Quando il datore di lavoro può “pedinare” i dipendenti
La Corte di Cassazione con la recente sentenza n. 16196 del 10 luglio 2009 dichiara lecito il pedinamento del lavoratore da parte del suo responsabile.
Inoltre la suddetta sentenza viene sostenuta dalle norme poste dagli artt. 2 e 3 della legge n. 300 del 20 maggio 1970, a tutela della libertà e dignità del lavoratore che non escludono il potere dell’imprenditore, ai sensi degli artt. 2086 e 2104 cod. civ.,
di controllare direttamente o mediante la propria organizzazione
gerarchica o anche attraverso personale esterno (ad esempio un’ agenzia
investigativa) l’adempimento delle prestazioni lavorative dei propri
dipendenti. Quindi il datore di lavoro può accertare mancanze
specifiche dei propri collaboratori già commesse o in corso di
esecuzione avvalendosi di diverse modalità di controllo,
pratica che può avvenire anche occultamente e a distanza di tempo
dall’inizio del rapporto lavorativo, senza che andare contro né al
principio di buona fede né al divieto di cui all’art. 4 dello Statuto dei lavoratori.
Infatti il datore di lavoro può decidere autonomamente come e quando
compiere il controllo ed essendo il prestatore d’opera tenuto ad
operare diligentemente per tutto il corso del rapporto di lavoro.
Fermo il principio, ai fini della legittimità del licenziamento, che il datore di lavoro deve dare prova della giusta causa del recesso.
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