Prelazione urbana, difformità fra denuntiatio e contratto di vendita
La decisione della Cassazione civile del 25 settembre 2009, n.
20671, affronta argomenti che si ricollegano alla prelazione e al
riscatto previsti dagli articoli 38 e 39 della legge 27 luglio 1978, n.
392, per le locazioni d’immobili urbani adibiti ad uso diverso da
quello d’abitazione.
La vicenda giudiziaria trae origine dalla
richiesta di riscatto da parte del conduttore, basata sulla presupposta
differenza tra denuntiatio e contenuto del contratto di vendita a terzi
dell’immobile.
Nella fase di merito il Tribunale aveva accolto
la domanda di riscatto sostituendo l’attrice nella posizione di
acquirente dell’immobile in questione e condannando la convenuta alla
restituzione dei canoni medio tempore percepiti.
Quest’ultima
appellava la decisione e la Corte di Appello riformava totalmente la
sentenza impugnata rigettando le domande proposte in primo grado, che
erano state accolte dal Tribunale.
La Cassazione ha accolto il
ricorso ed ha cassato la sentenza impugnata, in quanto ha ritenuto che
le difformità tra denuntiatio e contratto di vendita abbiano impedito
al prelazionario di valutare la vantaggiosità dell’affare, al fine
dell’esercizio o meno del suo diritto di riscatto dell’immobile.
Laa Corte di merito, invece, aveva ritenuto tali difformità non in grado di incidere ed alterare le condizioni contrattuali.
La
Corte suprema, prima di soffermarsi sul tema centrale, cioè sulla
relazione tra contratto di vendita e denuntiatio e sulle indicazioni
che la comunicazione deve contenere per consentire di valutare la
convenienza dell’acquisto, affronta il tema della prassi integrante il
fatto notorio.
Infine chiarisce perché nel caso di specie non
può decidere la controversia nel merito (cosiddetta cassazione
sostituiva) ai sensi dell’articolo 384 del Codice di procedura civile,
che conferisce al giudice di legittimità tale possibilità nel caso in
cui, dopo l’enunciazione del principio di diritto, la controversia
debba essere decisa in base ai medesimi apprezzamenti di fatto che
costituivano il presupposto del giudizio di diritto errato.
Sulla prassi integrante il fatto notorio
Con
il primo motivo, la ricorrente ha denunciato l’erroneità della sentenza
impugnata laddove ha ritenuto che costituisse prassi – integrante un
fatto notorio – la circostanza che il venditore di un immobile “salvo
patto contrario” proceda a propria cura e spese, alla cancellazione
dell’ipoteca.
E stata fatta valere la violazione dell’art. 115
c.p.c., comma 2, in base al quale il giudice, senza bisogno di prova,
può porre a fondamento della decisione le nozioni di fatto che
rientrano nella comune esperienza.
La Corte di Cassazione, in
questo caso si è trovata nella condizione di dover esercitare il
proprio controllo, ripercorrendo lo stesso processo cognitivo dello
stato di conoscenza collettiva operato dal giudice del merito ed ha
potuto verificare che la Corte di merito ha dato valore rilevante alla
prassi indicata, “al fine di escludere che vi fosse differenza fra
denuntiatio e clausole del contratto di compravendita, che indicava
l’esistenza di un’ ipoteca iscritta sull’immobile oggetto della
vendita, con obbligo di successiva cancellazione “nel più breve tempo
possibile” “
Ma una tale prassi, non integra in alcun modo
il fatto notorio, quale fatto acquisito alle conoscenze della
collettività; anche perché il ricorso alle nozioni di comune esperienza
(fatto notorio), comportando una deroga al principio dispositivo ed al
contraddittorio, introduce nel giudizio civile, prove non fornite dalle
parti e relative a fatti dalle stesse non vagliati né controllati.
Per questo motivo “va
inteso in senso rigoroso, e cioè – come già detto – come fatto
acquisito alle conoscenze della collettività, con tale grado di
certezza da apparire indubitabile ed incontestabile”.
Ne deriva che “non
si possono reputare rientranti nella nozione di fatti di comune
esperienza, intesa quale esperienza di un individuo medio, in un dato
tempo e in un dato luogo, quegli elementi valutativi che implichino
cognizioni particolari, od anche soltanto la pratica di determinate
situazioni, né quelle nozioni che rientrino nella scienza privata del
giudice; e ciò perché quest’ultima, in quanto non universale, non
rientra nella categoria del notorio (v. anche Cass. 28.2.2008 n. 5232;
Cass. 19.11.2007 n. 23978)”.
Sul punto la Cassazione ha
concluso nel senso che non può considerarsi fatto notorio la
circostanza che il venditore cancelli l’ipoteca gravante sull’immobile
all’atto della vendita, essendo questa condizione “una delle
facoltà che le parti possono prevedere – nell’ambito della loro
autonomia privata – come clausola contrattuale, dovendosi, invece,
affermare che le parti avrebbero potuto diversamente convenire; e ciò
nell’interesse anche dell’acquirente, che avrebbe potuto giovarsi
dell’accollo dell’ipoteca, con conseguente diminuzione del prezzo di
acquisto”.
La fondatezza del secondo motivo del ricorso, con
il quale la ricorrente censura l’errato utilizzo delle presunzioni
quale mezzo di prova e la violazione della legge 392 del 1991, art. 38,
si basa sul fatto che la Corte di merito, dopo aver enunciato
correttamente i principi di diritto in materia di denuntiatio, ha poi
ritenuto irrilevante la circostanza che su tale atto non fosse stata
fatta menzione dell’ipoteca esistente sull’immobile, ricorrendo al
fatto notorio secondo il quale sarebbe prassi consolidata quella
secondo cui il venditore avrebbe proceduto a sue spese alla
cancellazione dell’ipoteca.
L’errore della Corte d’Appello,
secondo i giudici di legittimità, è stato quello di aver basato su un
fatto notorio (inesistente) l’irrilevanza della detta menzione,
determinata dalla circostanza che “presumibilmente la stessa
conduttrice giammai avrebbe sottoscritto un rogito senza prima ottenere
la totale liberazione del bene”.
Una tale argomentazione non è stata ritenuta condivisibile perché il ricorso alle presunzioni può essere seguito, “al fine di risalire da un fatto noto – come quello appunto ricavabile dal notorio – a quello ignoto” e quando “il notorio tale non è – come nella specie – la presunzione non può più costituire un mezzo di prova”.
La
prassi per la quale, secondo la Corte di merito, salvo patto contrario
la venditrice avrebbe provveduto a sua cura e spese alla cancellazione
dell’ipoteca, pertanto, non può integrare, né il fatto notorio, né può
costituire la base dalla quale ricavare il fatto ignoto.
Alla “operatività delle garanzie di legge”, non può farsi riferimento perché “la
previsione della cancellazione dell’ipoteca a carico della venditrice
costituisce soltanto una delle clausole contrattuali che le parti,
nell’esercizio della loro autonomia privata, possono convenzionalmente
prevedere”.
Sul contenuto della denuntiatio e del contratto di vendita
Le
denuncie contenute nel terzo, quarto, quinto e sesto motivo, che
riguardano la sussistenza di una differenza tra denuntiatio e contratto
di vendita, “per l’intima connessione delle censure con gli stessi avanzate”, vengono esaminati congiuntamente.
La
Corte di merito, dopo avere accertato la sussistenza di un’incoerenza
fra denuntiatio e rogito (sulla prima non era stata indicata
l’esistenza dell’ipoteca, né prevedeva l’obbligo dell’acquirente di
pagare la provvigione all’agente che aveva svolto l’intermediazione nel
termine fissato per il rogito ed era invece previsto il pagamento
immediato di un acconto non menzionato nel rogito, dove si dava atto
del solo versamento del prezzo prima della stipula), non ha considerato
che in tema di prelazione urbana deve essere riconosciuto il diritto di
riscatto, “non solo nell’ipotesi in cui nella denuntiatio sia stato
indicato al conduttore un prezzo superiore a quello risultante dalla
vendita conclusa con il terzo, ma anche nel caso in cui, a parità di
prezzo, siano state concesse al terzo acquirente condizioni di
pagamento più vantaggiose, senza che della stessa sia stata data
tempestiva ed esatta comunicazione al conduttore avente diritto alla
prelazione (Cass. 6.8.2002 n. 11776; Cass. 9.12.1997 n. 12459; Cass.
16.4.1993 n. 4532; Cass. 1.7.1991 n. 7241)”.
La rigorosità
del contenuto della denuntiatio, che ai sensi dell’articolo 38 della
legge n. 392 del 1978, deve indicare, non solo il corrispettivo, ma
anche le altre condizioni alle quali la compravendita dovrebbe essere
conclusa, “trova la sua giustificazione nel fatto che il conduttore
deve essere posto nelle condizioni di valutare compiutamente la
convenienza o meno dell’acquisto del bene locatogli (v. in questo senso
anche Cass. 1.7.1991 n. 7241)”.
Il giudice, per non
arrogarsi un potere che gli è precluso in quanto spetta alle parti,
deve limitarsi a verificare la coincidenza o meno tra le condizioni
contenute nella denuntiatio, al fine dell’esercizio del diritto di
prelazione, e quelle contenute nel rogito di vendita a terzi, senza
operare una valutazione che spetta al conduttore.
Nel caso in esame, la valutazione della Corte di merito è stata rinvenuta nell’affermazione secondo cui “L’omessa
indicazione dell’esistenza dell’ipoteca, ed il successivo obbligo
assunto nel rogito dalla venditrice non si e’ risolto in un vantaggio a
favore dell’acquirente ed in un pregiudizio per la conduttrice”, che ha fatto trarre la seguente errata conclusione: “Non
vi era necessità alcuna di darne notizia nella denuntiatio atteso che,
comunque, la proprietaria avrebbe dovuto provvedere al trasferimento
del bene libero da trascrizioni, iscrizioni e pesi di ogni genere”, e quindi “anche la conduttrice, al momento della stipula, avrebbe beneficiato del vantaggio”.
In
ordine, poi, al rapporto di mediazione, con relativo obbligo a carico
del conduttore, previsto nella denuntiatio, ma non menzionato nell’atto
di vendita dell’immobile, la Corte di merito ha ritenuto il pagamento
della provvigione un’obbligazione che si pone al di fuori del rapporto
in quanto creditore, di tale obbligazione non è la parte venditrice, ma
un soggetto terzo.
La Cassazione non ha condiviso il
ragionamento, ritenendo irrilevante la circostanza che l’obbligazione
relativa al pagamento della provvigione si ponga all’interno od
all’esterno del rapporto.
Condizione rilevante, invece, è che la
previsione del pagamento della provvigione, contenuta nella
denuntiatio, non essendo stata riprodotta nel rogito di vendita, ha
comportato “un’alterazione delle condizioni contrattuali, con la
concessione, al terzo acquirente, di condizioni di pagamento più
vantaggiose, non prevedendo più a suo carico tale pagamento”.
In
sintesi, mentre la Corte di merito ha ritenuto che le difformità tra
denuntiatio e contratto di vendita, sia con riferimento all’ipoteca,
sia in relazione al pagamento della provvigione, non abbiano alterato
le condizioni contrattuali, la Cassazione ha ritenuto fondate le
censure mosse ed ha accolto il ricorso ritenendo che le difformità
abbiano impedito al prelazionario di valutare la vantaggiosità
dell’affare, al fine dell’esercizio o meno del suo diritto di riscatto
dell’immobile.
Sui motivi di esclusione della cassazione sostitutiva
A
proposito dell’istanza di decisione nel merito, la Cassazione ha
ritenuto di non poterla accogliere, perché ciò è possibile quando, a
seguito dell’accoglimento del ricorso per violazione o falsa
applicazione di norme di diritto, non siano necessari ulteriori
accertamenti di fatto.
Accertamenti di fatto, necessari per ricostruire la vicenda, che non possono riguardare entrambi i gradi precedenti.
Infatti, l’indagine diretta a stabilire la (eventuale) superfluità di ulteriori accertamenti di fatto deve essere, compiuta “unicamente
sul provvedimento impugnato, nel senso che da questo deve emergere la
sufficienza degli accertamenti effettuati per poter decidere la causa
nel merito (v. anche Cass. 14.5.2003 n. 7451)”.
Non ha
rilevanza in proposito il fatto che sulla questione si sia pronunciato,
il giudice di primo grado, la cui sentenza sia stata riformata con
quella cassata, “atteso l’effetto sostitutivo della sentenza di
secondo grado la cui pronuncia toglie rilievo, nei limiti del principio
“tantum devolutum quantum appellatum”, alla prima decisione (Cass. civ.
Sez. III, 22-05-2006, n. 11928)”.
Nel caso in esame, quindi, la Corte ha deciso che “si
rende necessario che il giudice di rinvio, valuti gli elementi di fatto
acquisiti, alla luce dei principii di diritto enunciati”.
L’accoglimento
del ricorso ha comportato la cassazione della sentenza impugnata ed il
rinvio, anche per le spese, alla Corte d’Appello di Venezia in diversa
composizione.