Patrocino a spese dello stato: contano anche i redditi da attività illecite
Per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato vanno computati anche i profitti provenienti da attività illecite, individuabili in base agli ordinari mezzi di prova, nonché alle presunzioni semplici ex art. 2729 c.c.
E’ quanto disposto dalla IV Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la sentenza 20 gennaio – 15 marzo 2012, n. 10125.
Nella fattispecie in esame, i Giudici di Piazza Cavour hanno accolto il ricorso proposto dal Procuratore Generale avverso l’ordinanza di rigetto dell’opposizione, ex art. 84, d.P.R. 115/2002, al decreto di liquidazione di competenze professionali in regime di patrocinio a spese dello Stato, in favore di un soggetto che presentava una serie di condanne penali. In particolare, si trattava di reati contro il patrimonio, dalla cui commissione l’imputato aveva conseguito notevoli ricavi. Nell’impugnato provvedimento, il Presidente del Tribunale aveva solo parzialmente ridotto la somma liquidata per i compensi, rigettando il primo motivo di opposizione con motivazione contraddittoria ed erronea.
Nel ricorso de quo, il Procuratore Generale ha argomentato che, per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato il giudice deve tenere conto anche dei profitti da attività illecite dell’istante, la cui esistenza potrà essere dimostrata con i mezzi di prova ordinari, ovvero mediante le presunzioni semplici. E si tratta certamente di una presunzione semplice di esclusione del beneficio, la circostanza che l’imputato avesse riportato una serie di condanne per reati contro il patrimonio, indicate nel casellario, traendo profitti illeciti tratti dall’attività delittuosa, condizione di ricchezza incompatibile con il patrocinio gratuito.
La Suprema Corte ha ribadito il principio di diritto già espresso in varie pronunce della giurisprudenza di legittimità (Sez. 6, 17 aprile 1998, n. 1390; Sez. 4, 4 ottobre 2005, n. 45159), ovvero che “ai fini dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato rilevano anche i redditi da attività illecite, che possono essere accertati con gli ordinari mezzi di prova, tra cui le presunzioni semplici di cui all’art. 2729 c.c.”
Alla luce di quanto esposto, la Cassazione ha ritenuto non provato lo stato di non abbienza dell’imputato, a fronte delle legittime presunzioni circa i suoi illeciti arricchimenti, per cui il provvedimento impugnato, è stato annullato con rinvio al Tribunale per nuovo esame.