Ospedale condannato a risarcire se non avvia misure urgenti per salvare il paziente
Anche quando una struttura ospedaliera è in regola con il rispetto delle norme in materia d’urgenza, va ritenuta responsabile della morte di un paziente se risultano insufficienti le attività avviate per salvargli la vita. La recentissima pronuncia della Cassazione, terza sezione civile, in tema di colpa medica, sembra già destinata ad avere una portata epocale.
Nel caso specifico, i magistrati si sono espressi sulla violazione, commessa da più operatori sanitari,
che ha determinato la morte di un lavoratore, marito e padre, per un grave
incidente sul lavoro. E sono state le condotte omissive dei medici a causare il decesso del paziente. Questo l’inappellabile giudizio degli Ermellini.
Una catena di malfunzionamenti: dapprima ci furono gli ingiustificabili ritardi del
sanitario in servizio presso il pronto soccorso. Successivamente analoga condotta è stata tenuta nella fase intermedia tra l’accesso al pronto
soccorso e la fase chirurgica. Inoltre la struttura non aveva comunicato
tempestivamente i necessari risultati degli esami di laboratorio.
Pesantissima, dunque, la sentenza n. 21090/15, depositata lunedì 19 ottobre scorso: la Corte di
legittimità ha bocciato il ricorso di un ospedale contro la decisione di merito con
cui il giudice condannava la struttura a risarcire la moglie e i figli per la
morte dell’uomo.
Secondo il
giudice di appello, il decesso poteva essere scongiurato se il paziente fosse stato immediatamente sottoposto agli esami di
laboratorio e strumentali negli stessi locali del pronto soccorso e se
l’ospedale avesse avuto in dotazione le sacche del sangue. A complicare il
quadro già delicato, anche il ritardo nel trasferire il lavoratore da una
divisione all’altra del nosocomio.
«In tema di responsabilità contrattuale – scrivono i giudici di Piazza Cavour – deriva dall’obbligo di erogare la
propria prestazione, oggetto di obbligazione contrattuale nel contratto di
ospedalità, con la massima diligenza e prudenza che un nosocomio, oltre ad
osservare le normative di ogni rango in tema di dotazione e struttura delle
organizzazioni di emergenza, tenga poi in concreto condotte adeguate alle
condizioni disperate del paziente e in rapporto alle precarie o limitate
disponibilità di mezzi o risorse, benché conformi alle dotazioni o alle
istruzioni previste dalla normativa vigente, adottando di volta in volta le
determinazioni più idonee a scongiurare l’impossibilità del salvataggio del
leso».
«Basta, insomma, con ritardi e inefficienze nei Pronto Soccorso – dichiara l’avvocato Angelo Pisani, presidente di Noiconsumatori.it e difensore legale di molte vittime di malasanità e delle loro famiglie – e basta con le scuse sulla carenza di personale o sui finanziamenti che non consentono di sostituire le apparecchiature obsolete. Queste giustificazioni non potranno porre nessun nosocomio al riparo da condanne e risarcimenti. E a pagare non saranno solo i familiari con il loro dolore, ma anche le strutture pubbliche che, con il loro colpevole malfunzionamento, hanno causato il decesso o le infermità».
Intanto le statistiche ci dicono che le richieste di risarcimento arrivate alle strutture
sanitarie sono state in totale 42mila negli ultimi dieci anni. Al primo posto c’è l’errore chirurgico (27,3%), seguito dall’errore
diagnostico (18%) e quello terapeutico (10,4%), a pari merito con le cadute di
pazienti e visitatori (quasi il 10%) sulle scale e nei corridoi degli ospedali.
Se poi si analizzano gli errori per tipologia di ospedale, le strutture
sanitarie di primo livello, quelle di base, hanno registrato il maggior
numero di richieste danni, pari al 54%, seguono le strutture di secondo livello
con il 24,5% (ospedali ad alta intensità di cura o ad alta specializzazione) e
gli ospedali universitari al 20 per cento.
Il costo totale di questi sinistri è di
oltre un miliardo e mezzo di euro in risarcimenti, con un costo medio di quasi
60mila euro per ogni caso. Il dato ha provocato l’aumento del prezzi delle polizze assicurative fino al16,5% per i medici e al 13,4% per gli infermieri.