Quando il datore di lavoro può violare la privacy
La Corte di Cassazione, con la sentenza del 30 giugno 2009 n. 15327,
ha ritenuto che non viola le norme sulla privacy l’imprenditore che
mette a disposizione di terzi documenti scritti a mano da un dipendente
al fine di rendere possibile una perizia grafica per accertare l’autore
di lettere ingiuriose anonime inviate ad alcuni colleghi.
Viene precisato, infatti, nella sentenza in questione, che in tema di
trattamento dei dati personali l’interesse alla riservatezza, tutelato
dalla legge, recede quando quest’ultimo sia esercitato per la difesa di
un interesse giuridicamente rilevante e nei soli ovvi limiti in cui
esso sia necessario alla tutela.
Nel caso di specie, la Suprema Corte ha ritenuto che, da un lato, erano
in gioco i diritti della persona degli altri dipendenti che non
potevano essere tutelati, se non individuando l’autore degli scritti
anonimi, da un altro, ciò avrebbe potuto avvelenare l’ambiente di
lavoro, ed infine, i documenti su cui effettuare la perizia grafica
erano di contenuto poco significante, come ad esempio richieste di
istruzioni, di cambio del turno, riconoscimento di premi di produzione,
bolle doganali compilate dal dipendente nell’espletamento del servizio.
Di conseguenza, deve escludersi che si realizza sempre ed in ogni caso
una violazione della legge a tutela del trattamento dei dati personali,
quando si abbia una divulgazione dei dati relativi alla persona, non
potendosi prescindere da un giudizio di comparazione degli interessi in
gioco, quando vengono a contrapporsi nella medesima vicenda interessi
di medesimo rilievo costituzionale.