Padre detenuto, madre lavoratrice, prova di impossibilità all’assistenza al figlio (sentenza completa)
l padre detenuto che non prova l’impossibilità della madre
lavoratrice ad attendere alle necessità del minore, non può ottenere
gli arresti domiciliari.
Infatti, l’attività lavorativa della
madre, sebbene svolta quotidianamente e con orari che la impegnino per
più di otto ore, non le impedisce automaticamente di accudire il
figlio, anche piccolissimo.
N.d.r.: La
Corte ribadisce il l’uniforme e consolidato principio secondo cui
l’attività lavorativa dell’unico genitore o di entrambi i genitori non
impedisce in via generale di prendersi cura dei figli, anche
eventualmente con l’aiuto di familiari disponibili o con il ricorso a
strutture pubbliche o private abilitate.(*) Riferimenti normativi: art. 275, comma 4, c.p.p..
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE VI PENALE
Sentenza 8 – 31 luglio 2009, n. 31772
(Presidente Mannino – Relatore Fazio)
Svolgimento del processo
Con
ordinanza del 1° aprile 2009, il Tribunale del Riesame di Palermo,
rigettava sull’appello proposto da F. C., avverso l’ordinanza con cui
il GIP di quel tribunale aveva respinto la richiesta di sostituzione
della misura custodiale in carcere con quella degli arresti
domiciliari; rigettata preliminarmente la richiesta di produzione
documentale, perché tardiva ed irrilevante, osservava in motivazione
che il presupposto che la moglie del detenuto, in quanto impegnata in
attività lavorativa, non potesse accudire la figlia, di età inferiore
di anni tre, e che nessun altro familiare fosse in grado di
sostituirla, non fosse stato adeguatamente provato, atteso che da un
lato lo stato di lavoratrice di per sé non integrava la impossibilità
assoluta presa in considerazione dall’art. 275 comma 4 cpp, e
dall’altro non era dimostrato che non si potesse fare ricorso a
strutture private o pubbliche in ausilio alla madre. Ancora
sottolineava che, comunque, nei confronti del C. ricorrevano esigenze
cautelari di eccezionale rilevanza, posto che costui si era reso
latitante all’atto dell’emissione della misura ed era stato arrestato
dopo alcuni mesi a seguito di una complessa attività di ricerca.Ricorre
innanzi questa Corte il difensore nell’interesse del C., e denuncia con
il primo motivo la violazione degli art. 310 e 127 cpp, con riferimento
al termine per la produzione di documenti, che ritiene non perentorio;
con il secondo, lamenta la violazione dell’art. 275 comma 4 cpp, sotto
il profilo che l’impegno quotidiano della madre, provato, deve
ritenersi impedimento assoluto tale da determinare di per sé il divieto
di custodia cautelare per il padre e che il Tribunale del Riesame sul
punto non aveva adeguatamente motivato; esclude che sussista la
preclusione delle eccezionali ragioni di cautela, poiché il C. si era
dato alla fuga e non alla latitanza prima della emissione della misura,
a seguito della lettura di un articolo di stampa che anticipava il
provvedimento restrittivo.Motivi della decisione
I motivi di ricorso sono manifestamente infondati ed è pertanto da pronunciarne la inammissibilità.
1.
Esattamente, il Tribunale ha escluso la produzione documentale, posto
che nel procedimento conseguente all’appello proposto dalla difesa
contro l’ordinanza reiettiva della richiesta di revoca della misura
coercitiva è legittima l’ammissibilità della documentazione relativa ad
elementi probatori nuovi riguardanti lo stesso fatto, acquisita anche
all’esito di indagini difensive, sempre che tale produzione rientri
nell’oggetto dei motivi di impugnazione, i quali hanno la funzione di
determinare e delimitare l’oggetto del giudizio del procedimento de
quo, che mantiene la natura di mezzo di gravame. (§ tra le molte Sez.
3, Sentenza n. 2924 del 13/12/2005).Nel caso in esame la
richiesta di allegazione di un articolo giornalistico, concernente
anticipazioni sull’esito delle indagini, da cui è originato il processo
a carico del C., la cui lettura lo avrebbe indotto alla fuga, prima
ancora dell’emissione della misura, appare all’evidenza non integrante
alcuno dei presupposti di ammissibilità sopra indicati, sicché nessuna
censura può muoversi all’operato del giudice di merito che
richiamandosi ai principi in materia ha rilevato sia la inammissibilità
per mancata osservanza dei termini sia la irrilevanza sostanziale della
notizia giornalistica.2. Anche il secondo motivo non può trovare accoglimento.
Il
punto nodale affrontato dal provvedimento impugnato è costituito dalla
insufficienza del solo espletamento di attività lavorativa da parte
della madre di un minore di età inferiore ai tre anni sia impedimento
assoluto, tale da importare per il padre il divieto assoluto di
custodia cautelare.Le argomentazioni sviluppate da C. non
colgono affatto tale punto critico e si connotano per genericità,
essendosi egli limitato a ribadire che l’orario di lavoro della donna
era incompatibile con la assistenza alla minore.Anche a fronte
della rilevata indeterminatezza della censura, vale ribadire che
l’attività lavorativa della madre, ancorché spiegata giornalmente e con
orari che impegnino per più di otto ore, non rappresenta
automaticamente un impedimento della possibilità di assicurare
assistenza al figlio, anche piccolissimo. È principio affermato, con
costanza ed uniformità, che la attività lavorativa dell’unico genitore
o di entrambi i genitori non impedisce in via generale di prendersi
cura dei figli, anche eventualmente con l’aiuto di familiari
disponibili o con il ricorso a strutture pubbliche o private abilitate
(v. Cass. n. 47073 del 2003, rv. 226978; n. 20233 del 2006, rv. 234659;
n. 33850 del 2006, rv. 235194;n. 38067 del 2006, rv. 235757; n. 5664
del 2007, rv. 236128).La suddetta condizione di madre
lavoratrice, ma all’evidenza il ragionamento vale anche per il padre,
del tutto normale, ormai, per la gran parte delle famiglie italiane,
non riveste quel carattere di “assoluta impossibilità” cui fa
riferimento la norma, considerando sia la legislazione speciale a
favore del genitore lavoratore, sia la esistenza di strutture pubbliche
e private di sostegno e supplenza delle figure genitoriali, nei periodi
di tempo in cui sono impegnati nell’attività lavorativa. Viceversa,
l’uso dell’avverbio “assolutamente” da parte della norma fa riferimento
a situazioni gravi ben diverse dalla attività lavorativa ordinaria.
Correttamente, dunque, il giudice distrettuale ha ritenuto la mancanza
di presupposti di fatto, ulteriori alla sola posizione di madre
lavoratrice, per individuare la situazione di impossibilità di
accudimento della figlia in tenera età e far ritenere la necessità
della figura sostitutiva del padre, con effetto di mutamento del regime
carcerario.Il mancato accoglimento della censura assorbe
l’esame dell’ultima doglianza, concernente la sussistenza, a dire del
C. erronea, di ragioni cautelari di eccezionale rilevanza.In
conseguenza della ritenuta inammissibilità, il ricorrente è da
condannare al pagamento delle spese processuali e della somma di euro
mille in favore della Cassa delle Ammende.La cancelleria curerà gli adempienti di cui all’art. 94-1/ter disp. att. cpp.
P.Q.M.
Dichiara
inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle
spese processuali e della somma di euro mille in favore della cassa
delle ammende. Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui
all’art. 94-1/ter disp. att. c.p.p..