Pensioni, nel 2020 l’assegno calerà del 10%
La leggerezza della pensione, rispetto all’ultimo stipendio, comincerà
a farsi sentire attorno al 2020. In quell’anno, quando avrà lasciato
l’impiego anche l’ultimo lavoratore che ancora poteva contare su un
assegno almeno in parte calcolato con il vecchio sistema retributivo,
la pensione sarà di circa dieci punti percentuali più leggera rispetto
a quella di oggi.
Secondo le proiezioni della Ragioneria generale dello Stato sui
tassi di sostituzione del sistema pensionistico obbligatorio,
effettuate applicando i nuovi coefficienti di trasformazione aggiornati
ogni tre anni come prevede la legge sulla base delle stime
demografiche, un lavoratore dipendente di 65 anni con 30 anni di
contributi incasserà nel 2020 una pensione pari al 55,1% dell’ultimo
stipendio (contro il 61% previsto nel 2010). Un po’ meglio andrà se lo
stesso lavoratore dipendente ha raggiunto i 40 anni di contributi:
dall’81,6% dell’anno prossimo al 74,5% del 2020.
Per un lavoratore
autonomo della stessa età il rapporto tra primo assegno previdenziale e
ultimo stipendio scende più velocemente: dal 49,2% al 37,8% in caso di
30 anni di contributi e dal 81,3% al 56,3% con 40 anni di versamenti
effettuati.
È anche da questi numeri che parte la riflessione di quanti
chiedono un nuovo intervento sulle pensioni che vada nella direzione di
un posticipo, magari incentivato, del momento del ritiro. Nello
scenario base preso in considerazione dalla Ragioneria, una buona
compensazione alla debolezza delle future pensioni può essere garantita
solo dalla previdenza complementare. Nelle stime RgS, per un lavoratore
di 63 anni con 35 di contributi il differenziale lordo tra prima
pensione e ultimo stipendio scende solo al 66% se c’è anche il secondo
pilastro (contro il 62% previsto con la sola pensione obbligatoria). E
più si allunga l’orizzonte temporale più la differenza diventa grande:
nel 2040 lo stesso pensionato avrà una pensione pari al 53% dell’ultima
busta paga, se non avrà scelto di aderire a un fondo integrativo, caso
nel quale il tasso di sostituzione si stabilizza invece al 64%
dell’ultimo stipendio. Nello stesso anno il suo collega lavoratore
autonomo artigiano 65enne avrà un assegno pari al 33% dell’ultimo
stipendio senza pensione integrativa, mentre con l’«assegno di scorta»
arriverebbe al 44 per cento.
I coefficienti, vale a dire i moltiplicatori che servono per
calcolare l’importo annuale dell’assegno determinato con il metodo
contributivo o anche “misto”, da soli non basteranno a stabilizzare la
spesa pensionistica. Lo ha scritto nel suo “Libro bianco” il ministro
Maurizio Sacconi. E la grande crisi che ha colpito l’economia italiana
lo ha purtroppo confermato. Questi parametri legano la rivalutazione
della base di calcolo delle future pensioni sulla crescita media
geometrica quinquennale del Pil. Nelle stime della Ragioneria,
l’ipotesi base è di una crescita nominale del Pil del 3,51% a partire
dal 2010, mentre com’è noto quest’anno si chiuderà con un segno
negativo (-5,3%). A differenza dei coefficienti svedesi, inoltre,
quelli italiani considerano l’aspettativa di vita media e non sono
legati alla coorte dei singoli lavoratori che passano alla pensione,
sono uguali per uomini e donne (nonostante la diversa speranza di vita
tra i due sessi) e non tengono neanche conto delle diverse mansioni
affrontate nel corso della vita attiva (chi lavora alla scrivania e in
un ambiente protetto ha una speranza di vita superiore a chi lavora in
una cava). Insomma, appena entrati in vigore, questi calcolatori
automatici andranno sottoposti a forte manutenzione.
Ma dall’anno prossimo che effetto produrranno i coefficienti sulle
nuove pensioni? Nella simulazione riportata qui a fianco ci si limita
alle pensioni di vecchiaia che verranno percepite da lavoratori che
hanno compiuto 65 anni (60 se donne), con un’anzianità contributiva
pari a 30, 25 o 20 anni. Come si vede, rispetto alla situazione
attuale, la perdita in termini di pensione annua è abbastanza modesta –
dall’1% in meno (260 euro) fino a un massimo del 3,7% (573 euro) –
anche se la penalizzazione sale per chi può contare su un minor numero
di contributi. Restano ancora fuori impatto le pensioni di anzianità,
accessibili con almeno 35 anni di contributi: questi assegni entro
qualche anno saranno agganciati al solo regime retributivo.