Prelazione urbana, difformità fra denuntiatio e contratto di vendita (sentenza completa)
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE III CIVILE
Sentenza 27 maggio – 25 settembre 2009, n. 20671
(Presidente Di Nanni – Relatore Vivaldi)
Svolgimento del processo
La
società S. R. & c. srl conveniva, davanti al tribunale di Venezia,
la M.G. Junior sas di F. G. & C., quale locatrice, assumendo che
era stato violato il suo diritto di prelazione per l’acquisto
dell’immobile ad uso non abitativo, dalla stessa condotto in locazione.
La società convenuta, costituitasi, contestava il fondamento della domanda.
Il
tribunale, con sentenza del 9.6.2003, accoglieva la domanda,
sostituendo l’attrice nella posizione di acquirente dell’immobile in
questione e condannando la convenuta alla restituzione dei canoni medio
tempore percepiti.
Quest’ultima proponeva appello e la Corte di
Appello, con sentenza del 5.9.2005, in totale riforma della sentenza
impugnata, rigettava le domande proposte dalla S. R. & c. srl.
Ha proposto ricorso per cassazione affidato a sei motivi la S. R. & C. srl.
Resiste la M.G. Junior sas di F. G. & C..
Entrambe le parti hanno presentato memoria.
Motivi della decisione
Preliminarmente devono dichiararsi infondate le eccezioni proposte dall’odierna resistente.
Quanto
a quella relativa alla proposizione di questioni nuove in questa sede e
difetto di autosufficienza, deve rilevarsi che la ricorrente si è
limitata – trascrivendo in ricorso il contenuto dei documenti ritenuti
rilevanti e rispettando, quindi, il principio di autosufficienza – a
riproporre questioni che hanno già formato oggetto dell’esame di
merito, in ordine alle quali, mentre il primo giudice si è pronunciato
in senso favorevole alla tesi prospettata dalla S. R. & C. snc, –
in ordine alla proposta domanda di riscatto, sul presupposto della
differenza tra denuntiatio e contenuto del contratto di vendita
dell’immobile a terzi – il giudice di appello, viceversa, ha totalmente
accolto l’impugnazione proposta dalla M.G. Junior sas, ritenendo
conforme a diritto la condotta dell’attuale resistente.
La S. R.
& C. snc, in questa sede, pertanto, lamenta l’erroneità della
decisione impugnata, senza sollevare questioni nuove, non affrontate
nelle fasi di merito.
Con il primo motivo la ricorrente
principale denuncia la violazione dell’art. 115, comma II, c.p.c. (art.
360, n. 3 e 5 ed in subordine n. 4 c.p.c..
Il motivo è fondato.
Correttamente
la ricorrente ha denunciato l’erroneità della sentenza impugnata
laddove ha ritenuto che costituisca prassi – integrante un fatto
notorio – la circostanza che il venditore di un immobile “salvo patto
contrario” proceda a propria cura e spese, alla cancellazione
dell’ipoteca, sotto il profilo della violazione dell’art. 115, secondo
comma, cod. proc. civ.
In questo caso, la Corte di cassazione
deve esercitare il proprio controllo, ripercorrendo il medesimo
processo cognitivo dello stato di conoscenza collettiva operato dal
giudice del merito (Cass. 9.9.2008 n. 22880).
Ora, la Corte di
merito – al fine di escludere che vi fosse differenza fra denuntiatio e
clausole del contratto di compravendita, che indicava l’esistenza di
un’ipoteca iscritta sull’immobile oggetto della vendita, con obbligo di
successiva cancellazione “nel più breve tempo possibile” – ha dato per
acclarato la prassi indicata, sottolineando che questo avrebbe
comportato un vantaggio anche per la conduttrice.
Ma una tale prassi non integra in alcun modo il fatto notorio, quale fatto acquisito alle conoscenze della collettività.
Inoltre,
il ricorso alle nozioni di comune esperienza (fatto notorio),
comportando una deroga al principio dispositivo ed al contraddittorio,
introducendo, nel giudizio civile, prove non fornite dalle parti e
relative a fatti dalle stesse non vagliati, né controllati, va inteso
in senso rigoroso, e cioè – come già detto – come fatto acquisito alle
conoscenze della collettività, con tale grado di certezza da apparire
indubitabile ed incontestabile.
Ne deriva che non si possono
reputare rientranti nella nozione di fatti di comune esperienza, intesa
quale esperienza di un individuo medio, in un dato tempo e in un dato
luogo, quegli elementi valutativi che implichino cognizioni
particolari, od anche soltanto la pratica di determinate situazioni, né
quelle nozioni che rientrino nella scienza privata del giudice; e ciò
perché quest’ultima, in quanto non universale, non rientra nella
categoria del notorio (v. anche Cass. 28.2.2008 n. 5232; Cass.
19.11.2007 n. 23978).
Nella specie, la circostanza che il
venditore cancelli l’ipoteca gravante sull’immobile all’atto della
vendita non può assurgere a fatto notorio, posto che questa appare
soltanto una delle facoltà che le parti possono prevedere – nell’ambito
della loro autonomia privata – come clausola contrattuale, dovendosi,
invece, affermare che le parti avrebbero potuto diversamente convenire;
e ciò nell’interesse anche dell’acquirente, che avrebbe potuto giovarsi
dell’accollo dell’ipoteca, con conseguente diminuzione del prezzo di
acquisto.
Erra, perciò, nuovamente, la Corte di merito che ha
ritenuto che il conduttore avrebbe rifiutato di acquistare l’immobile
non purgato dall’ipoteca, così esprimendosi “vuoi infine perché
presumibilmente la stessa conduttrice giammai avrebbe sottoscritto un
rogito senza prima ottenere la totale liberazione del bene”.
Con
il secondo motivo denuncia la violazione dell’art. 360, n. 3 e 5 c.p.c.
per contraddittorietà della motivazione; violazione dell’art. 2121 c.c.
e art. 38, comma 11, l. n. 392/1918.
La ricorrente censura
l’errato utilizzo delle presunzioni, quale mezzo di prova e la
violazione dell’art. 38 della legge n. 392 del 1978.
Il motivo è fondato.
La
Corte di merito, dopo avere enunciato correttamente i principii di
diritto in materia di denuntiatio, ha poi, ritenuto irrilevante la
circostanza che nella denuntiatio non fosse stata fatta menzione
dell’ipoteca esistente sull’immobile, ricorrendo al fatto notorio –
oggetto del precedente motivo – secondo il quale sarebbe prassi
consolidata quella per cui il venditore avrebbe proceduto a sue spese
alla cancellazione dell’ipoteca.
Ma, in tal modo motivando, è incorsa in più violazioni.
Il fatto notorio – come già detto -, nella specie, si è visto non sussistere per le considerazioni più sopra formulate.
Inoltre,
la stessa Corte, nel considerare l’irrilevanza della detta menzione, ha
anche fatto ricorso alla presunzione, secondo la quale la detta
irrilevanza sarebbe stata determinata dalla circostanza che
“presumibilmente la stessa conduttrice giammai avrebbe sottoscritto un
rogito senza prima ottenere la totale liberazione del bene”.
Un tale ragionamento non è condivisibile.
Il
ricorso alle presunzioni, infatti, può essere seguito, al fine di
risalire da un fatto noto – come quello appunto ricavabile dal notorio
– a quello ignoto.
Ma, se il notorio tale non è – come nella specie – la presunzione non può più costituire un mezzo di prova.
La
prassi per la quale, secondo la Corte di merito, salvo patto contrario,
la venditrice avrebbe provveduto a sue spese e cura alla cancellazione
dell’ipoteca, pertanto, non integra, né il fatto notorio, né può
costituire la base dalla quale ricavare il fatto ignoto.
Correttamente,
pertanto, la ricorrente ha denunciato, ai sensi dell’art. 360 n. 3
c.p.c. la violazione dell’art. 2727 c.c. (v. in questo senso anche
Cass. 26.6.2008 n. 17535).
Né, può farsi riferimento alla
“operatività delle garanzie di legge”, poiché la previsione della
cancellazione dell’ipoteca a carico della venditrice costituisce
soltanto una delle clausole contrattuali che le parti, nell’esercizio
della loro autonomia privata, possono convenzionalmente prevedere.
Con
il terzo motivo denuncia ai sensi dell’art. 360, n. 3 e 5 c.p.c.:
motivazione contraddittoria e violazione degli art. 38 e 39 l. 392/1918
in relazione agli artt. 1321, 1322, 1324, 1326 e 1329 c.c..
Con
il quarto motivo denuncia la violazione degli artt. 38 l. 392/1918 e
1213, 1322, 1324 e 1326 c.c., in relazione agli artt. 360 n. 3 e 5
c.p.c..
Con il quinto motivo denuncia la violazione, ai sensi dell’art. 360 n. 3 e 5 c.p.c, degli artt. 1180, 1213, 1312 e 1411 c.c..
Con
il sesto motivo denuncia la violazione degli artt. 38-39 l. 392/1918 in
relazione agli art. 1321, 1322, 1324 e 1326 c.c. e 360 n. 3 e n. 5
c.p.c..
Tali motivi, per l’intima connessione delle censure con gli stessi avanzate, possono essere esaminati congiuntamente.
Essi sono fondati per le ragioni e nei termini che si vanno ad esporre.
La
Corte di merito, dopo avere accertato la sussistenza di una discrepanza
fra denuntiatio e rogito – per il fatto di non contenere la prima, né
la indicazione della esistenza dell’ipoteca e delle sue vicende come
più sopra delineate, né l’indicazione dell’obbligo, da parte
dell’acquirente, di pagare la somma di lire 25.800.000, a titolo di
provvigione all’agente che aveva svolto l’intermediazione, nel termine
fissato per il rogito, ed inoltre, – in ordine al pagamento
dell’acconto di lire 50.000.000 – che, mentre, nella denuntiatio, era
previsto il pagamento immediato, nel rogito, invece, si dava atto del
versamento del prezzo di lire 430.000.000 “prima della stipula, ma non
già dell’avvenuto pagamento dell’acconto il 07.07.2001 ovvero nei
giorni immediatamente successivi” è passato a considerare ed a valutare
la opportunità e convenienza dell’operazione come svolta.
Ora,
costituisce ius receptum, come già detto, che – in tema di prelazione
urbana – vada riconosciuto il diritto di riscatto, non solo
nell’ipotesi in cui nella denuntiatio sia stato indicato al conduttore
un prezzo superiore a quello risultante dalla vendita conclusa con il
terzo, ma anche nel caso in cui, a parità di prezzo, siano state
concesse al terzo acquirente condizioni di pagamento più vantaggiose,
senza che della stessa sia stata data tempestiva ed esatta
comunicazione al conduttore avente diritto alla prelazione (Cass.
6.8.2002 n. 11776; Cass. 9.12.1997 n. 12459; Cass. 16.4.1993 n. 4532;
Cass. 1.7.1991 n. 7241).
Infatti, ai sensi dell’art. 38 della
legge n. 392 del 1978, la denuntiatio deve indicare, non solo il
corrispettivo, ma anche le altre condizioni alle quali la compravendita
dovrebbe essere conclusa.
La rigorosità del contenuto della
denuntiatio prescinde, quindi, dalla sua natura, poiché la completezza
della stessa è posto come requisito essenziale dalla legge, e trova la
sua giustificazione nel fatto che il conduttore deve essere posto nelle
condizioni di valutare compiutamente la convenienza o meno
dell’acquisto del bene locatogli (v. in questo senso anche Cass.
1.7.1991 n. 7241).
Ma una tale valutazione spetta al conduttore,
non anche al giudice, che deve limitarsi a verificare la coincidenza o
meno tra le condizioni contenute nella denuntiatio, al fine
dell’esercizio del diritto di prelazione, e quelle contenute nel rogito
di vendita a terzi.
Diversamente, il giudice si arroga un potere che gli è precluso, rientrando in quello dispositivo, spettante alle parti.
Al
momento della denuntiatio, infatti, è operata una cristallizzazione dei
valori che non può più essere mutata in sede di conclusione del
contratto di vendita.
Nel caso in esame, la Corte di merito,
invece, ha operato una tale valutazione affermando che “L’omessa
indicazione dell’esistenza dell’ipoteca, ed il successivo obbligo
assunto nel rogito dalla venditrice non si è risolto in un vantaggio a
favore dell’acquirente ed in un pregiudizio per la conduttrice”,
concludendo che “Non vi era necessità alcuna di darne notizia nella
denuntiatio atteso che, comunque, la proprietaria avrebbe dovuto
provvedere al trasferimento del bene libero da trascrizioni, iscrizioni
e pesi di ogni genere”, e che “anche la conduttrice, al momento della
stipula, avrebbe beneficiato del vantaggio”.
In ordine, poi,
alle indicazioni, contenute nella denuntiatio, ma non riprodotte
nell’atto di vendita dell’immobile all’odierna resistente, deve
rilevarsi.
In tema di prelazione di immobili locati ad uso
diverso da quello abitativo, la comunicazione della volontà di
trasferire il bene a titolo oneroso non ha natura di proposta
contrattuale (ovvero di mera informativa di un generico intento di
avviare trattative negoziali), ma riveste carattere di atto formale di
interpello, vincolato nella forma e nel contenuto; cosicché la
corrispondente dichiarazione del conduttore, di esercizio della
prelazione, non costituisce l’accettazione di una precedente proposta,
e non comporta l’immediato acquisto dell’immobile.
Comporta,
invece, la nascita dell’obbligo, a carico di entrambe le parti, di
addivenire, entro un preciso termine, alla stipula del negozio di
alienazione, con contestuale pagamento del prezzo indicato dal locatore.
Ne
consegue, da un canto, che la ricordata comunicazione deve
necessariamente provenire dal proprietario dell’immobile, e,
dall’altro, che ogni possibilità di libera trattativa tra le parti deve
essere incondizionatamente esclusa, essendo interdetta al conduttore
ogni facoltà di incidere sul contenuto del contratto già predeterminato
dal proprietario, pena la declaratoria di invalidità della prelazione
(v. anche Cass. 17.11.1998 n. 11551).
Ora, nella specie, fra le
condizioni contenute nella denuntiatio vi era quella per la quale il
conduttore avrebbe dovuto pagare il costo della mediazione, indicata
nella somma di lire 25.800.000.
Nel rogito di vendita tale condizione non è più riprodotta.
La
Corte di merito, a tale proposito, ritiene che “Il pagamento della
provvigione costituisce obbligazione che si pone al di fuori del
rapporto contrattuale di compravendita, a cui di norma è estraneo,
seppure collegato. La mancata indicazione, nel rogito, di tale rapporto
è, perciò, del tutto consueta e normale”, aggiungendo “tra l’altro
creditore, di tale obbligazione non era la venditrice, ma un soggetto
terzo, che aveva piena libertà di decidere, quando e come chiedere e/o
ricevere il pagamento del dovuto”.
Un siffatto ragionamento pecca sotto più profili.
In
primo luogo è irrilevante – ai fini che qui interessano – la
circostanza che l’obbligazione relativa al pagamento della provvigione
si ponga all’interno od all’esterno del rapporto di cui si tratta.
Quella
che rileva, invece, è che la previsione del pagamento della
provvigione, contenuto nella denuntiatio, non sia stato più riprodotto
nel rogito di vendita, comportando questo un’alterazione delle
condizioni contrattuali, con la concessione, al terzo acquirente, di
condizioni di pagamento più vantaggiose, non prevedendo più a suo
carico tale pagamento; e di ciò non risulta sia stata data al
conduttore, avente diritto alla prelazione, tempestiva ed esatta
comunicazione.
Quanto, poi al fatto della irrilevanza della
mancata indicazione, nel rogito, del rapporto di mediazione – perché
“consueta e normale”, e dell’ulteriore circostanza secondo la quale,
creditore di una tale obbligazione (quella relativa al pagamento della
provvigione) non sarebbe stata “la venditrice, ma un soggetto terzo,
che aveva piena libertà di decidere, quando e come chiedere e/o
ricevere il pagamento del dovuto”, deve sottolinearsi che la posizione
del mediatore non acquista alcun peso nella vicenda in esame.
Come già si è detto, in questa sede rileva soltanto la ricorrente alterazione delle condizioni contrattuali.
La
motivazione adottata, sul punto, dalla Corte di merito, non tiene conto
della oggettiva ed accertata differenza delle stesse, come previste nei
due atti, tentando di fornire una spiegazione – che non le è richiesta
– del perché questa alterazione – sia con riferimento all’ipoteca, sia
in relazione al pagamento della provvigione – non altererebbe il
meccanismo contrattuale.
Ciò che, invece, interessa è che una
tale mancata previsione nel rogito di vendita – unitamente alla mancata
menzione dell’ipoteca e delle sue vicende estintive nella denuntiatio
(la cui mancata menzione e – viceversa – previsione nel rogito ha
inciso sul prezzo di vendita, costituendone parte ) – abbiano impedito
al prelazionario di valutare la vantaggiosità dell’affare, al fine
dell’esercizio o meno del suo diritto di riscatto dell’immobile.
Di qui la correttezza delle violazioni denunciate.
Conclusivamente, il ricorso va accolto.
Non
può essere accolta, invece, l’istanza, formulata dalla ricorrente, ai
sensi dell’art. 384, secondo comma, c.p.c., di decisione nel merito, da
parte di questa Corte di legittimità.
Ciò è consentito alla
Corte di cassazione – operando la cassazione sostitutiva – quando, a
seguito dell’accoglimento del ricorso per violazione o falsa
applicazione di norme di diritto, non siano necessari ulteriori
accertamenti di fatto.
Ma, a tal fine, non è sufficiente che gli
elementi fattuali occorrenti per ricostruire la vicenda in questione
siano stati acquisiti al processo nei gradi precedenti.
L’indagine
diretta a stabilire la (eventuale) non necessità di ulteriori
accertamenti di fatto essere, infatti, compiuta unicamente sul
provvedimento impugnato, nel senso che da questo deve emergere la
sufficienza degli accertamenti effettuati per poter decidere la causa
nel merito (v. anche Cass. 14.5.2003 n. 745).
Il giudice di
rinvio, nel caso in esame, dovrà, invece, nuovamente valutare gli
elementi di fatto acquisiti, alla luce dei principii di diritto
enunciati.
Né è sufficiente che, sulle questioni esaminate, si
sia pronunciato, il giudice di primo grado, per l’impossibilità della
reviviscenza della sentenza di primo grado.
La sentenza pronunciata dal primo giudice è stata riformata da quella di secondo grado, in questa sede cassata.
Ne
deriva che, per l’effetto sostitutivo della sentenza in questa sede
impugnata, la pronuncia adottata dal secondo giudice toglie rilievo,
nei limiti del principio tantum devolutum quantum appellatum, alla
decisione di primo grado (v. anche Cass. 22.5.2006 n. 11928).
Le spese vanno rimesse al giudice del rinvio.
P.Q.M.
La
Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche
per le spese, alla Corte d’Appello di Venezia in diversa composizione.