; Cass. Civ. 20 aprile 2005, n. 8294.
9
“Le sentenze del giudice di pace non sono soggette a regolamento di
competenza, nè necessario, nè facoltativo, come espressamente dispone
l’art. 46 c.p.c. e, se il valore della causa non supera Euro 1.100, il
mezzo di impugnazione ammissibile è il ricorso per cassazione, a norma
degli art. 113, comma 2, e 339, comma 3, dello stesso codice sia che il
giudice abbia pronunciato sul merito della controversia, sia che si sia
limitato ad una pronuncia sulla competenza o su altra questione
preliminare di rito o di merito, sia che abbia pronunciato sulla
competenza e sul merito”; Cass. Civ. 20 aprile 2005, n. 8294.
10
“Nei giudizi dinanzi al giudice di pace, ai sensi dell’art. 44 c.p.c.,
qualora il giudice preventivamente adito declini la propria competenza,
affermando la competenza per materia o territoriale inderogabile di
altro giudice, e la parte non impugni con l’appello la relativa
decisione, provvedendo a riassumere tempestivamente il giudizio dinanzi
al giudice indicato come competente, si ha acquiescenza alla
declaratoria di incompetenza e la competenza del giudice indicato
rimane incontestabilmente stabilita”; Cass. Civ. 04 agosto 2006, n. 17695.
11 Cassazione civile , sez. un., 22 febbraio 2007, n. 4109.
12 4.3.
Deve, pertanto, essere affermato il seguente principio di diritto: “Il
giudice tributario innanzi al quale sia stato impugnato un
provvedimento di fermo di beni mobili registrati ai sensi del D.P.R. n.
602 del 1973, art. 86, deve accertare quale sia la natura – tributaria
o non tributaria – dei crediti posti a fondamento del provvedimento in
questione, trattenendo, nel primo caso, la causa presso di se,
interamente o parzialmente (se il provvedimento faccia riferimento a
crediti in parte di natura tributaria e in parte di natura non
tributaria), per la decisione del merito e rimettendo, nel secondo
caso, interamente o parzialmente, la causa innanzi al giudice
ordinario, in applicazione del principio della translatio iudicii. Allo
stesso modo deve comportarsi il giudice ordinario eventualmente adito.
Il debitore, in caso di provvedimento di fermo che trovi riferimento in
una pluralità di crediti di natura diversa, può comunque proporre
originariamente separati ricorsi innanzi ai giudici diversamente
competenti”.
13
”È costituzionalmente illegittimo l’art. 30 l. 6 dicembre 1971 n. 1034,
nella parte in cui non prevede che gli effetti, sostanziali e
processuali, prodotti dalla domanda proposta a giudice privo di
giurisdizione si conservino, a seguito di declinatoria di
giurisdizione, nel processo proseguito davanti al giudice munito di
giurisdizione. Premesso che non può addebitarsi al rimettente di non
aver valutato la praticabilità di una soluzione costituzionalmente
orientata – in quanto non è condivisibile l’assunto, fatto proprio
dalla Corte di cassazione a Sezioni Unite, secondo il quale non
esisterebbe nel nostro ordinamento un divieto espresso di “translatio
iudicii” nei rapporti fra g.o. e giudice speciale, dal momento che
l’espressa previsione della translatio con esclusivo riferimento alla
competenza non può significare altro se non divieto di applicare il
medesimo istituto alla giurisdizione -, il principio della
incomunicabilità dei giudici appartenenti ad ordini diversi, se
comprensibile in altri momenti storici, è certamente incompatibile,
oggi, con fondamentali valori costituzionali, non potendo la previsione
di una pluralità di giudici risolversi in una minore effettività, o
addirittura in una vanificazione, della tutela giurisdizionale;
evenienza, questa, che si verifica quando la disciplina dei rapporti
tra diverse giurisdizioni, per di più innervantesi su un riparto di
competenze complesso ed articolato, è tale per cui l’erronea
individuazione del giudice munito di giurisdizione, o l’errore del
giudice in tema di giurisdizione, può risolversi in un pregiudizio
irreparabile della possibilità stessa di un esame nel merito della
domanda, con conseguente pregiudizio per il diritto alla tutela
giurisdizionale e ad una ragionevole durata del giudizio. La disciplina
legislativa che necessariamente dovrà essere emanata per colmare una
lacuna dell’ordinamento processuale sarà vincolata solo nel senso che
dovrà dare attuazione al principio della conservazione degli effetti,
sostanziali e processuali, prodotti dalla domanda proposta a giudice
privo di giurisdizione nel giudizio ritualmente riattivato davanti al
giudice che ne è munito, ed il legislatore è libero di disciplinare,
nel modo ritenuto più opportuno, il meccanismo della riassunzione”; Corte costituzionale, 12 marzo 2007, n. 77.
14 “La
competenza per l’opposizione a decreto ingiuntivo, attribuita dall’art.
645 c.p.c. all’ufficio giudiziario cui appartiene il giudice che ha
emesso il decreto, ha carattere funzionale ed inderogabile, stante
l’assimilabilità del giudizio di opposizione a quello di impugnazione,
sicché essa non può subire modificazioni neppure per una situazione di
connessione, senza che rilevi in contrario la eliminazione della regola
della rilevabilità d’ufficio delle competenze cosiddette forti in ogni
stato e grado. Ne consegue che, nel caso in cui, nel giudizio di
opposizione a decreto ingiuntivo emesso dal giudice di pace, sia
proposta dall’opponente domanda riconvenzionale eccedente i limiti di
valore della competenza del predetto giudice, questi è tenuto a
separare le due cause, trattenendo quella relativa alla opposizione e
rimettendo l’altra al giudice superiore, e che, in difetto, il giudice
superiore cui sia stata rimessa l’intera causa può richiedere, nei
limiti temporali fissati dall’art. 38 c.p.c., il regolamento di
competenza ex, art. 45 c.p.c.”; Cass. Civ. 20 settembre 2006, n. 20324 – Cass. Civ. 17 marzo 2006, n. 6054 – Giudice di pace Bari, 19 gennaio 2007, n. 597.
15 “L’inderogabilità
della competenza territoriale si ha soltanto nei casi in cui sia
espressamente disposta dalla legge (art. 28 c.p.c.). Fra questi casi
non è compreso il foro stabilito dalle parti – che, appunto perché
pattizio e non legale, dà luogo ad un’ipotesi di competenza derogata e
non già inderogabile – e, pertanto, tale foro, ancorché sia esclusivo
(art. 29 c.p.c.), non impedisce, al pari di ogni altro criterio
determinativo della competenza, che questa sia suscettibile di
modificazioni per ragioni di connessione, in base alle regole della
prevenzione e dell’assorbimento ovvero del cumulo soggettivo (art. 31,
33, 39 e 40 c.p.c.)”. Cass. Civ. 15 luglio 1985, n. 4143.
16 “Le
disposizioni di cui al comma 3, 4, 5 dell’art. 40 c.p.c. dettano i
criteri di individuazione del rito applicabile nell’ipotesi di cause
connesse assoggettate a riti differenti, e derogano ad uno dei riti
applicabili; esse non possono, invece, derogare alla disciplina della
competenza, quale è ad esempio la competenza inderogabile per materia
del pretore ex art. 45 l. n. 392 del 1978”; Cass. Civ. 02 febbraio 1996, n. 898.
17
“Ove il giudice di pace, adito con domanda rientrante nella sua
competenza “ratione materiae” (nella specie, per il rispetto delle
distanze legali nella piantagione di alberi), sia investito, in via
riconvenzionale, di una domanda eccedente la sua competenza per valore
o per materia (nella specie, di accertamento dei confini tra i due
fondi e condanna al risarcimento dei danni cagionati dai lavori di
scavo e sbancamento eseguiti dall’attore), egli è tenuto, non operando
la translatio iudicii a norma del citato art. 36 c.p.c., a trattenere
la causa principale, separando la causa riconvenzionale per la quale
non è competente, senza che possa assumere alcuna rilevanza in
contrario la disposizione del comma 6 del novellato art. 40 del codice
di rito, secondo la quale, se una causa di competenza del giudice di
pace sia connessa per i motivi di cui agli art. 31, 32, 34, 35 e 36
c.p.c. con altra causa di competenza del tribunale, le relative domande
possono essere proposte davanti al tribunale per essere decise nello
stesso processo, nè quella del comma 7 dello stesso articolo, che
prevede che, se le cause connesse ai sensi del comma 6 sono proposte
davanti al giudice di pace e al tribunale, il primo deve pronunciare
anche di ufficio la connessione a favore del tribunale. Infatti, tali
disposizioni non prevedono l’ipotesi in cui le predette domande siano
proposte sin dall’inizio davanti al giudice di pace, rimanendo ferma,
in tale ipotesi, in caso di riconvenzionale di competenza del giudice
togato, la competenza funzionale e inderogabile del giudice di pace per
la causa principale”; Cass. Civ. 08 maggio 2002, n. 6595.
18
In sede di opposizione a cartella esattoriale, emessa per il pagamento
di sanzione amministrativa, è consentito all’intimato, qualora si
deduca la mancata notifica del verbale di accertamento dell’infrazione
o dell’ordinanza-ingiunzione irrogativa della sanzione, contestare per
la prima volta la validità del titolo esecutivo; in tal caso al
soggetto esattore deve riconoscersi, insieme all’ente impositore
titolare della pretesa contestata, la concorrente legittimazione
passiva. Di conseguenza, l’opposizione deve essere proposta anche nei
confronti del medesimo esattore, che ha emesso la cartella esattoriale
ed al quale va riconosciuto l’interesse a resistere anche per gli
innegabili riflessi che un eventuale accoglimento dell’opposizione
potrebbe comportare nei rapporti con l’ente, che ha provveduto ad
inserire la sanzione nei ruoli trasmessi ai sensi dell’art. 27 l. 24
novembre 1981 n. 689. Inoltre, trattandosi d’ipotesi di litisconsorzio
necessario, la mancata integrazione del contraddittorio può essere
rilevata anche d’ufficio in ogni stato e grado del processo. (Nella
specie la S.C. ha cassato con rinvio l’impugnata sentenza – depositata
l’11 dicembre 2003 – sussistendo nullità del giudizio di primo grado
perché il g.d.p. l’aveva pronunciata in difetto di contraddittorio nei
confronti della società concessionaria del servizio riscossione, che
aveva predisposto e notificato, per il pagamento della sanzione
pecuniaria per infrazione stradale, la cartella esattoriale oggetto di
opposizione); Cass. Civ. 20 novembre 2007, n. 24154 – in senso analogo Cassaz. civ. sent. n. 709 del 16.01.2008.
19 “L’esercizio della potestà di autotutela
è rimessa alla più ampia valutazione discrezionale
dell’Amministrazione. A fronte di istanze sollecitatorie al suo
esercizio il privato è titolare di una posizione di mero interesse
semplice, che non rende obbligatoria né coercibile l’attivazione del
procedimento di riesame”. Consiglio Stato , sez. VI, 20 gennaio 2009, n. 257.
20
“Ai sensi dell’art. 23 comma 7, l. 6 dicembre 1971 n. 1034 la
cessazione della materia del contendere può essere prospettata come
causa estintiva del processo solo quando la pretesa del ricorrente,
ovvero il bene della vita cui aspira, ha trovato piena e comprovata
soddisfazione in via extragiudiziale, sì da rendere del tutto inutile
la prosecuzione del processo stante l’oggettivo venir meno della lite;
mancando tale presupposto la richiesta formulata può essere valutata
dal giudice come declaratoria di sopravvenuta carenza di interesse a
continuare a coltivare il giudizio di appello ma con la conseguenza
che, mentre la cessazione della materia del contendere incide
sull’oggetto del giudizio e quindi sul merito del processo,
eliminandolo, la carenza sopravvenuta incide su un mero presupposto
processuale (l’interesse a ricorrere), impedendo il passaggio al merito
e può essere dichiarata dal difensore”; Consiglio Stato , sez. V, 05 marzo 2009, n. 1316.
21
“Il giudice può, in qualsiasi stato e grado del processo, dare atto
d’ufficio della cessazione della materia del contendere intervenuta nel
corso del giudizio se ne riscontri i presupposti, e cioè se risulti
ritualmente acquisita o concordemente ammessa una situazione dalla
quale emerga che è venuta meno ogni ragione di contrasto tra le parti,
a ciò non ostando la perdurante esistenza di una situazione di
conflittualità in ordine alle spese, dovendosi provvedere sulle stesse
secondo il principio della soccombenza virtuale. (Fattispecie relativa
a giudizio di cassazione dichiarato inammissibile a seguito della
sopravvenuta cessazione della materia del contendere, in un giudizio
avente ad oggetto una opposizione agli atti esecutivi nel corso di
procedura esecutiva immobiliare definita con il pagamento del credito
dell’esecutante)”; Cass. civile , sez. III, 11 gennaio 2006, n. 271 – Cass. civile , sez. III, 06 febbraio 2007, n. 2567 – Cass. civile , sez. I, 13 settembre 2007, n. 19160.
“Come
sostenuto da copiosa giurisprudenza in tema, la cessazione della
materia del contendere può essere dichiarata dal giudice d’ufficio
quando sia sopravvenuta una situazione riconosciuta da entrambi le
parti che ne abbia eliminato il contrasto anche circa la rilevanza
giuridica delle vicende sopravvenute ed abbia perciò fatto venire meno
la necessità della pronuncia del giudice sull’oggetto della
controversia. Per pronunciare la cessata materia del contendere è
necessario verificare se il provvedimento sopravvenuto abbia
determinato in modo davvero completo ed esauriente la realizzazione
della pretesa fatta valere. In tal senso, la decisione che afferma la
cessata materia del contendere non ha valenza meramente processuale, ma
contiene anche un accertamento relativo al rapporto controverso.
…….Poiché l’unico elemento in contrasto risulta essere il
riconoscimento delle spese di lite, domanda su cui insiste parte
convenuta, è necessario al fine della loro liquidazione valutare la
soccombenza virtuale”, Tribunale Milano, 14 marzo 2008, n. 3459.
22
“È costituzionalmente illegittimo l’art. 23 comma 5 l. 24 novembre
1981, n. 689, nella parte in cui prevede che il pretore convalidi il
provvedimento opposto in caso di mancata presentazione dell’opponente o
del suo procuratore alla prima udienza senza addurre alcun legittimo
impedimento, anche quando l’illegittimità del provvedimento risulti
dalla documentazione allegata dall’opponente”.
23
“È costituzionalmente illegittimo – per contrasto con gli art. 3 e 24
cost. – l’art. 23 comma 5 l. 24 novembre 1981 n. 689, recante modifiche
al sistema penale, nella parte in cui, in tema di opposizione ad
ordinanza – ingiunzione che irroga sanzioni amministrative prevede che
il pretore convalidi il provvedimento opposto in caso di mancata
presentazione dell’opponente o del suo procuratore alla prima udienza
senza addurre alcun legittimo impedimento, anche quando
l’amministrazione irrogante abbia omesso il deposito dei documenti di
cui al comma 2 dello stesso art. 23, atti a comprovare la legittimità
della pretesa sanzionatoria”.
24 “Nell’opposizione
ad ingiunzione di pagamento di sanzione pecuniaria amministrativa
disciplinata dagli art. 22 e 23 l. 24 novembre n. 689, tutti i
documenti che, in qualsiasi forma, risultino depositati in giudizio
dall’amministrazione, devono ritenersi acquisiti al processo, a
prescindere dalla rituale costituzione in giudizio dell’amministrazione
opposta. Pertanto il giudice adito deve valutarli – tenendo conto della
ripartizione dell’onere probatorio a carico di ciascuna delle parti –
in funzione del giudizio sulla legittimità della pretesa sanzionatoria”
Cass. civile, sez. lav., 03 giugno 2002, n. 8037.
25 “Nel
giudizio di opposizione al pagamento di sanzione amministrativa
pecuniaria, a seguito delle dichiarazioni di illegittimità
costituzionale relative all’art. 23, comma 5, della legge n. 689 del
1981 (Corte cost., sent. n. 534 del 1990 e n. 507 del 1993),
l’emanazione della ordinanza di convalida (che costituisce
provvedimento decisorio, non revocabile dal giudice che lo ha emesso) è
subordinata a tre condizioni: 1) la mancata comparizione dell’opponente
o del suo procuratore; 2) la non fondatezza dell’opposizione sulla base
dei motivi di ricorso e dei documenti prodotti; 3) il deposito da parte
dell’amministrazione irrogante di copia del rapporto con gli atti
relativi all’accertamento, nonché alla contestazione e alla
notificazione della violazione; ne consegue che il giudice, ove ritenga
di convalidare il provvedimento opposto, ha l’obbligo di motivare in
ordine a tutti e tre i presupposti, restando in particolare escluso
che, con riferimento al giudizio di non fondatezza dell’opposizione,
valga a soddisfare tale obbligo il generico ed esclusivo richiamo, come
nella specie, alla non manifesta infondatezza del provvedimento
impugnato. Allorché detta motivazione sussista non è possibile in sede
di giudizio di legittimità sindacarne la persuasività sotto il profilo
della completezza valutativa o della sua esattezza” Cass. civile , sez. I, 25 gennaio 2007, n. 1653.
“Nel
giudizio di opposizione avverso i provvedimenti irrogativi di sanzioni
amministrative, disciplinato dagli art. 22 e 23 l. 24 novembre 1981 n.
689, l’ordinanza di cui al comma 5 del citato art. 23, con la quale il
giudice convalida il provvedimento impugnato per mancata comparizione
alla prima udienza dell’opponente che non abbia fatto pervenire
tempestiva notizia di un suo legittimo impedimento, è sufficientemente
motivata ove (come verificatosi nella specie) il giudice dia atto di
aver valutato la documentazione hinc ed inde prodotta e di averne
tratto il convincimento della non manifesta illegittimità del
provvedimento stesso in relazione alle censure mosse dall’opponente,
senza necessità di dettagliato riferimento e di specifica puntuale
disamina in ordine a ciascuna delle doglianze stesse, poiché,
diversamente opinando, verrebbe frustrata la ratio sottesa alla
predetta norma, intesa alla sollecita definizione dei procedimenti nei
quali la parte attrice abbia omesso di darvi impulso così manifestando
la propria carenza di effettivo interesse, con negativi riflessi anche
sulla durata del singolo giudizio e sui tempi di trattazione degli
altri procedimenti che siano stati, invece, correttamente coltivati. Ne
consegue che, allorquando il giudice abbia adottato, ai fini della
suddetta convalida, una motivazione che risponda ai riferiti requisiti
minimi, non si prospetta possibile in sede di legittimità sindacarne la
persuasività sotto il profilo della completezza valutativa o della sua
esattezza” Cass. civile , sez. II, 19 marzo 2007, n. 6415.
26
Come disposto esplicitamente dall’art. 36 del D.L. 31 dicembre 2007 n.
248 (in Gazz. Uff., 31 dicembre, n. 302). – Decreto convertito, con
modificazioni, in legge 28 febbraio 2008 n. 31.
27
In tal senso si esprime Cassaz. Civ. II sez. 3701/07 ma con un palese
errore nel richiamarsi al combinato disposto dell’art. 203 CdS e
dell’art. 27 della legge 689/81, anziché dell’art. 17 stessa legge.
28
Con le note sentenze a sezioni unite n. 491 del 13.07.2000 e n. 562 del
10.08.2000, confermate da ultimo da sent. n.2819 del 08.02.2006, sent.
n.4891 del 07.03.2006 – “Avverso la cartella esattoriale
emessa ai fini della riscossione di sanzioni amministrative per
violazioni del codice della strada sono esperibili: a) l’opposizione ai
sensi della l. 24 novembre 1981 n. 689, allorché sia mancata la
notificazione dell’ordinanza ingiunzione o del verbale di accertamento
della violazione, b) l’opposizione all’esecuzione ex, art. 615 c.p.c.,
allorché si contesti la legittimità dell’iscrizione a ruolo per difetto
di un titolo legittimante o per il sopravvenire di fatti estintivi
dell’obbligo, c) l’opposizione agli atti esecutivi ex, art. 617 c.p.c.,
qualora si deducano vizi della cartella. Peraltro, nell’ipotesi in cui
il giudice abbia qualificato la domanda come opposizione ad
ordinanza ingiunzione ed abbia applicato il rito di cui alla legge n.
689 del 1989, pur avendo l’opponente fatto valere motivi riconducibili
all’art. 615 c.p.c., la sentenza non è impugnabile con l’appello, ma
con il ricorso per cassazione, trovano applicazione la regola secondo
cui l’identificazione del mezzo d’impugnazione esperibile va fatta, in
ossequio al principio dell’apparenza, con esclusivo riferimento alla
qualificazione dell’azione proposta compiuta dal giudice,
indipendentemente dalla sua esattezza (Cass. Civ. 08 febbraio 2006, n. 2819).
29 ”Alla
procedura sanzionatoria di cui agli art. 43 e 44 d.lg. 23 luglio 1996
n. 415, sui servizi di investimento nel settore dei valori mobiliari, è
applicabile la l. 24 novembre 1981 n. 689, quale lex generalis nella
materia delle violazioni per le quali è prevista la sanzione
amministrativa del pagamento di una somma di denaro (salvo il
necessario coordinamento sia con le disposizioni di cui agli art. 4 e 5
d.lg. n. 415, cit., sia per quanto attiene alla procedura di
contestazione delle violazioni, con la particolare struttura della
Consob e con le modalità di contestazione e di accertamento delle
violazioni stesse); ne consegue che sono applicabili i principi secondo
cui il giudizio di opposizione è strutturato in conformità del modello
del processo civile e risponde alle regole, in particolare, della
domanda (art. 90 c.p.c.), della corrispondenza tra il chiesto e il
pronunciato e del divieto della pronuncia d’ufficio su eccezioni
rimesse esclusivamente all’iniziativa della parte (art. 112 c.p.c.),
nonché ai limiti alla modificazione della “causa petendi” (art. 183
c.p.c.) che, in tali giudizi, resta individuata sulla base dei motivi
di opposizione” (nella fattispecie, la S.C. ha ritenuto affetto da
vizio di ultrapetizione il decreto della Corte d’appello che aveva
annullato il provvedimento sanzionatorio per violazione del termine
perentorio per la contestazione degli addebiti, senza che tale vizio
fosse stato lamentato dall’opponente) Cass. Civ. 27 giugno 2002, n. 9387 – (vedi conformi sent. 9245/2002, n. 14238/2001, n.7876/2001, n.14320/2001, n.. 11595/2001).
30 Cassaz.civ. SS.UU. sent 20.05.2008 n. 14831.
31 Cass. Civ. sez. un., 22 febbraio 2007, n. 4109.
32
In tema di violazioni alle norme del codice della strada, con
riferimento alla sanzione pecuniaria inflitta per l’illecito
amministrativo previsto dal combinato disposto degli art. 126 bis comma
2, penultimo periodo, e 180 comma 8, del codice suddetto, il
proprietario del veicolo, in quanto responsabile della circolazione
dello stesso nei confronti delle pubbliche amministrazioni non meno che
dei terzi, è tenuto sempre a conoscere l’identità dei soggetti ai quali
ne affida la conduzione, onde dell’eventuale incapacità d’identificare
detti soggetti necessariamente risponde, nei confronti delle une per le
sanzioni e degli altri per i danni, a titolo di colpa per negligente
osservanza del dovere di vigilare sull’affidamento in guisa da essere
in grado di adempiere al dovere di comunicare l’identità del
conducente. Peraltro, la sentenza della Corte cost. n. 27 del 2005 –
che pure ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del comma 2 art.
126 bis c. strad., nella parte in cui era comminata la riduzione dei
punti della patente a carico del proprietario del veicolo che non fosse
stato anche responsabile dell’infrazione stradale – ha affermato, con
asserzione che in quanto interpretativa e confermativa della validità
di norma vigente, trova applicazione anche ai fatti verificatisi
precedentemente e regolati dalla norma stessa, che “nel caso in cui il
proprietario ometta di comunicare i dati personali e della patente del
conducente, trova applicazione la sanzione pecuniaria di cui all’art.
180 comma 8 c. strad. e che “in tal modo viene anche fugato il dubbio
in ordine ad una ingiustificata disparità di trattamento realizzata tra
i proprietari di veicoli, discriminati a seconda della loro natura di
persone giuridiche o fisiche, ovvero, quanto a queste ultime, in base
alla circostanza meramente accidentale che le stesse siano munite o
meno di patente” (Nella specie, il giudice di pace aveva rigettato
l’opposizione al verbale di accertamento, per violazione dell’art. 180
comma 8 c. strad., proposta da una società in s.a.s., secondo cui le
era stato impossibile identificare il conducente a causa dei numerosi
automezzi di sua proprietà affidati a vari dipendenti e
dell’insussistenza dell’obbligo di registrare ciascun affidamento; la
S.C., poiché non era stata fornita idonea ragione per esimersi da
responsabilità, ha rigettato il ricorso per erronea interpretazione
della norma suddetta in relazione alla sentenza della Corte
costituzionale n. 27 del 2005), Cass. Civ. 12 giugno 2007, n. 13748.