Poste: l’ex dipendente può accedere ai documenti sull’organizzazione interna
I dipendenti delle Poste, anche dopo cessata attività, possono accedere agli atti di organizzazione interna della società.
Così ha stabilito il Consiglio di Stato, sezione sesta, nella sentenza del 2 ottobre 2009, n. 5987.
Con questa decisione viene ripreso il tema dell’applicazione soggettiva del diritto di accesso, ai sensi della legge n. 241/90, di cui, l’art. 23, da ultimo modificato dalla legge n. 15/2005,
annovera l’ambito dei soggetti nei cui confronti è esercitabile tale
diritto, ricomprendendo non solo tutte le pubbliche amministrazioni, ma
altresì le aziende autonome e speciali, nonché gli enti pubblici e i
gestori di pubblici servizi.
Proprio per questi ultimi, soggetti
in regime di diritto privato, sono sorti problemi interpretativi
sull’applicabilità del diritto di accesso, che hanno visto il
propagarsi di numerose pronunce, anche con risultati discordanti, fino
a che l’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato con le decisioni n. 4
e 5 del 1999, e la n. 1 del 2000, ha ricomposto la questione stabilendo
che anche l’imprenditore privato, quando svolge, in base a tale titolo,
un pubblico servizio, poiché è tenuto a soddisfare gli interessi
pubblici, è assoggettato al diritto di accesso di cui alla legge n. 241.
Nel
caso in questione, l’ente Poste Italiane, dopo aver negato il diritto
di accesso ad una ex dipendente, adduceva quali motivi a sostegno della
propria decisione il fatto che lo stesso ente fosse di diritto privato
e l’attività di pubblico interesse svolta dal medesimo sarebbe solo
quella di raccolta del risparmio postale e di fornitura del servizio
postale universale, esulando, invece, dall’attività inerente il
rapporto di lavoro con i propri dipendenti, di natura privatistica e
rientrante nei poteri di autorganizzazione dell’Ente.
Il
Collegio ha respinto tali motivazioni richiamando la copiosa e conforme
giurisprudenza amministrativa (C.d.S., sez. VI, 26 gennaio 2006, n.
229; C.d.S., sez. VI, 30 dicembre 2005, n. 7624; C.d.S., sez. VI, 7
agosto 2002, n. 4152; C.d.S., sez. VI, 8 gennaio 2002, n. 67), secondo
cui il diritto d’accesso, oltre all’attività di diritto amministrativo,
comprende anche quella di diritto privato, posta in essere dai soggetti
gestori di pubblici servizi, quando, anche indirettamente, è collegata
alla gestione del servizio da un nesso di strumentalità derivante
anche, sul versante soggettivo, dalla intensa conformazione
pubblicistica.
Premesso tale principio, l’Alto Consesso ha
ritenuto che la gestione del rapporto di lavoro con i propri
dipendenti, da parte delle Poste è da considerarsi strumentale al
servizio gestito, tale da incidere potenzialmente sulla qualità del
servizio, il cui rilievo pubblicistico va valutato sia riguardo alla
dimensione oggettiva, che anche di quella propriamente soggettiva
dell’ente.
Pertanto – concludono i giudici di palazzo Spada – la
società Poste Italiane è soggetta alla disciplina in tema di accesso in
relazione all’attività di organizzazione delle forze lavorative e,
quindi, del servizio postale.
onsiglio di Stato
Sezione VI
Decisione 29 settembre – 2 ottobre 2009, n. 5987
(Presidente Varrone – Relatore De Nictolis)
Sul ricorso numero di registro generale 7273 del 2009, proposto da:
Poste
Italiane spa, rappresentata e difesa dagli avv. Marco Filippetto,
Gaetano Pollio, con domicilio eletto presso Direz. Aff. Leg. Poste It.
Spa in Roma, viale Europa, 175; contro Maria Luisa Parise;
per
la riforma della sentenza del T.A.R. LOMBARDIA – MILANO SEZIONE IV n.
04061/2009, resa tra le parti, concernente ACCESSO AD ATTI RELATIVI A
RAPPORTO DI LAVORO.
Visto il ricorso in appello con i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 29 settembre 2009 il cons.
Rosanna De Nictolis e uditi per le parti gli avvocati Filippetto; Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue:
Fatto e diritto
1.
Con lettera raccomandata recapitata in data 9 marzo 2009 l’odierna
appellata, in qualità di ex dipendente a tempo determinato della
Società Poste Italiane S.p.A. inoltrava al predetto Ente istanza di
accesso ai sensi della l. n. 241/1990, al fine di ottenere copia di:
libro matricola;
registro delle presenze – mod 70 P;
fascicolo personale;
documenti
da cui risultino il numero degli addetti con specifica se a tempo
determinato o meno; organigramma dell’ufficio postale di Lonate Pozzolo.
La
richiesta era dichiarata finalizzata all’esercizio del diritto di
difesa dell’interessata davanti al giudice del lavoro ai fini della
conservazione del posto, mediante prosecuzione del rapporto di lavoro,
previo annullamento delle clausole di apposizione del termine di
cessazione del rapporto medesimo.
1.1. Decorsi inutilmente
trenta giorni dalla richiesta, veniva proposto ricorso per l’accesso al
Tar Lombardia – Milano che, con la sentenza in epigrafe, ordinava
l’accesso.
2. Ha proposto appello Poste Italiane s.p.a.,
lamentando che sebbene ai sensi della l. n. 241/1990 l’accesso sia
consentito anche nei confronti di soggetti (formalmente) privati,
tuttavia l’accesso è limitato alla loro attività di «pubblico
interesse».
Si assume che per Poste Italiane, che è una società
di diritto privato, l’attività di pubblico interesse sarebbe solo
quella di raccolta del risparmio postale e di fornitura del servizio
postale universale.
Tale non sarebbe, invece, l’attività
inerente il rapporto di lavoro tra Poste Italiane e i propri
dipendenti, rapporto di lavoro di natura privatistica e rientrante nei
poteri di autorganizzazione dell’Ente.
Si lamenta, inoltre, che
Poste Italiane non avrebbe obbligo di redazione e tenuta di un
organigramma, ma solo di un «libro unico del lavoro», comprensivo del
calendario delle presenze, ai sensi dell’art. 39, d.l. n.
112/2008, sicché la sentenza di primo grado avrebbe ordinato l’accesso ad un atto (l’organigramma), inesistente.
Si
lamenta, infine, che l’obbligo di consentire l’accesso non implica
anche l’obbligo di elaborare dati disaggregati; nella specie l’accesso
al libro unico del lavoro non conterrebbe i dati in forma aggregata
relativi all’ufficio postale di Lonate Pozzuolo.
3. Va anzitutto
esaminato il motivo con cui Poste Italiane sostiene di non essere
assoggettata alla normativa in tema di accesso o, quanto meno, di non
esserlo quando agisce in regime di concorrenza.
3.1. Il motivo è infondato.
La
Sezione ritiene di non doversi discostare dal già espresso
orientamento, secondo cui l’attività amministrativa, cui gli artt. 22 e
23 l. n.
241/1990 correlano il diritto d’accesso, ricomprende
non solo quella di diritto amministrativo, ma anche quella di diritto
privato posta in essere dai soggetti gestori di pubblici servizi che,
pur non costituendo direttamente gestione del servizio stesso, sia
collegata a quest’ultima da un nesso di strumentalità derivante anche,
sul versante soggettivo, dalla intensa conformazione pubblicistica
(Cons. St., sez. VI, 26 gennaio 2006 n.
229; Id., 30 dicembre 2005 n. 7624; Id., 7 agosto 2002 n. 4152; Id., 8 gennaio 2002 n. 67).
Con
le citate decisioni, la Sezione ha ritenuto che i dipendenti di Poste
Italiane s.p.a., anche cessati dal rapporto, avessero diritto ad
accedere ad alcuni atti relativi all’organizzazione interna della
società, quali gli atti di un procedimento privatistico per la
selezione dei dirigenti o i fogli firma delle presenze giornaliere, a
nulla rilevando che l’attività di Poste si svolga in parte in regime di
concorrenza.
In tali casi l’attività di Poste Italiane, relativa
alla gestione del rapporto di lavoro con i propri dipendenti, è stata
ritenuta strumentale al servizio gestito da Poste ed incidente
potenzialmente sulla qualità di un servizio, il cui rilievo
pubblicistico va valutato tenendo conto non solo della dimensione
oggettiva, ma anche di quella propriamente soggettiva di Poste Italiane.
Deve,
di conseguenza, ritenersi che Poste Italiane è soggetta alla disciplina
in tema di accesso nei limiti già precisati con i citati precedenti
della Sezione e che lo è nel caso di specie, in cui appunto l’accesso è
stato richiesto in relazione alla predetta attività di organizzazione
delle forze lavorative e quindi del servizio postale.
4. Quanto
alla censura con cui si lamenta che non esisterebbe un organigramma, ma
solo un libro unico del lavoro, osserva il Collegio che non risulta
specificato negli atti di causa il periodo in cui si è svolto il
rapporto di lavoro della dipendente. Il libro unico del lavoro è
previsto dall’art. 39, d.l. n. 112/2008; pertanto, ove il rapporto di
lavoro si sia svolto, in tutto o in parte, prima dell’entrata in vigore
di tale disposizione, va esibito il documento corrispondente,
contenente le notizie richieste in sede di istanza di accesso; ove il
rapporto si sia svolto, in tutto o in parte, dopo l’entrata in vigore
della norma citata, va esibito il libro unico del lavoro.
5.
Quanto alla censura con cui si lamenta che il dovere di consentire
l’accesso non implica anche un dovere di consentire l’elaborazione di
dati, va precisato che Poste Italiane potrà, ove non sia in possesso di
dati aggregati e ritenga di non essere in grado di aggregarli senza
eccessivo dispendio, consentire l’accesso a tutti i dati richiesti
disaggregati, mettendo a disposizione dell’interessata tutti i
documenti necessari affinché l’opera di aggregazione sia compiuta a
cura dell’interessata.
6. In conclusione, l’appello va respinto.
Non si fa luogo a pronuncia sulle spese, in difetto di costituzione dell’appellata.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sezione VI), definitivamente pronunciando sull’appello in epigrafe, lo respinge.
Nulla per le spese.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.