Privatizzare l’acqua per darla a chi? Ecco cosa succede in Sicilia
Privatizzare la
distribuzione dell’acqua? Leggete cosa accade in Sicilia, dove i
servizi idrici sono stati dati in appalto ai privati. L’inchiesta che
vi propongo, realizzata congiuntamente da me e Roberto Galullo, è
stata pubblicata dal Sole-24 Ore il 30 luglio 2008, ma è di grande
attualità. Ecco la prima puntata.
ACQUEDOTTI CON INFILTRAZIONI MAFIOSE
Distribuzione, depuratori e rete fognaria: così Cosa Nostra
riorganizza un business ad alta redditività – Il pentito Francesco
Campanella racconta il sistema di spartizione politico-mafiosa della
gestione idrica che aveva ottenuto l’avallo del boss Bernardo
Provenzano.
di Roberto Galullo e Giuseppe Oddo
“In Sicilia l’acqua non dà da bere: dà da mangiare e ingrassa.
Gli oltre 400 milioni di metri cubi erogati da una rete che perde per
strada un terzo di ciò che trasporta stuzzicano l’appetito di Cosa
Nostra, che con gli appalti per l’emergenza idrica ha storicamente
accumulato ricchezza e potere. Già nel settembre 2005 il pentito
Francesco Campanella, ex presidente del consiglio comunale di Villabate
e cassiere della locale famiglia mafiosa, aveva svelato gli scenari
alla Procura di Palermo. Personaggio emergente della nuova mafia con
significativi trascorsi nella politica, Campanella, che ha appena
compiuto 36 anni, aveva parlato delle vicende del consorzio Metropoli
Est costituito per lo sfruttamento del servizio idrico nei comuni del
palermitano tra Villabate e Termini Imerese. Il collaboratore di
giustizia ha spiegato ai magistrati che la gestione del business
sarebbe dovuta avvenire «non con ditte locali ma cercando rapporti con
importanti imprese nazionali o internazionali». Il progetto avrebbe
dovuto segnare per Cosa Nostra un cambio radicale di strategia: non più
l’imposizione del pizzo, ma l’acquisizione di «una quota di utile annua
da remunerarci attraverso il sistema delle consulenze». Consulenze che
avrebbero messo la mafia su un «percorso legale e per l’azienda
fiscalmente detraibile».
L’operazione era stata concertata con
Nicola Mandalà, l’uomo che gestiva la latitanza di Bernardo Provenzano.
Mandalà ne aveva parlato all’allora capo di Cosa Nostra ed era tornato
«entusiasta dall’incontro con lo “Zio” che gli aveva fatto i
complimenti – racconta Campanella – poiché la sua strategia operativa
era insabbiare Cosa Nostra e passare all’attività di impresa,
direttamente, collegandosi in modo organico con la politica».
Questo
progetto è stato smantellato dalle indagini, ma – a giudizio dei
magistrati – il modello mafioso di “infiltrazione” nel settore idrico è
rimasto intatto. Anche perché, se Provenzano e Campanella sono ormai
fuorigioco, i colletti bianchi e i politici che hanno ordito la trama
sono ancora al loro posto.
Nel frattempo, recependo sia pure in
ritardo la legge Galli, la Regione Sicilia ha costituito nove Ambiti
territoriali ottimali (Ato) per la gestione integrata della
distribuzione dell’acqua potabile, dei depuratori e delle reti
fognarie. La Sicilia è tra le poche regioni che ha affidato a terzi il
servizio idrico integrato. Il criterio seguito non è stato quello dei
bacini idrografici, indicato nella legge, ma quello
politico-clientelare-amministrativo: nove province, nove Ato. Sei di
questi hanno seguito la strada della privatizzazione. Uno (Catania) ha
costituito una società a capitale misto. Solo a Ragusa l’acqua è
rimasta in mani pubbliche, mentre a Trapani è tutto da rifare. Qui una
vecchia conoscenza della giustizia, l’imprenditore Pietro Di Vincenzo –
ex presidente degli industriali di Caltanissetta, condannato in primo
grado per concorso in associazione mafiosa dalla Procura di Roma, ma
assolto in appello – era riuscito ad aggiudicarsi la gara. L’Ato l’ha
però annullata per turbativa d’asta e a nulla sono valsi i ricorsi
dell’impresa Di Vincenzo al Tar siciliano e al Consiglio di giustizia
amministrativa.
Non solo: nel giugno 2008 la Procura nissena ha
proceduto contro Di Vincenzo con una misura di prevenzione
patrimoniale, chiedendone il sequestro dei beni, stimati in circa 120
milioni. Diversi pentiti lo avrebbero indicato come personaggio
centrale del connubio tra affari e politica.
Le procedure di
assegnazione presentano in genere gravi anomalie. La più vistosa è che
in quasi tutti gli Ato – dopo tentativi talvolta andati a vuoto – alle
gare s’è presentato un unico raggruppamento di imprese (pubbliche e
private) che è poi risultato aggiudicatario della gestione del
servizio. Il caso eclatante è quello di Palermo, dove l’Amap, la
municipalizzata del capoluogo, ha ottenuto un regime di salvaguardia in
base al quale potrà continuare a operare parallelamente all’Ato fino al
2021, ossia fino alla scadenza del contratto col Comune.
Gli
investimenti trentennali (2003-2032) ammontano a 5,8 miliardi, una
cifra che fa del settore idrico la torta più appetibile in Sicilia. Da
anni non si registrava nell’Isola un flusso così consistente di
appalti. La parte del leone la fa l’Ato di Palermo, con oltre 1,261
miliardi, seguito dall’Ato di Catania, con 1,192 miliardi (si veda la
tabella a fianco). E una parte rilevante degli investimenti – oltre un
miliardo a fondo perduto – arriva dall’Accordo di programma quadro
2000-2006 della Ue. Le società aggiudicatarie del servizio potranno
accedere ai finanziamenti pubblici europei solo se investiranno il 30%
di risorse proprie.
«Di fatto – dichiara Ernesto Salàfia, dirigente
dell’Amap di Palermo, tra gli animatori del movimento Liberacqua – le
società di gestione stanno rischiando poco, trovandosi a utilizzare
denaro pubblico». E questa è solo una parte della torta. Dice Anna
Parrino, dirigente dell’Ato di Trapani: «Il vero affare sono i ricavi
che giungeranno dalle tariffe. A Trapani il futuro gestore incasserà
non meno di 28-30 milioni all’anno, che in 30 anni fanno circa 900
milioni di fatturato».
Il “sistema Campanella” è stato affinato. Basta guardare le
compagini azionarie dei vari gestori del servizio. Il modello tipo vede
compartecipi imprese di costruzione, cooperative rosse, utilities del
Nord, società di ingegneria e installazioni e studi professionali
locali. All’Ato di Caltanissetta partecipa un colosso straniero: la
spagnola Aqualia. È ancora una volta Salàfia a spiegare la logica
spartitoria: «Io progetto il servizio, io me lo realizzo, io me lo
collaudo, io me lo gestisco e l’Europa mette i soldi». Insomma, tutto
in famiglia. A una condizione: che solo il 30% dei lavori sia messo
all’asta e il 70% sia gestito dalla società aggiudicataria.
Un’anomalia, una violazione delle regole sulla concorrenza, che
Antitrust e Autorità per la vigilanza sui lavori pubblici non hanno
mancato di rimarcare. Ad esse hanno fatto ricorso 13 Comuni della
provincia di Palermo che hanno denunciato i rischi di irregolarità
insiti in questo singolare “modello” di privatizzazione.
«Girgenti Acque Spa – denuncia Giovanni Panepinto, combattivo
sindaco di Bivona, in provincia di Agrigento – non ha fatto alcun bando
per la manutenzione. Lavorano sempre i soli noti». Decine di imprese
mafiose o affidate a prestanomi sono pronte a dividersi le risorse,
confermano fonti della Dia (Direzione investigativa antimafia), che ha
in corso diverse indagini.
Ancora più incisivo il sindaco di
Caltavuturo, Domenico Giannòpolo, personaggio di spicco del Partito
democratico in Sicilia, che ha guidato l’opposizione dei Comuni
palermitani. «A giudicare dal modo in cui si sono svolte le gare –
afferma – c’è il sospetto che vi siano state una spartizione e
un’intermediazione affaristico-mafiose».
tasche dei cittadini: l’aumento delle tariffe. «Si rischia
un’esplosione sociale», dichiara Antonella Leto, che segue l’intera
vicenda per la Cgil siciliana. Con lei concordano altri sindacalisti,
molti sindaci, politici di ogni schieramento e il Forum dell’acqua, una
rete che organizza la mobilitazione popolare contro i programmi di
privatizzazione del servizio idrico.
Decine di sindaci non hanno
consegnato le reti ai nuovi gestori e migliaia di cittadini, talvolta
spalleggiati dagli stessi Comuni, fanno lo “sciopero” delle bollette. È
successo per esempio a Cefalù, i cui abitanti hanno visto crescere in
modo esponenziale il prezzo dell’acqua dopo l’entrata in funzione del
potabilizzatore delle sorgenti di Presidiana realizzato da una società
privata.
L’opposizione politica alla privatizzazione è trasversale.
Fabrizio Ardita, consigliere indipendente della Provincia di Siracusa,
s’è schierato contro il suo ex partito, l’Udc. «L’affidamento – afferma
– è stata una burla. Ha vinto l’unico soggetto che ha partecipato.
Questo ambito è sempre stato gestito in modo anomalo. Sogeas, che già
gestiva il servizio idrico, era presieduta fino a poco tempo fa da
Franca Gianni, sorella di Pippo Gianni, ex deputato nazionale e
regionale, attuale assessore regionale all’Industria. Oggi alla
presidenza di Sogeas c’è Franco Risicato, ex segretario cittadino
dell’Udc. Le anomalie nell’affidamento e altre stranezze
amministrative, nonché il tentativo di costituire una società ad hoc
per lucrare sulla privatizzazione, sono state denunciate all’autorità
giudiziaria».
A questa forma di resistenza civica, l’Arra (Agenzia
regionale per i rifiuti e le acque) risponde con una sfida. «Le
resistenze ci sono – ammette Marcello Lorìa, direttore del settore
regolazione delle acque – ma ci sono contratti firmati e delibere delle
conferenze dei sindaci. Se ci saranno danni per i gestori, se ne
faranno carico coloro i quali ostacolano investimenti e sviluppo. Non
dimentichiamo che chi ha vinto le gare aveva la possibilità di operare
subito. Le cose stanno andando a rilento e qualcuno pagherà per questo».
Per
ora, però, a pagare i costi del disservizio idrico sono soltanto i
siciliani. I cui rubinetti continuano a restare a secco in buona parte
dell’Isola per la maggior parte della giornata”.