Processo tributario verso l’imparzialità
La legge sulla struttura delle commissioni tributarie stabilisce
l’incompatibilità tra la funzione di giudice tributario e l’esercizio
«in qualsiasi forma, anche se in modo saltuario o accessorio ad altra
prestazione, la consulenza tributaria, ovvero l’assistenza e la
rappresentanza di contribuenti (articolo 8, lettera i), del Dlgs
545/92). L’incompatibilità ricorre altresì per «coloro che sono coniugi
o parenti fino al secondo grado o affini in primo grado (…) ».
È una formulazione molto ampia che non lascia trasparire una ratio
sulla quale l’incompatibilità dovrebbe fondarsi. Sicché non c’è da
sorprendersi che sia nato un contenzioso in sede di giustizia
amministrativa che interessa i singoli giudici da una parte e
l’amministrazione dall’altra, i primi interessati a conciliare il più
possibile la funzione di giudice con la propria attività professionale,
la seconda preoccupata sia di garantire l’indipendenza e l’imparzialità
del giudice sia di dover gestire gli organici delle commissioni
tributarie (motivo per cui, sarebbe opportuno ricondurre le commissioni
tributarie sotto la guida del ministero della Giustizia).
In assenza
di un criterio più preciso sul quale fondare l’incompatibilità, i casi
controversi devono essere risolti dal Tar e dal Consiglio di Stato. Il
che non sarebbe un male se i diversi orientamenti non rischiassero di
compromettere la stabilità e la funzionalità delle commissioni
tributarie. È stato il Tar Lombardia (III, n. 1 del 7 gennaio 2003) –
al quale si era rivolto un professionista ritenuto incompatibile dal
ministero dell’Economia con la carica di giudice tributario – a cercare
di ricavare dalla formulazione letterale della norma citata una ratio.
I giudici amministrativi hanno affermato che si può giustificare la
decadenza dalla carica di giudice solo «in presenza di un’attività
intellettuale, per certi versi creativa e innovativa e che miri
direttamente alla tutela, in via sostanziale, degli interessi del
contribuente» e hanno escluso dall’ambito applicativo (“salvando”,
quindi, il ricorrente) i casi in cui il professionista «si limiti a una
semplice individuazione degli elementi costitutivi, modificativi ed
estintivi del rapporto d’imposta». Se il Tar avesse fatto lo sforzo di
far capire con maggior chiarezza i tipi di atti difensivi del diritto
dei contribuenti (dichiarazione, ricorso, concordato) forse sarebbe
stato meglio. Ma una formulazione in termini astratti con aggettivi
come «creativa e innovativa», senza supporti normativi, non sembra
delimitare concretamente la materia della incompatibilità.
Sicché ha avuto buon gioco il Consiglio di Stato (5842/09) a
censurare la decisione del Tar, rilevando l’assenza di riscontri nella
normativa e ricordando come «stante l’estrema latitudine della norma
sancita dall’articolo 8, qualsiasi forma di consulenza tributaria deve
ritenersi incompatibile con la carica di giudice tributario, senza che
sia necessario verificare in concreto se il suo contenuto qualitativo o
la continuità nello svolgimento compromettano il requisito della
terzietà e dell’indipendenza del giudice, essendo tale puntuale
verifica propria degli istituti della ricusazione e della astensione
(Consiglio di Stato, 3760/07; 3951/06), per cui sussiste una situazione
d’incompatibilità anche per le prestazioni rese in forma sporadica ed
occasionale o accessoria a quella principale (Consiglio di Stato,
1464/04)». Insomma se la vedano i contribuenti, avvalendosi
dell’istituto della ricusazione e gli stessi giudici interessati con
l’astensione, sembra volere dire la sentenza. Resta il fatto che per
gli iscritti agli albi che esercitano anche l’attività di giudice
tributario, la decisione del Consiglio di Stato rende meno agevole la
difesa nell’ambito delle sospensioni per incompatibilità.
Va però segnalato che davanti al Consiglio di Stato erano state
sollevate questioni di legittimità costituzionale non prive di senso,
ma senza riferimento ai principi costituzionali violati: a)
irragionevolezza nel prevedere che possano essere giudici tributari
anche ragionieri e dottori commercialisti, impedendo poi lo svolgimento
dell’attività di consulenza fiscale; b) imporre la decadenza
dall’incarico per fatto di terzo come l’iscrizione di un congiunto
negli albi professionali previsti dalla norma.
Ma è stato facile per il Consiglio di Stato ritenere le questioni
manifestamente infondate, rilevando che la situazione prospettata è del
tutto particolare che, sebbene possa essere statisticamente diffusa,
non assurge a vicenda inevitabile, anche perché il conflitto può essere
risolto dallo stesso giudice ridefinendo la propria attività
professionale; quanto alla seconda questione si tratta di una
situazione oggettiva che, ove preesistente, può ben essere conosciuta
dal giudice e, se successiva, può ben essere rimessa prima della
adozione del provvedimento sanzionatorio.
Chi conosce la
situazione del contenzioso tributario, la composizione delle
commissioni, le diverse situazioni di incompatibilità, non si
meraviglia di questo orientamento dell’amministrazione fatto proprio
dal Consiglio di Stato, che si risolve, anche per difficoltà
finanziarie e organizzative, in un immobilismo dove i problemi
prospettati non possono essere affrontati in modo soddisfacente.