Qui più difficile fare giustizia che al Nord
di NOI Consumatori · 4 novembre 2010
Il congresso di Magistratura democratica che si è svolto a Napoli ha affrontato la questione che ne aveva imposto la convocazione straordinaria: ha ancora un senso (e quale precisamente) far vivere una corrente della magistratura qual è Md? Non si tratta di una domanda retorica, com’è stato chiarito da due autorevolissimi interventi esterni che nel congresso hanno avuto molta rilevanza: è ormai patrimonio della massima parte della magistratura la convinzione che ogni decisione del giudice, ogni interpretazione della legge, ha una sua ineliminabile discrezionalità necessaria, e quindi una radice politica (in senso alto) nell’animo del giurista (parole di Marcello Matera, segretario generale della corrente di maggioranza, Unicost); così come ogni discrezionalità nell’esercizio del potere, lungi dall’esser neutrale, ha una propria — spesso implicita — finalità (parole di Michele Vietti, vicepresidente del Csm). Ebbene, entrambe queste discrezionalità devono essere orientate avendo sempre come bussola l’articolo 3 della Costituzione, secondo cui è compito di tutti noi che rappresentiamo la comunità «rimuovere gli ostacoli» che i più deboli incontrano nel tutelare la dignità della persona, nel garantire i propri diritti. Si tratta idee-forza del patrimonio ideale di Md, la quale, fin dalla sua costituzione ormai oltre quarant’anni orsono, le ha predicate con convinzione e decisione: la verifica che oggi siano divenute cultura condivisa costituisce per noi un grande successo, il raggiungimento di un fondamentale obiettivo. In particolare, si tratta di idee che hanno trovato sbocco nel congresso proprio nella parte che riguarda la particolare specificità della condizione degli uffici giudiziari del Sud d’Italia, tanto che si parla, anche a proposito di giustizia, di una questione meridionale. In gran parte di tali uffici è maggiore, rispetto ad altre zone del Paese, la difficoltà di operare, innanzitutto per il degrado economico e sociale ancora proprio di talune zone delle regioni del Sud e perché alla carenza di risorse umane e materiali ed ai pesanti carichi di lavoro si accompagnano talvolta opacità conseguenti alla presenza pervasiva nella società della criminalità organizzata. Più in generale si avverte il rischio che le difficili condizioni di lavoro dei magistrati, spesso giovani e proiettati in realtà molto diverse da quelle di provenienza, ne accentuino la tradizionale tendenza individualistica ed il bisogno di protezione. E allora, ecco il paradosso. Nel momento in cui Md diviene parte di una più generale progressione culturale della magistratura; nel momento in cui si pone l’interrogativo di quale direzione debba oggi dirigersi il suo spirito vitale; nel momento in cui si riflette sulle modalità di un ringiovanimento generazionale della corrente: ebbene, proprio in questo momento (forse perché considerati ultimo residuo di una sinistra storica di cui da sempre, a torto, siamo accusati di essere collaterali) veniamo additati, da alcuni autorevoli esponenti di questa maggioranza politica, come «eversori», «comunisti», «nemici della democrazia», e chi più ne ha. C’è da chiedersi se la politica ministeriale della lesina (cioè la sottrazione anche di quel minimo di risorse necessarie per assicurare la risposta giudiziaria alle richieste di giustizia) non sia la conseguenza di questa valutazione. E ciò, in particolare, negli uffici delle regioni meridionali, già gravate da uno storico handicap di mezzi ed uomini. Eppure questo congresso, che era necessario in conseguenza di un ridimensionamento di consensi che per Md dura ormai da qualche anno, ha trovato una risposta positiva: ha constatato quanto sia diffusa e condivisa la determinazione di ripartire con l’antico slancio. E ha fissato innanzitutto alcuni obiettivi: parlare ai giovani magistrati, diffondendo la convinzione che ogni atteggiamento burocratico, ogni risposta arrogante, ogni atteggiamento indifferente rispetto ai problemi di chi si rivolge al giudice rende incomprensibile ai cittadini il senso della forte lotta che l’intera magistratura ha messo in campo a difesa dei valori dell’indipendenza della giurisdizione. E poi parlare ai giovani cittadini, affrontando i problemi — così cruciali nel nostro Mezzogiorno — del lavoro nero, dell’occupazione precaria, delle nuove, drammatiche, relazioni industriali che il modello Pomigliano sembra oggi imporre, del diritto allo studio, dei danni che la criminalità organizzata porta ai nostri modelli di convivenza ed alla nostra economia. E ancora: l’obiettivo di affermare che una nuova stagione dei diritti è possibile; di protestare per l’attuale disumanità ed illegittimità della condizione del carcere rispetto ai valori costituzionali della rieducazione; di sottrarre ad ogni legislazione penale speciale il problema dell’immigrazione. E, dopo gli obiettivi, il metodo: lavorare sul territorio, in ogni direzione e approfittando di ogni spazio aperto per il dialogo, mettendo al centro ancora una volta la questione giudiziaria meridionale, e approfondendo un modello «democratico» di ufficio giudiziario, in cui venga assicurato dialogo interno, condivisione delle scelte, apertura alle istanze della cittadinanza. Md deve quindi essere pronta a mettere in luce, con il coraggio della denunzia, ogni deficit di trasparenza e legalità, soprattutto all’interno degli uffici giudiziari, ed a contrastare la logica che si basa sullo scambio tra consenso e protezione. Solo in questo modo potremo tornare ad essere credibile punto di riferimento per le centinaia di magistrati che quotidianamente si spendono per la legalità al Sud e, allo stesso tempo, interloquire con i settori avanzati della società civile che guardano alla magistratura come fondamentale agente del cambiamento. E soprattutto, adottare quelle scelte nell’interpretare la legge che garantiscano sempre i diritti a chi, di fatto, non ha le risorse per rivendicarli: ed ancora una volta si tratta di un obiettivo centrale in questo nostro Mezzogiorno.