Quando l’abbandono della casa familiare non costituisce causa di addebitabilità della separazione
Il caso di specie riguarda una coppia che giungeva in tarda età alla separazione, dopo che la moglie si era allontanata dall’abitazione coniugale per una sopraggiunta incomunicabilità con il marito, divenuta tale da rendere non più tollerabile la coesistenza sotto il tetto coniugale.
Rigettate sia in primo che in secondo grado le reciproche richieste di addebito, il marito proponeva ricorso per cassazione avverso la decisione della Corte di Appello secondo cui non sussistevano elementi necessari per integrare l’addebito poichè, secondo quanto argomentato dalle stesse parti, il rapporto coniugale si era progressivamente deteriorato in ragione della diversità di vedute dei coniugi sulla gestione e organizzazione della vita familiare.
Avverso tale pronuncia il marito proponeva ricorso per cassazione, poi rigettato.
Del resto, è consolidato l’orientamento secondo cui l’abbandono della casa familiare non costituisce causa di addebitabilità della separazione quando sia stato determinato da una giusta causa, ossia dalla ricorrenza di situazioni di fatto, o anche di avvenimenti o comportamenti altrui, di per sé incompatibili con la protrazione della convivenza, ovvero quando sia intervenuto in un momento in cui l’intollerabilità della prosecuzione di detta convivenza si sia già verificata, ed in conseguenza di tale fatto (Cass. 2007 n. 17056; 2006 n. 1202; 2005 n. 12373; 2000 n. 10682).
L’incomunicabilità tra i coniugi, che sfoci in una estraneità affettiva e relazionale, si pone come presa di coscienza dell’impossibilità di ricostituire l’affectio coniugalis, configurandosi dunque come “giusta causa” tale da determinare l’abbandono della casa familiare.