“Pene più severe e condannati non candidabili” Il governo dà il via libera al ddl anti-corruzione
Il Consiglio dei ministri ha approvato il disegno di legge
anticorruzione. È quanto si apprende da fonti di governo. Arriva così
anche in Italia un Piano nazionale anticorruzione, come avviene nella
maggior parte dei paesi europei. Lo stabilisce l’articolo 1
del ddl approvato del Consiglio dei ministri. Il Piano per la
prevenzione e il contrasto della corruzione è predisposto dal
Dipartimento della Funzione pubblica, a partire dai singoli piani
d’azione, nei quali ciascuna amministrazione centrale indica: il grado
di esposizione al rischio di corruzione dei propri uffici; le misure
per fronteggiare tali rischi; le procedure di selezione, formazione e
rotazione dei dipendenti che operano in settori sensibili; e soluzioni,
anche normative, per prevenire e individuare gli illeciti.
L’articolo
1 prevede, inoltre, che una Rete nazionale anticorruzione, composta da
referenti di ciascuna pubblica amministrazione, fornisca al
Dipartimento elementi per valutare l’idoneità degli strumenti adottati
per prevenire e combattere il fenomeno della corruzione, per definire
programmi informativi e formativi per i dipendenti pubblici che
favoriscano il corretto esercizio delle funzioni ad esse affidate, per
monitorare l’effettiva attuazione dei singoli Piani d’azione. Infine,
presso il Dipartimento è istuituito un Osservatorio sulla corruzione e
altri illeciti nella pubblica amministrazione, con compiti di analisi e
di informazione.
Arriva inoltre una Banca dati nazionale dei
contratti pubblici, istituita presso l’Autorità per la vigilanza sui
contratti pubblici di lavori, servizi e forniture. È quanto si legge
nell’ articolo 4 del ddl anticorruzione. L’obiettivo, si legge
nella relazione tecnica al provvedimento, «è quello di ridurre gli
oneri amministrativi per le imprese e al tempo stesso di accrescere la
certezza pubblica». La Banca dati, si legge nel testo, deve acquisire
la documentazione comprovante il rispetto dei requisiti di carattere
generale, tecnico-organizzativi ed economico-finanziario prevista dal
Codice degli Appalti. Le stazioni appaltanti devono effettuare
controlli sul possesso dei requisiti presso la Banca dati e verificare
che le modalità tecniche per l’acquisizione, l’aggiornamento e la
consultazione della Banca dati siano dettate con deliberazione
dell’Autorità.
Le stazioni appaltanti sono tenute a utilizzare
modelli standard di attestazione attraverso dichiarazione sostitutiva
dei requisiti di partecipazione di ordine generale e per gli appalti di
servizi e forniture o per quelli di lavori pubblici di importo pari o
inferiore a 150mila euro, dei requisiti economico-finanziario e tecnico
organizzativo. I modelli standard sono definiti con deliberazioni
dell’Autorità. Inoltre, per assicurare il rispetto della legalità,
tutti i dati relativi ai contratti pubblici di lavori, servizi e
forniture sono resi disponibili attraverso forme di cooperazione
applicativa, dalle stazioni appaltanti all’Autorità, che li inserisce
nelle proprie banche dati.
Un elenco di fornitori e prestatori
di servizi non soggetti a rischio di inquinamento mafioso dovrà essere
istituito presso ogni prefettura. Lo stabilisce l’articolo 5
del ddl anticorruzione. «Per rafforzare i controlli anti mafia nei
contratti pubblici e nei successivi subappalti e subcontratti avanti ad
oggetto lavori, servizi e forniture – si legge – presso ogni prefettura
è istituito un elenco di fornitori e prestatori di servizi, non
soggetti a rischio di inquinamento mafioso, ai quali possono rivolgersi
gli esecutori di lavori, servizi e forniture». La prefettura,
stabilisce il ddl, «effettua verifiche periodiche circa la perdurante
insussistenza dei suddetti rischi e, in caso di esito negativo, dispone
la cancellazione dell’impresa dall’elenco».
All’articolo 6
del provvedimento si legge: «L’ente definisce, secondo la propria
autonomia organizzativa, un sistema di controlli sulle società
partecipate dallo stesso ente locale». Tali controlli, «sono esercitati
dalle strutture proprie dell’ente locale, che ne sono responsabili».
Nell’ articolo 9
del testo, quello relativo all’incandidabilità, si scrivono modifiche
all’articolo 58 del testo unico sugli enti locali, che stabilisce le
motivazioni per cui qualcuno non può essere candidato «alle elezioni
provinciali, comunali e circoscrizionali» e non può «comunque ricoprire
le cariche di presidente della provincia, sindaco, assessore e
consigliere provinciale e comunale, presidente e componente del
consiglio circoscrizionale, presidente e componente del consiglio di
amministrazione dei consorzi, presidente e componente dei consigli e
delle giunte delle unioni di comuni, consigliere di amministrazione e
presidente delle aziende speciali e degli enti comunali autonomi o
eroganti servizi sociali, presidente e componente degli organi delle
comunità montane». Nessun riferimento, quindi, a incandidabilità di
sorta per ruoli di governo nazionali o regionali, eccezion fatta per i
presidenti di regione.
Come già anticipato, infatti, secondo l’articolo 8
del ddl «non può essere candidato ad alcuna carica elettiva nè
ricoprire incarichi di governo o di amministrazione in enti pubblici
nazionali o locali chi sia stato rimosso dalla carica di Presidente
della Giunta regionale per aver compiuti atti contrari alla
Costituzione o gravi violazioni di legge». Inoltre, tra i motivi di
incadidabilità a livello locale vengono inseriti svariati reati: non
può essere candidato, ad esempio, chi è stato condannato per «attentati
contro l’integrità, l’indipendenza o l’unità dello Stato», per
«associazioni con finalità di terrorismo anche internazionale o di
eversione dell’ordine democratico», per «attentato contro la
Costituzione dello Stato» o per «insurrezione armata contro i poteri
dello Stato». Infine, non possono essere candidati i condannati per
corruzione o turbativa d’asta.