Processi-lumaca: l’equo indennizzo scatta anche se la causa aveva poche "chances" di successo
La legge Pinto indennizza anche le “missioni
impossibili” (sul piano giudiziario, s’intende). Non conta che il
giudizio promosso avesse carattere seriale e poche probabilità di
successo: se la durata della causa fu irragionevole, l’equa riparazione
scatta comunque. Lo precisa l’ordinanza 25244/08 della Cassazione.
Il caso
Materia del contendere nel
processo-lumaca svoltosi davanti al Tar era il computo dell’indennità
pensionabile di polizia nell’indennità di buonuscita. Perché la Corte
d’appello esclude l’equa riparazione? Si tratta – spiegano i giudici –
di una classica causa intentata su consiglio dei sindacati con un
ricorso collettivo che però ha scarse chances di esito favorevole:
l’orientamento giurisprudenziale in materia, dopo qualche
tentennamento, si è ormai consolidato in senso contrario. E il giudice
del merito lascia intendere che gli stessi promotori dell’azione non
sembravano crederci fino in fondo. Dov’è, allora, il patema d’animo
nell’attesa del verdetto? Eppure c’è. È vero: il danno non patrimoniale
da processo-lumaca non è in re ipsa. Ma una volta accertata la
violazione dei parametri di “durata” della Pinto (di provenienza
europea: tre anni, due e uno rispettivamente per i giudizi di primo
grado, secondo e di legittimità), la lesione va ritenuta sussistente
ogni volta che non ci siano cause particolari che la possano
positivamente escludere. Il fatto che il giudizio fosse stato promosso
da una pluralità di attori – osservano gli “ermellini” – non vale a
escludere lo stato d’ansia in chi aspetta la fine della causa: al
massimo può ridurre l’entità della riparazione. Solo chi intenta una
lite temeraria o compie comunque un abuso del processo non può essere
indennizzato: l’esito favorevole della lite non condiziona il diritto
alla ragionevole durata del processo e, dunque, non incide sulla
pretesa indennitaria di chi è rimasto coinvolto in un processo-lumaca.