Quando l’amministratore risponde penalmente dei danni al condominio
Limiti alla responsabilità penale dell’amministratore di condominio:
non risponde penalmente dei danni al condominio e agli inquilini, a
meno che non venga dimostrata la circostanza che la sua inerzia è stata
determinante nell’incidente.
La condanna, infatti, può esserci
solamente se risulta giustificata e risulta, altresì, processualmente
certo il fatto che la sua condotta omissiva sia stata una “condizione
necessaria” dell’evento lesivo , con alto o elevato grado di credibilità razionale o probabilità logica”.
Ciò
è stato stabilito dalla Suprema Corte che, con la recente sentenza n.
39959/2009, è tornata sull’annosa questione della responsabilità penale
degli amministratori di condominio.
La responsabilità dell’amministratore
L’amministratore di condominio è tenuto a provvedere alla opere di riparazione delle parti comuni dello stabile.
Quindi,
in linea generale, ogni evento dannoso conseguente ad un mancato
tempestivo intervento di riparazione è ascrivibile all’amministratore,
il quale può addirittura incorrere in responsabilità penale in alcuni
casi, come ad esempio quando qualcuno abbia subito danni alla persona a
causa della mancata riparazione di un gradino della scala condominiale
(o di una ringhiera, di vetri, ecc.).
Non esistono
fattispecie specifiche previste dal legislatore che abbiano rilevanza
penale; ma tale fatto non esclude che se l’amministratore,
nell’esercizio delle sue funzioni, commette reati dovrà risponderne
personalmente.
Tra questi reati, ad esempio, potrebbero
essere annoverati quelli che si riferiscono ai rapporti interpersonali
quali l’ingiuria e la diffamazione.
In altri casi trova fondamento l’art. 40 del codice penale, reato omissivo, il quale prevede che “non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo”.
La
giurisprudenza ha precisato che la fonte dell’obbligo può provenire da
un ramo qualsiasi del diritto, quindi anche da quello privato.
La giurisprudenza costante ha ritenuto l’amministratore penalmente responsabile anche in tutti quei casi in cui non si attivi con la necessaria urgenza per rimuovere quelle situazioni di pericolo per l’incolumità delle persone, derivante, ad esempio dalla minacciante rovina di parti comuni dello stabile.
In
tali ipotesi lo stesso è considerato soggetto attivo del reato di cui
all’art. 677 del codice penale (omissione di lavori di edifici che
minacciano rovina), dovendo egli attivarsi in forza dei poteri
riconosciutogli dagli artt. 1130 num. 3 e 4 e 1135 co. 2 C.c., per
l’eliminazione delle situazioni idonee a provocare danni ad altre
persone.
La vicenda
La
questione, oggetto di commento, nasce da un ricorso presentato da un
amministratore di condominio per accuse di natura penale che
concernevano la sua persona; il fatto riguardava un danno prodotto a
causa dell’incendio di una canna fumaria di un locale adiacente al
condominio, di cui l’amministratore stesso aveva deliberato
l’installazione.
Per i giudici di primo grado, oltre al
titolare del locale ed al tecnico che aveva installato l’impianto, del
reato previsto dall’articolo 449 c.p. rispondeva anche l’amministratore
del condominio.
La sua inerzia di fronte al pericolo, infatti, si doveva ritenere fonte di responsabilità.
I giudici della Suprema Corte hanno ribaltato tale decisione ritenendo così “la motivazione della sussistenza del nesso causale tra condotta ed evento «apparente e caratterizzata da formule assertive».
Nel
rinviare la causa per un nuovo esame, infatti, i giudici di legittimità
hanno affermato che è vero «che l’amministratore condominiale è
titolare di un obbligo di garanzia relativo alla conservazione delle
parti comuni» dell’edificio, ma la condanna penale scatta solo se è
accertato che la sua condotta omissiva è stata condizione necessaria
dell’evento lesivo.
Insomma, quel giudizio controfattuale cui dovrà procedere un’altra sezione della Corte d’appello”.
In
tema di nesso di causalità in relazione al reato colposo per condotta
omissiva, va premesso che la responsabilità penale dell’amministratore
di condominio va considerata e risolta nell’ambito del capoverso
dell’art 40 cod pen, che stabilisce che ‘non impedire un evento che si
ha l’obbligo giuridico d’impedire equivale a cagionarlo
Conseguentemente, occorre, ai fini dell’affermazione di colpevolezza, procedere ad un duplice accertamento:
1) individuare la condotta in concreto esigibile in relazione alla posizione di garanzia dello stesso;
2)
accertare se, una volta posta in essere la condotta così individuata e
(secondo la contestazione) colposamente omessa, l’evento non si sarebbe
verificato, e ciò al fine di poter giungere, sulla base del compendio
probatorio disponibile ed esclusa altresì l’interferenza di fattori
alternativi – alla conclusione che la condotta omissiva era stata
condizione necessaria dell’evento con “alto o elevato grado di
credibilità razionale” o “probabilità logica” (cd. giudizio
controfattuale).
Giurisprudenza
L’amministratore
di condominio è tenuto, tramite i poteri e doveri di controllo che gli
sono imputati dal codice civile e da precise disposizioni di leggi
speciali, ad impedire che il modo di essere dei beni condominiali
provochi danni ai condomini o a terzi; sicché, egli si viene a trovare
nella posizione di custode rispetto a tali beni e può, pertanto,
rispondere di detti danni (Cass. Civ. sez. III, 16 ottobre 2008, n. 25251).
Il
condominio e l’amministratore dello stesso rispondono in solido dei
danni occorsi al condomino caduto in una buca presente all’interno del
cortile condominiale.
La figura dell’amministratore nell’ordinamento non si esaurisce nell’aspetto contrattuale delle prerogative dell’ufficio.
A
tale figura il codice civile, e le leggi speciali imputano doveri ed
obblighi finalizzati ad impedire che il modo d’essere dei beni
condominiali provochi danno di terzi.
In relazione a tali beni
l’amministratore, in quanto ha poteri e doveri di controllo e poteri di
influire sul loro modo d’essere, si trova nella posizione di custode.
Ciò
si verifica in particolare quando, come nella fattispecie per cui e’
causa, l’assemblea decide di appaltare lavori a terzi: in tal caso il
controllo dei beni comuni nell’interesse del condominio deve infatti
considerarsi attribuito all’amministratore quante volte, da un lato,
l’appaltatore non e’ posto in una condizione di esclusivo custode delle
cose sulle quali si effettuano i lavori e dall’altro l’assemblea non
affida l’anzidetto compito ad una figura professionale diversa dallo
stesso amministratore. Questi allora deve curare che i beni comuni non
arrechino danni agli stessi condomini od a terzi, come del resto ha già
riconosciuto la giurisprudenza allorché ha considerato l’amministratore
del condominio responsabile dei danni cagionati dalla sua negligenza,
dal cattivo uso dei suoi poteri e, in genere, di qualsiasi
inadempimento degli suoi obblighi legali o regolamentari: si pensi in
specie ai danni derivanti dalla negligente omissione delle necessarie
riparazioni al lastrico solare od al tetto, decise da una delibera
assembleare e non attuate dall’amministratore (Cass., 17 maggio 1994, n. 4816; Cass. 14 giugno 1976, n. 2219; ma v. anche Cass., 20 agosto 1993, n. 8804).