Per la Cassazione il pedone che attraversa sulle strisce ha sempre ragione
Il pedone che attraversa sulle strisce pedonali ha sempre ragione. Anche se passa di fretta e senza fare particolare attenzione alle intenzioni degli automobilisti. La Corte di Cassazione con la sentenza n. 5540 (si legga la sentenza su Guida al diritto ), esclude la possibilità di addossare la colpa di un eventuale investimento al pedone distratto, che usa però l’accortezza di passare sulle strisce. Il concorso di colpa previsto dal codice civile – specificano gli ermellini – si può ipotizzare soltanto nel caso la condotta di chi va a piedi sia «del tutto straordinaria e imprevedibile».
Obbligo di cautela per i conducenti
La sentenza dei giudici di piazza Cavour tende ad aumentare le garanzie di incolumità a chi decide di lasciare l’auto per avventurarsi nel traffico metropolitano anche se lo fa “con la testa tra le nuvole”. «Il pedone che si accinge ad attraversare la strada sulle strisce pedonali non è tenuto a verificare se i conducenti in transito mostrino o meno l’intenzione di rallentare e lasciarlo attraversare – si legge nella sentenza – potendo egli fare un ragionevole affidamento sugli obblighi di cautela gravanti sui conducenti». Questo il principio generale affermato dalla Suprema corte anche se, nel caso specifico, i giudici si sono occupati del grave incidente capitato a una signora a cui è stata in parte addossata la responsabilità dell’investimento che le ha causato delle lesioni gravissime.
La ricorrente non aveva attraversato le strisce
La ricorrente non aveva, infatti, attraversato sulle strisce ma camminava sul margine destro della carreggiata, in violazione del codice della strada, nella stessa direzione dell’auto e non si era avvalsa della possibilità di passare su una “banchina erbosa”. Un’imprudenza che porta la Cassazione a confermare un 20% di responsabilità nell’accaduto, come deciso dai giudici di merito. La Suprema corte “bacchetta” però la Corte d’Appello sul criterio di valutazione dei danni riportati e sul conseguente risarcimento. I giudici di secondo grado si sono infatti limitati ad applicare un criterio tabellare senza le dovute integrazioni basate sul caso specifico. Il danno biologico – spiega il Supremo collegio – va invece personalizzato e non stabilito in base a criteri predeterminati.