Pedoni fuori dalle strisce? Sì al concorso di colpa ”minimo”
Nell’ambito dei sinistri stradali che si sostanziano nell’investimento del pedone ad opera di un veicolo a motore, la giurisprudenza, di merito e di legittimità, riconosce da sempre la possibilità che il comportamento negligente del pedone possa integrare un fattore causale idoneo, astrattamente anche in via esclusiva, a determinare l’evento dannoso, con conseguente esclusione della responsabilità del conducente per i danni subiti dal pedone investito.
Affinché possa configurarsi un’ipotesi di completa esclusione di responsabilità del conducente, tuttavia, la condotta del pedone dovrà assumere i caratteri della assoluta imprevedibilità e anormalità.
Sul punto, si è espressa la stessa Corte di Cassazione nella sentenza 29 settembre 2006, n. 21249, precisando che “in caso di investimento di pedone la responsabilità del conducente è esclusa quando risulti provato che non era, da parte di quest’ultimo alcuna possibilità di prevenire l’evento, situazione, questa, ricorrente allorché il pedone abbia tenuto una condotta imprevedibile e anormale, sicché l’automobilista si sia trovato nell’oggettiva impossibilità di avvistarlo e comunque di osservarne tempestivamente i movimenti”.
Si tratta di casi limite, evidentemente di rara verificazione.
Anche il comportamento dei pedoni, non di meno, è soggetto alle comuni regole di diligenza e prudenza, nonché alla disposizione contenuta nell’art. 190 C.d.S., dettata al precipuo fine di evitare che i pedoni determino intralcio e, più in generale, situazioni di pericolo per la circolazione stradale, tali da mettere a repentaglio l’incolumità propria o degli altri utenti della strada.
Ne deriva che la violazione delle norme contenute nella summenzionata disposizione è idonea a porre la condotta del pedone in rapporto causale con l’evento di danno costituito dall’investimento del pedone, con l’ulteriore conseguenza che la condotta imprudente del pedone potrà integrare un’ipotesi di concorso del fatto colposo del danneggiato, tale da ridurre proporzionalmente il diritto al risarcimento dei danni subiti in conseguenza del sinistro.
La giurisprudenza ha individuato una serie di comportamenti del pedone, idonei a fondare il concorso di colpa, tra cui l’attraversamento della carreggiata sulle strisce pedonali con luce semaforica rossa; l’attraversamento fuori dalle strisce pedonali; l’attraversamento in un punto in cui è vietato o sconsigliabile farlo el’attraversamento imprudente.
Nella fattispecie giunta al vaglio del Giudice ambrosiano, viene in considerazione proprio una delle fattispecie già prese in esame dalla giurisprudenza e, segnatamente, l’ipotesi di attraversamento fuori dalle strisce pedonali, effettuato dal pedone “pur avendo un attraversamento pedonale a una distanza raggiungibile (circa 80 metri sia a destra che a sinistra”.
In linea con l’orientamento maggioritario, il Tribunale di Milano ha chiarito che “La sola circostanza che il pedone abbia attraversato al di fuori dello spazio dedicato all’attraversamento pedonale non giustifica l’esonero di responsabilità in capo al conducente del ciclomotore”, ma ha altresì riconosciuto la configurabilità di un concorso di colpa ex art. 1227 co. 1 c.c.
Alla luce degli accertamenti di fatto compiuti, il giudice ha ritenuto di porre a carico del pedone un concorso di colpa minimo, quantificato nella misura del 10% e ciò, in considerazione della limitata prova fornita dal conducente danneggiante.
Vale la pena rammentare, infatti, che in tema di investimento del pedone è destinata a trovare applicazione la presunzione legale di cui all’art. 2054 c. 1 c.c.. Ne deriva che, come ha affermato Cassazione Civile 10 luglio 2008, n. 18872, “… è l’assicuratore che ha l’onere della prova di un eventuale colpa concorrente od esclusiva, non essendo sufficiente una mera difesa in ordine alla verifica della esistenza del fatto”.