Ostacolare la bigenitorialità è un reato penale
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE VI PENALE
Sentenza 8 luglio 2009, n. 27995
Fatto e diritto
1
– Il Tribunale di Agrigento – sezione di Canicattì -, con sentenza
22/3/2005, dichiarava L. F. colpevole del reato di cui all’art. 388
c.p. (per avere eluso il provvedimento del giudice civile in ordine
all’affidamento del figlio minore A., impedendo al padre, G. L., di
tenerlo con sé nel periodo stabilito) e la assolveva dal reato di
tentata violenza privata (per avere tentato di costringere il marito,
con la minaccia di non fargli vedere il figlio, a corrispondergli
l’assegno mensile stabilito in sede di separazione) perché il fatto non
sussiste.
2 – La Corte d’Appello di Palermo, investita dai
gravami dell’imputata e del P.G., con sentenza 23/11/2005, riformando
in parte la decisione di primo grado, dichiarava la F. colpevole anche
di tentato esercizio arbitrario delle proprie ragioni (art. 393 c.p.),
cosi qualificata l’originaria imputazione ex artt. 56-610 c.p.,
unificava i due reati sotto il vincolo della continuazione,
rideterminava la pena, tenuto conto delle già concesse attenuanti
generiche, in giorni venti di reclusione, sostituiti con euro 760,00 di
multa, e confermava nel resto la pronuncia impugnata.
3 – Ha
proposto ricorso per cassazione l’imputata, lamentando la violazione
della legge penale e il vizio di motivazione: a) quanto al reato di cui
all’art. 388 c.p., ha stigmatizzato lo scarso interesse del L. ad
intrattenere rapporti significativi col figlio, tanto che quest’ultimo,
a lei affidato, non aveva dimostrato alcuna disponibilità ad
allontanarsi, nel mese di ( …) dal suo ambiente abituale, sicché la
scelta da lei fatta era stata determinata dalla sola ragione di evitare
un trauma al bambino; b) quanto al reato di cui agli artt. 56-393 c.p.,
nessuna prova affidabile era stata acquisita.
Il ricorso non è fondato.
Rileva
la Corte, in ordine alla prima doglianza, che l’elusione
dell’esecuzione del provvedimento giurisdizionale adottato in sede di
separazione dei coniugi si realizza anche attraverso la mancata
ottemperanza al provvedimento medesimo. “Eludere”, infatti, significa
frustrare, rendere vane le legittime pretese altrui e ciò anche
attraverso una mera omissione, che, nella specie, è consistita nel
rifiuto della F., alla quale era affidato il bambino, di far sì che lo
stesso trascorresse col padre il periodo di vacanza prestabilito.
L’asserito esercizio del diritto-dovere di avere agito esclusivamente
nell’interesse del minore, che avrebbe manifestato indisponibilità ad
allontanarsi, sia pure temporaneamente, dal suo ambiente abituale, è
rimasto indimostrato. Non va, peraltro, sottaciuto che rientra nei
doveri del genitore affidatario quello di favorire, a meno che
sussistano contrarie indicazioni di particolare gravità, il rapporto
del figlio con l’altro genitore, e ciò proprio perché entrambe le
figure genitoriali sono centrali e determinanti per la crescita
equilibrata del minore. L’ostacolare gli incontri tra padre e figlio,
fino a recidere ogni legame tra gli stessi, può avere effetti deleteri
sull’equilibrio psicologico e sulla formazione della personalità del
secondo.
Non risulta che la F. si sia mossa nella direzione che
il suo dovere di madre, a prescindere da spinte egoistiche, le imponeva
a tutela della posizione del figlio, né risulta una situazione che
rendeva impraticabile l’affidamento, sia pure temporaneo, del minore al
padre, situazione che, peraltro, se reale, avrebbe dovuto essere
rappresentata tempestivamente alla competente Autorità Giudiziaria per
gli opportuni provvedimenti.
La seconda censura è assolutamente
generica e non idonea a porre in crisi gli argomenti che il Giudice a
quo ha posto a base del ritenuto reato di cui agli artt. 56-393 c.p.,
provato dalla precisa e attendibile testimonianza del L., destinatario
della telefonata ricattatoria da parte della moglie, che, per indurlo a
rispettare più puntualmente i suoi obblighi di natura economica, aveva
minacciato di ostacolare in ogni modo gli incontri tra padre e figlio,
circostanza quest’ultima che rappresenta – tra l’altro – una ulteriore
conferma della fondatezza del primo capo d’accusa.
Il ricorso
deve, pertanto, essere rigettato. Consegue, di diritto, la condanna
della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
In tema di mancata esecuzione dolosa di un
provvedimento giurisdizionale adottato in sede di separazione dei
coniugi, il genitore affidatario ha il dovere di favorire il rapporto
del figlio con l’altro genitore, a meno che sussistano contrarie
indicazioni di particolare gravità, tenuto conto che entrambe le figure
genitoriali sono centrali e determinanti per la crescita equilibrata
del minore.
Ne discende che ostacolare gli incontri tra padre
e figlio, fino a recidere ogni legame con gli stessi, oltre ad avere
effetti deleteri sull’equilibrio psicologico e sulla formazione della
personalità del secondo, configura elusione dell’esecuzione del
provvedimento giurisdizionale adottato dal giudice civile.
E’ quanto stabilito dalla Sesta Sezione Penale della Cassazione con la sentenza n. 27995 depositata l’8 luglio 2009.
Nella
specie i giudici hanno condannato una madre (art 388 c.p.) per non
essersi prodigata nella sua attività genitoriale-affidataria, scevra da
ogni impulso egoistico, che agevolava a tutela della posizione del
figlio minore, opponendo rifiuto, senza alcun motivo valido, che il
figlio trascorresse col padre il periodo di permanenza stabilito dal
giudice della separazione nella relativa sentenza.
Con l’entrata in vigore della legge 8 febbraio 2006, n. 54, è stato sancito il principio della bigenitorialità,
ovvero il diritto dei figli a continuare a mantenere rapporti di
frequentazione con ciascun genitore. Il profilo più innovativo della
nuova normativa risiede nella centralità riconosciuta al minore
ed al riconoscimento della sua esigenza di continuare a mantenere
invariati i contatti con i genitori. In tale ottica ha previsto la
presenza contemporanea ed alternata di entrambi nella vita del figlio
anche dopo la disgregazione del nucleo familiare, abbandonando la
tradizionale distinzione di ruoli tra genitore che si occupa del figlio
e genitore del “tempo libero”.
La nuova legge, come per la legge
di riforma di diritto di famiglia, prima, e per quella sul divorzio,
poi, ha sconvolto gli equilibri precedentemente costituiti in materia
di crisi della famiglia, materializzando oltre al principio informatore
di tutta la disciplina minorile (massima tutela del minore), un altro
caposaldo, quello del diritto alla bigenitorialità del minore, in
totale applicazione dei principi della Convenzione internazionale di
New York del 20 novembre 1989 e ratificata in Italia con la legge n.
176 del 1991 e nella Convenzione europea dei diritti del fanciullo
assorbita dalla nostra legislazione nel 2003.
In effetti, la sentenza in questione, si configura nel reato previsto dal Cod. pen., art. 388; cod. civ., art. 155
la mancata esecuzione dolosa del provvedimento di affidamento dei figli
– Ostacoli frapposti dall’altro genitore per limitare o eliminare la
frequentazione tra genitore non affidatario e figli.