PREVIDENZA. Nuovo sollecito Commissione Ue contro Italia su parità pensioni fra uomini e donne
Nuova lettera della Commissione europea all’Italia perché venga adeguata l’età di pensionamento delle donne. Oggi infatti la Commissione europea ha inviato all’Italia un nuovo sollecito affinché ottemperi alla pronunzia formulata nel 2008 dalla Corte di giustizia europea in base alla quale l’esistenza di età pensionabili diverse per funzionari pubblici uomini e donne viola il principio della parità di retribuzione. L’Italia, sottolinea la Ue, ha introdotto nuove disposizioni per adeguarsi alla sentenza della Corte a seguito di una procedura d’infrazione avviata dalla Commissione, ma le disposizioni porterebbero all’equiparazione dell’età pensionistica gradualmente in otto anni, con tempi considerati troppo lunghi. “La Corte di giustizia europea ha confermato a più riprese che le pensioni dei funzionari pubblici vanno considerate alla stregua di retribuzioni e di regimi professionali – rileva la Commissione Ue – Il 13 novembre 2008 la Corte ha statuito che il regime applicabile ai funzionari pubblici italiani gestito dall’INPDAP (Istituto nazionale di previdenza per i dipendenti dell’amministrazione pubblica) è discriminatorio poiché applica alle donne e agli uomini età pensionabili diverse”. Nel giugno 2009 la Commissione ha inviato una lettera di costituzione in mora. L’Italia ha notificato il varo di nuove disposizioni che introducono gradualmente, fino al 2018, un’età pensionabile identica a 65 anni per tutti i dipendenti pubblici. L’età pensionabile aumenterebbe quindi in modo graduale nell’arco di otto anni. Per l’Europa non basta: “La Commissione ritiene, anche in conformità della giurisprudenza dell’Ue, che tale misura transitoria continui ad applicare un trattamento discriminatorio e sia quindi inadeguata. La Commissione ha pertanto deciso di emanare un’ulteriore lettera di costituzione in mora all’indirizzo dell’Italia in forza dell’articolo 260, paragrafo 1, del TFUE, sollecitando le autorità italiane a ottemperare alla sentenza”.