P.A.: nessun obbligo di emettere un provvedimento ex art. 43 TU espropriazioni TAR Liguria-Genova, sez. I, sentenza 17.03.2010 n° 1175
T.A.R.
Liguria – Genova
Sezione I
Sentenza 17 marzo 2010, n. 1175
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
Sul ricorso numero di registro generale 874 del 2007, proposto da:
G.
T., F. T. e G. B., rappresentati e difesi dall’avv. Roberto Ollari, con
domicilio eletto presso lo studio dell’avv. Andrea Esposito in Genova,
via Granello, 1/6;
contro
Comune di Savona, in
persona del Sindaco in carica, rappresentato e difeso dall’avv. Corrado
Mauceri, con domicilio eletto presso il suo studio in Genova, via
Palestro 2/3;
per l’annullamento
previa sospensione dell’efficacia,
del
provvedimento datato 1 agosto 2007 prot. 1441 che nega l’accoglimento
di un’istanza dei ricorrenti volta ad ottenere la restituzione
dell’area illegittimamente utilizzata (a strada); in subordine
l’acquisizione della stessa al patrimonio comunale.
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l’atto di costituzione in giudizio del Comune di Savona;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore
nell’udienza pubblica del giorno 11 febbraio 2010 l’avv. Angelo Vitali
e uditi per le parti i difensori, come specificato nel verbale di
udienza;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
I
ricorrenti sono comproprietari, nel territorio del comune di Savona,
del fondo individuato al catasto terreni al foglio 72, mappale 90, sul
quale il comune ha realizzato una strada di collegamento tra la zona
167 di Legino con via Cadorna.
Deducono che il procedimento
espropriativo, iniziato con la deliberazione del consiglio comunale di
Savona 6.10.1986 dichiarativa della pubblica utilità dell’opera, non si
sarebbe mai concluso con l’emanazione del decreto di esproprio o con la
cessione bonaria.
Esso, inoltre, sarebbe illegittimo in quanto
l’opera sarebbe stata ultimata in una data (21.7.1991) successiva a
quella di scadenza dei termini per il compimento dei lavori e delle
procedure espropriative contenuti nella dichiarazione di pubblica
utilità (1.5.1990), in tal modo dando luogo ad una fattispecie di così
detta occupazione usurpativa.
Pertanto, con atto in data
14.5.2007 (doc. B delle produzioni 19.10.2007 di parte ricorrente)
hanno diffidato il comune di Savona: a) a restituire il mappale su cui
è stata realizzata la strada, previa riduzione in pristino e cessazione
della abusiva occupazione; b) a restituire e/o retrocedere la porzione
di mappale non occupata dall’opera, dichiarandola libera da qualsiasi
peso o vincolo; c) a risarcire il danno per il mancato utilizzo del
bene per il tempo in cui è stato occupato (1988-2007), da quantificarsi
in € 316.000,00; in via subordinata, ad emettere entro novanta giorni
provvedimento di determinazione e liquidazione del danno integrale,
nella misura di € 616.000,00.
Con il ricorso in epigrafe hanno
quindi impugnato la nota 1.8.2007 prot. 1441 (doc. A delle produzioni
19.10.2007 di parte ricorrente), con la quale il comune di Savona, in
risposta alla diffida, ha comunicato loro di non voler procedere al
risarcimento del danno, chiedendone, previo accertamento della
fondatezza della pretesa, l’annullamento, con la condanna
dell’amministrazione a pronunciarsi sull’istanza di risarcimento del
danno.
A sostegno della dedotta illegittimità della procedura
espropriativa e delle domande svolte deducono sette motivi di ricorso,
rubricati come segue.
1. Violazione di legge – in particolare
dell’articolo 13 della legge 2359/1865 – art. 1 legge 1/1978 – Eccesso
di potere per errore nei presupposti.
2. Violazione di legge –
in particolare dell’articolo 13 della legge 2359/1865 – art. 1 legge
1/1978 – Eccesso di potere per errore nei presupposti.
3.
Violazione di legge – in particolare dell’articolo 13 della legge
2359/1865 – art. 1 legge 1/1978 – Eccesso di potere per errore nei
presupposti per violazione del termine di inizio lavori (12 mesi
dall1.5.1987).
4. Violazione di legge – in particolare
dell’articolo 13 della legge 2359/1865 – art. 1 legge 1/1978 – Eccesso
di potere per errore nei presupposti. Violazione anche del termine di
fine lavori (36 mesi dal 1.5.1987, cioè 1.5.1990).
5. Violazione
dell’art. 43 del D.P.R. 327/2001: scomparsa della occupazione
acquisitiva – non rilevanza della proroga della occupazione di urgenza
né della possibile (ex lege) proroga della dichiarazione di pubblica
utilità.
6. Violazione dell’art. 43 del D.P.R. 327/2001 e art. 2
legge n. 241/1990 – circa il dovere di provvedere espressamente in
merito all’istanza ex art. 43 D.P.R. n. 327/2001.
7. Violazione dell’art. 10-bis L. n. 241/1990.
Si
è costituito in giudizio il comune di Savona, che ha preliminarmente
eccepito il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo,
all’uopo proponendo ricorso preventivo per regolamento di giurisdizione
alla Sezioni Unite della Corte di Cassazione.
Con ordinanza
6.3.2008, n. 38 la Sezione, attesa la non manifesta infondatezza del
regolamento preventivo di giurisdizione, ha sospeso il giudizio.
La
Suprema Corte, con ordinanza 11.9.2009, n. 19610, ha dichiarato la
giurisdizione dell’autorità giudiziaria amministrativa e, con atto
notificato in data 15-16.10.2009, i ricorrenti hanno provveduto a
riassumere il giudizio dinanzi a questo Tribunale.
Alla pubblica udienza dell’11 febbraio 2010 il ricorso è stato trattenuto dal collegio per la decisione.
DIRITTO
Giova
trascrivere il tenore delle conclusioni rassegnate nel ricorso, con le
quali è stato chiesto che questo Tribunale: “accertata la fondatezza
della pretesa del ricorrente di accoglimento dell’istanza [trattasi
della diffida 14.5.2007, n.d.r.] proposta (stante l’illegittimità della
procedura, mancante di decreto di esproprio), poiché a) è infondato
l’unico motivo addotto per sostenere la legittimità della procedura
espropriativa (“proroga legislativa dei termini di occupazione
d’urgenza”), per i motivi sopra dedotti (da 1 a 5 e 7); b) sussiste
l’obbligo di provvedere in merito all’istanza (sesto motivo); annulli,
previa sospensione, il provvedimento impugnato e, per l’effetto,
condanni l’amministrazione a pronunciarsi sull’istanza (oggi
rigettata), la quale era tesa alla restituzione dell’area o – in
subordine – all’emissione di provvedimento di acquisizione (ex articolo
43 D.P.R. 327/2001)”.
Alle domande così formulate segue la
richiesta di invio degli atti alla Procura della Repubblica presso il
Tribunale per gli aspetti penalmente rilevanti ed alla Procura della
Repubblica presso la Corte dei Conti per gli aspetti di danno erariale.
Al
di là di questo il ricorso – diversamente da quanto preannunciato con
l’atto di diffida – non contiene un’azione volta direttamente alla
restituzione del bene utilizzato per scopi di interesse pubblico ed al
risarcimento del danno da abusiva occupazione: né, in assenza di una
apposita domanda in tal senso, può il Tribunale statuire sulla stessa,
ostandovi il disposto dell’art. 112 c.p.c., pacificamente applicabile
anche al processo amministrativo (Cons. di St., IV, 21.4.2008, n. 1781).
Così
circoscritto il thema decidendum, occorre rilevare come i primi cinque
motivi di ricorso non attengano però in via diretta alla nota impugnata
(1.8.2007, prot. 1441. doc. A delle produzioni 19.10.2007 di parte
ricorrente) – in relazione alla quale non sono dedotti vizi di
illegittimità in via propria – ma mirino a dimostrare la affermata
illegittimità della procedura espropriativa.
Orbene, come
definitivamente statuito dalla Corte di Cassazione in sede di
regolamento di giurisdizione (Cass., SS.UU., 11.9.2009, n. 19610),
l’accertamento della illegittimità del procedimento espropriativo e
delle proroghe del termine di efficacia della dichiarazione di pubblica
utilità “costituisce oggetto principale del giudizio promosso davanti
al T.A.R., con la conseguenza che la situazione soggettiva fatta
valere, a fronte dell’esercizio di un potere autoritativo che si assume
essere stato illegittimamente esercitato, ha consistenza di interesse
legittimo”.
Ne consegue che una tale azione di accertamento (e i
relativi motivi di ricorso), anche a voler prescindere dalla sua
eccepita tardività, non concernendo un diritto soggettivo, bensì un
interesse legittimo, è da ritenersi inammissibile, finanche in sede di
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (cfr., per tutte
Cons. di St., IV, 9.9.2009, n. 5404).
Né rileva in questa sede
la dibattuta problematica della così detta pregiudiziale
amministrativa, posto che, nel presente giudizio, non è stata affatto
esercitata – giova ribadirlo ancora una volta – un’azione risarcitoria
ex art. 2043 c.c.: ciò che – soltanto – nell’ottica accolta dalla
Suprema Corte (cfr. Cass., SS.UU., ordinanze 13.6.2006, nn. 13659 e
13660), imporrebbe al giudice amministrativo di conoscere
incidentalmente dell’illegittimità dell’atto amministrativo (nel caso
di specie, della procedura espropriativa), in vista della valutazione
dell’elemento della responsabilità aquiliana costituito
dell’ingiustizia del danno.
Dunque, i motivi di ricorso dall’uno
al cinque sono inammissibili, non essendo consentito azionare dinanzi
al giudice amministrativo una domanda di accertamento concernente un
interesse legittimo, né potendo altrimenti il giudice amministrativo
conoscere incidenter tantum della legittimità di atti amministrativi
ormai inoppugnabili (gli atti della procedura espropriativa, censurati
con i motivi dall’uno al cinque), in mancanza di una domanda di
risarcimento del danno.
Ed è appena il caso di osservare che ad
una tale conclusione, che attiene ai limiti interni della giurisdizione
amministrativa, non osta affatto la pronuncia delle sezioni unite della
Suprema Corte 11.9.2009, n. 19610, che ha avuto esclusivamente riguardo
ai limiti esterni della giurisdizione.
Ma inammissibile si
rivela anche il sesto motivo di ricorso, con il quale si afferma che
sussisterebbe un obbligo per l’amministrazione di provvedere
espressamente in merito all’istanza di adozione di un provvedimento ai
sensi dell’art. 43 del D.P.R. 8.6.2001, n. 327.
Secondo i
ricorrenti “sussistono gli estremi per chiedere l’emanazione del
provvedimento ex art. 43 D.P.R. 327/2001, sussistendone i presupposti,
cioè la modifica dello stato dei luoghi, l’utilizzo pubblico e la
mancata emanazione del decreto di esproprio. Il comune, pertanto, oltre
a deliberare l’acquisizione dell’area (unico fatto che può impedire la
restituzione dell’area adibita a strada) deve determinare il
risarcimento danni complessivo” (così il sesto motivo del ricorso
introduttivo, p. 24).
Orbene, ai sensi dell’art. 43 del D.P.R.
8.6.2001, n. 327, l’autorità che utilizza un bene immobile per scopi di
interesse pubblico, modificato in assenza del valido ed efficace
provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità, “può”
disporre che esso vada acquisito al suo patrimonio indisponibile e che
al proprietario vadano risarciti i danni.
Nella elementare
logica sottesa all’art. 43 del D.P.R. n. 327/2001, al rifiuto espresso
dell’amministrazione (quando in tal senso sollecitata) di procedere
all’adozione dell’atto di acquisizione del bene al proprio patrimonio,
deve dunque fare seguito non tanto un’azione di annullamento in sede di
giurisdizione generale di legittimità, bensì la domanda giudiziale di
restituzione del bene e di risarcimento del danno.
Nell’ambito
del vigente sistema di giustizia amministrativa non esiste infatti
un’azione generale di adempimento, atT. la quale si possa ottenere una
decisione che produca i medesimi effetti del provvedimento
illegittimamente rifiutato.
L’unica disposizione in tal senso è
quella di cui all’art. 2 comma 8 della legge n. 241/1990, a mente del
quale, nell’ambito dei giudizi sul silenzio ex art. 21-bis della legge
6 dicembre 1971, n. 1034, il giudice amministrativo, oltre ad ordinare
all’amministrazione di provvedere, può conoscere direttamente della
fondatezza dell’istanza.
Si tratta peraltro di una
disposizione dettata con esclusivo riguardo al giudizio sul silenzio
rifiuto, che, anche in tale limitato ambito, soffre di una
interpretazione restrittiva, concernendo i soli casi contraddistinti
dal carattere totalmente vincolato e non discrezionale della pretesa
azionata (cfr., per tutte, T.A.R. Campania-Napoli, VIII, 24.4.2009, n.
2166).
Nel caso di specie, la domanda di cui al sesto motivo di
ricorso, per come azionata, non può trovare accoglimento, vuoi perché
l’amministrazione ha provveduto sull’istanza con un provvedimento
espresso, vuoi perché non sussiste comunque un obbligo (bensì una mera
facoltà) dell’amministrazione di provvedere all’acquisizione del bene
ex art. 43 D.P.R. n. 327/2001, vuoi – soprattutto – perché la norma
postula espressamente la previa valutazione degli interessi in
conflitto, onde, avendo il relativo provvedimento natura eminentemente
discrezionale (sull’an e sul quantum, in relazione alla determinazione
della misura del risarcimento del danno), in nessun caso il giudice
potrebbe sostituirsi all’amministrazione, indicando il contenuto del
provvedimento da adottare.
Infondato è invece il settimo motivo
di ricorso, l’unico che concerne direttamente la legittimità della nota
comunale 1 agosto 2007 prot. 1441, di rifiuto di adottare un
provvedimento ex art. 43 D.P.R. n. 327/2001.
Ai sensi dell’art.
10-bis L. n. 241/1990, “nei procedimenti ad istanza di parte il
responsabile del procedimento o l’autorità competente, prima della
formale adozione di un provvedimento negativo, comunica tempestivamente
agli istanti i motivi che ostano all’accoglimento della domanda”.
Come
detto, l’art. 43 del D.P.R. n. 327/2001 non configura però un
procedimento ad istanza di parte, bensì officioso, onde non è
applicabile l’art. 10-bis L. n. 241/1990, neppure in caso di
sollecitazione dei poteri dell’amministrazione mediante diffida (T.A.R.
Veneto, II, 14.11.2008, n. 3550).
Da ultimo, occorre dare atto
della inammissibilità delle nuove domande formulate con la memoria
conclusiva depositata il 5.1.2010, con la quale i ricorrenti, innovando
sulle conclusioni rassegnate con il ricorso introduttivo e con l’atto
di riassunzione del giudizio, hanno chiesto al Tribunale di utilizzare
lo schema procedimentale previsto dall’art. 35 del D. Lgs. 31.3.1998,
n. 80 per la quantificazione del danno.
A prescindere dalla
circostanza che la disposizione non può trovare applicazione per il
fatto che una domanda di risarcimento del danno non è stata neppure
formulata, è dirimente il rilievo che la nuova domanda è contenuta in
una memoria non notificata alle altre parti del giudizio, ed è pertanto
inammissibile (Cons. di St., VI, 29.12.2008, n. 6588).
La peculiarità della controversia giustifica l’integrale compensazione tra le parti delle spese di giudizio.
P.Q.M.
In parte dichiara il ricorso inammissibile ed in parte lo rigetta.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Genova nella camera di consiglio del giorno 11 febbraio 2010 con l’intervento dei Magistrati:
Santo Balba, Presidente
Paolo Peruggia, Consigliere
Angelo Vitali, Primo Referendario, Estensore
DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 17 MARZO 2010.
Inammissibile si rivela anche il motivo di
ricorso, con il quale si afferma che sussisterebbe un obbligo per
l’amministrazione di provvedere espressamente in merito all’istanza di
adozione di un provvedimento ai sensi dell’art. 43 del d.P.R. 8.6.2001, n. 327.
Il
Collegio ligure, con il precipitato in rassegna, ribadisce che non
sussiste un obbligo per l’amministrazione di provvedere espressamente
in merito ad un’ istanza con la quale il proprietario di un bene
occupato, ed irreversibilmente trasformato nell’ambito di una procedura
di espropriazione per pubblica utilità, chieda alla P.A. l’adozione di
un provvedimento di acquisizione sanante ex art. 43 del d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327.
Secondo quanto previsto dalla norma de qua,
l’autorità che utilizza un bene immobile per scopi di interesse
pubblico, modificato in assenza del valido ed efficace provvedimento di
esproprio o dichiarativo della pubblica utilità, “può” – ergo, è un mera facoltà e non un obbligo – disporre che esso vada acquisito al suo patrimonio indisponibile e che al proprietario vadano risarciti i danni.
Nella elementare logica sottesa all’art. 43 del d.P.R. n. 327/2001,
al rifiuto espresso dell’amministrazione (quando in tal senso
sollecitata) di procedere all’adozione dell’atto di acquisizione del
bene al proprio patrimonio, deve dunque fare seguito non tanto
un’azione di annullamento in sede di giurisdizione generale di
legittimità, bensì la domanda giudiziale di restituzione del bene e di
risarcimento del danno.
Nell’ambito del vigente sistema
di giustizia amministrativa non esiste infatti un’azione generale di
adempimento, attraverso la quale si possa ottenere una decisione che
produca i medesimi effetti del provvedimento illegittimamente rifiutato[1].
In
conformità ai principi suesposti, nella fattispecie concreta, i giudici
rigettano la domanda volta ad ottenere la dichiarazione dell’obbligo
della P.A. di emettere un provvedimento di acquisizione sanante ai
sensi dell’art. 43 TUES, atteso che non sussiste, comunque, un obbligo
dell’amministrazione di provvedere all’acquisizione del bene.
I
giudici specificano che la norma postula espressamente la previa
valutazione degli interessi in conflitto, onde, avendo il relativo
provvedimento natura eminentemente discrezionale – sull’an e sul quantum,
in relazione alla determinazione della misura del risarcimento del
danno- in nessun caso il giudice potrebbe sostituirsi
all’amministrazione, indicando il contenuto del provvedimento da
adottare.
Infine, viene affermato che l’art. 10-bis della legge n. 241/1990 (c.d. preavviso di rigetto), in base al quale “nei
procedimenti ad istanza di parte il responsabile del procedimento o
l’autorità competente, prima della formale adozione di un provvedimento
negativo, comunica tempestivamente agli istanti i motivi che ostano
all’accoglimento della domanda “ non è applicabile nel caso di istanza diretta ad ottenere l’emissione di un provvedimento di acquisizione sanante ex art. 43 del d.P.R. n. 327/2001, dato che quest’ultima norma non prevede un procedimento ad istanza di parte, bensì officioso.
Pertanto, non è applicabile l’art. 10-bis L. n. 241/1990, neppure in caso di sollecitazione dei poteri dell’amministrazione mediante diffida (cfr. T.A.R. Veneto, II, 14.11.2008, n. 3550).
______________
[1] Invero, l’ 8 febbraio scorso, in attuazione della delega contenuta nell’art. 44 della legge 69/2009,
la Commissione speciale costituita dal Consiglio di Stato ha elaborato
una proposta di decreto delegato contenente lo schema del nuovo Codice
del processo amministrativo che, attualmente, prevede tra il novero
delle azioni ammissibili anche l’azione di adempimento (art.
40), al fine di ottenere una condanna dell’amministrazione al rilascio
del provvedimento amministrativo richiesto o denegato. Non ci resta che
attendere.