Produrre sigarette è pericoloso
La produzione e la vendita di tabacco costituiscono attività
pericolose. E, in quanto tali, danno luogo alla forma di responsabilità
oggettiva prevista dal Codice civile all’articolo 2050. La scritta
«Light» collocata su un pacchetto di sigarette è poi una pubblicità
ingannevole, ma la persona che, sulla base di questa, chiede il
risarcimento non deve limitarsi a dimostrare l’ingannevolezza del
messaggio, ma anche l’esistenza del danno e il collegamento tra questo
e la pubblicità. A queste conclusioni approda la Corte di cassazione
con la sentenza n. 26516 depositata il 17 dicembre.
Nel qualificare
la responsabilità, la Cassazione sceglie la posizione più severa,
sinora affermata soprattutto dai giudici di merito, e ricorda che la
pericolosità del fumo da tabacco è riconosciuta in numerosi passaggi
del nostro ordinamento. Inoltre, l’articolo 2050 ha visto nel tempo
un’interpretazione via via allargata che ha esteso il giudizio di
pericolosità anche al bene finale dell’attività produttiva. Quindi alla
sigaretta, al sigaro, al tabacco lavorato e così via. La norma, osserva
la sentenza, realizza poi un bilanciamento tra il diritto del
produttore ad esercitare la propria impresa e quello del terzo a non
essere danneggiato: il produttore deve cioè provare di avere adottato
tutte le misure idonee a evitare il danno.
La relativa forma di
responsabilità, interviene ancora la Corte, è di natura oggettiva
perché il produttore potrebbe anche non avere alcuna colpa nella
mancata predisposizione di tutte le misure necessarie. A pesare è
l’assenza o la mancata adozione degli accorgimenti e invece non serve a
nulla la prova dell’imprenditore di essere personalmente incolpevole.
La
Cassazione afferma poi che «la pretesa conoscenza del rischio e della
pericolosità del prodotto sigaretta da parte del consumatore fumatore
(pur potendo portare al rigetto della domanda risarcitoria) non è
idonea a escludere la configurabilità della responsabilità del
produttore ai sensi dell’articolo 2050». Non conta la differenza,
sottolineata da alcuni, con il trasporto aereo sulla base del criterio
della prevenzione unilaterale (il passeggero non può fare nulla per
evitare il danno, il fumatore sì): il produttore è sempre responsabile
anche se la vittima può essere in colpa. Insomma, il giudice dovrà poi
valutare soprattutto se, come imposto dal 1990, l’avvertimento sui
pericoli del fumo collocato su ogni pacchetto possa scongiurare il
risarcimento.
Anche perché quella scritta «Light», utilizzata in
passato per dare al consumatore l’idea di un minore danno, deve essere
considerata a tutti gli effetti e senza condizioni come una pubblicità
ingannevole. Ma chi intende chiedere un risarcimento, facendo leva
sull’articolo 2043 del Codice sulla ordinaria responsabilità civile,
sulla base della falsità del messaggio pubblicitario deve anche
dimostrare l’esistenza del danno, il nesso tra la pubblicità e la
lesione e, almeno, la colpa di chi ha diffuso la pubblicità stessa.